Marx, La prima fase della società collettivista

Secondo Marx nella prima fase della società collettivista l’uomo è considerato solo per il suo lavoro, senza tener conto della sua situazione umana specifica. La concezione borghese del diritto rimane in vigore.

 

K. Marx, Critica del programma di Gotha

 

All’interno della società collettivista, fondata sulla proprietà comune dei mezzi di produzione, i produttori non scambiano i loro prodotti; tanto meno il lavoro trasformato in prodotti appare qui come valore di questi prodotti, come una proprietà oggettiva da essi posseduta, poiché ora, in contrapposto alla società capitalistica, i lavori individuali non esistono piú come parti costitutive del lavoro complessivo attraverso un processo indiretto, ma in modo diretto. L’espressione “reddito del lavoro”, che anche oggi è da respingere a causa della sua ambiguità, perde cosí ogni senso.

Quella con cui abbiamo da far qui, è una società comunista, non come si è sviluppata sulla propria base, ma viceversa, come emerge dalla società capitalistica; che porta quindi ancora sotto ogni rapporto, economico, morale, spirituale, le “macchie” della vecchia società dal cui seno essa è uscita. Perciò il produttore singolo riceve – dopo le detrazioni – esattamente ciò che le dà. Ciò che egli ha dato alla società è la sua quantità individuale di lavoro. Per esempio: la giornata di lavoro sociale consta della somma delle ore di lavoro individuale; il tempo di lavoro individuale del singolo produttore è la parte della giornata di lavoro sociale fornita da lui, la sua partecipazione alla giornata di lavoro sociale. Egli riceve dalla società uno scontrino da cui risulta che egli ha prestato tanto lavoro (dopo la detrazione del suo lavoro per i fondi comuni), e con questo scontrino egli ritira dal fondo sociale tanti mezzi di consumo quanto costa il lavoro corrispondente. La stessa quantità di lavoro che egli ha dato alla società in una forma, la riceve in un’altra.

Domina qui evidentemente lo stesso principio che regola lo scambio delle merci in quanto è scambio di cose di valore uguale. Contenuto e forma sono mutati, perché, cambiate le circostanze, nessuno può dare niente all’infuori del suo lavoro, e perché d’altra parte niente può passare in proprietà del singolo all’infuori dei mezzi di consumo individuali. Ma per ciò che riguarda la ripartizione di questi ultimi tra i singoli produttori, domina lo stesso principio che nello scambio di equivalenti di merci: si scambia una quantità di lavoro in una forma contro una uguale quantità in un’altra.

L’uguale diritto è qui perciò ancora sempre, secondo il principio, il diritto borghese, benché principio e pratica non si azzuffino piú, mentre lo scambio di equivalenti, nello scambio di merci, esiste solo nella media, non per il caso singolo.

Nonostante questo progresso, questo ugual diritto reca ancor sempre un limite borghese. Il diritto dei produttori è proporzionale alle loro prestazioni di lavoro, l’uguaglianza consiste nel fatto che esso viene misurato con una misura uguale, il lavoro.

Ma l’uno è fisicamente o moralmente superiore all’altro, e fornisce quindi nello stesso tempo piú lavoro, oppure può lavorare durante un tempo piú lungo; e il lavoro, per servire come misura, dev’essere determinato secondo la durata o l’intensità, altrimenti cesserebbe di essere misura. Questo diritto uguale è un diritto disuguale per lavoro disuguale. Esso non riconosce nessuna distinzione di classe, perché ognuno è soltanto operaio come tutti gli altri, ma riconosce tacitamente la ineguale attitudine individuale, e quindi capacità di rendimento, come privilegi naturali. Esso è perciò, pel suo contenuto, un diritto della disuguaglianza, come ogni diritto. Il diritto può consistere soltanto, per sua natura, nell’applicazione di una uguale misura; ma gli individui disuguali (e non sarebbero individui diversi se non fossero disuguali) sono misurabili con uguale misura solo in quanto vengono sottomessi a un uguale punto di vista, in quanto vengono considerati soltanto secondo un lato determinato: per esempio, nel caso dato, soltanto come operai, e si vede in loro soltanto questo, prescindendo da ogni altra cosa. Inoltre: un operaio è ammogliato, l’altro no; uno ha piú figli dell’altro, ecc. ecc. Supposti uguali il rendimento e quindi la partecipazione al fondo di consumo sociale, l’uno riceve dunque piú dell’altro, l’uno è piú ricco dell’altro e cosí via. Per evitare tutti questi inconvenienti, il diritto, invece di essere uguale, dovrebbe essere disuguale.

Ma questi inconvenienti sono inevitabili nella prima fase della società comunista, quale è uscita, dopo i lunghi travagli del parto, dalla società capitalistica. Il diritto non può essere mai piú elevato della configurazione economica e dello sviluppo culturale, da essa condizionato, della società.

K. Marx- F. Engels, Opere scelte, Editori Riuniti, Roma, 19692, pagg. 960-961