Mill, In difesa dell’utilitarismo

Secondo John Stuart Mill gli utilitaristi, da Epicuro a Bentham, sono stati oggetto di molte critiche: ma ci si dimentica spesso che essi hanno posto i piaceri spirituali sempre al di sopra di quelli fisici.

 

J. S. Mill, Che cos’è l’utilitarismo

 

La credenza che accetta, come fondamento della morale, l’utilità o principio della piú grande felicità, tien per certo che le azioni sono buone in proporzione alla felicità ch’esse apportano, e cattive se esse tendono a produrre il contrario della felicità. Per felicità s’intende piacere o assenza di sofferenza; per infelicità, sofferenza e assenza di piacere. Per dare un’idea completa della questione, bisognerebbe diffondersi piú largamente e dire anzitutto ciò che racchiudono le idee di piacere e di pena; ma queste spiegazioni supplementari non toccano la teoria della vita sulla quale è fondata la teoria morale seguente: il piacere, l’assenza della sofferenza, sono i soli fini desiderabili; questi fini desiderabili (tanto numerosi nell’utilitarismo quanto in altri sistemi) lo sono per il piacere ad essi inerente, o come mezzi per procurarsi il piacere e prevenire la sofferenza.

Questa teoria della vita eccita in molti spiriti una ripugnanza inveterata perché essa colpisce un sentimento dei piú rispettabili. Supporre che la vita non abbia fini piú alti, né obbietti migliori e piú nobili da perseguire, che non sia il piacere, è per essi dottrina degna di esseri inferiori, anzi addirittura di maiali: Né piú né meno di cosí, or è poco, si trattavano i discepoli d’Epicuro; ed oggi, gli avversari tedeschi, francesi e inglesi dell’utilitarismo non usano in verità termini di comparazione che possano dirsi piú gentili.

Gli epicurei hanno sempre risposto a questi attacchi, che non erano essi, ma i loro avversari a presentare la natura umana sotto una luce degradante, dato che l’accusa suppone che gli esseri umani non son capaci di piacere, laddove ne sono capaci anche i porci! Se la supposizione fosse vera, non la si potrebbe contraddire, ma allora non sarebbe piú una supposizione vergognosa: perché se le sorgenti del piacere fossero le stesse per i maiali e per gli uomini, la regola di vita, buona per gli uni, sarebbe del pari buona per gli altri. Il paragone della vita degli epicurei con quella delle bestie, è degradante precisamente per il fatto che i piaceri delle bestie non soddisfano affatto l’idea di felicità che si è fatto l’essere umano. Gli esseri umani avendo delle facoltà piú elevate degli appetiti degli animali, ed avendone coscienza, non considerano come felicità ciò che non dà loro soddisfazione.

In verità io non considero affatto fallaci gli epicurei perché essi hanno tirato un sistema di conseguenze dal principio utilitario. Per far la critica del loro sistema bisognerebbe introdurre nella discussione degli elementi cristiani e stoici. Ma non vi è teoria epicurea di vita che non abbia assegnato ai piaceri dell’intelligenza, dell’immaginazione e del senso morale un valore piú grande che non ai piaceri dei sensi. Si deve anzi riconoscere che in generale gli scrittori utilitari hanno posto la superiorità dei piaceri dello spirito su quelli del corpo, soprattutto nella piú grande permanenza, sicurezza, ecc., dei primi, cioè a dire piuttosto nei loro vantaggi circostanziali che nella loro natura intrinseca.

 

J. S. Mill, Pagine scelte, Facchi, Milano, 1923, pagg. 8-10