Montaigne, Essere e divenire

Montaigne riprende il tema eracliteo del divenire (pánta reî) per negare qualsiasi pretesa di conoscenza dell’Essere.

 

M. E. de Montaigne, Saggi, II, cap. XII

 

Eraclito crede che mai uomo si sia immerso due volte nella stessa acqua; Epicarmo pensa che colui che prese in prestito del denaro non lo deve restituire, e che colui che è stato invitato ieri sera a desinare per stamattina, oggi non è piú invitato, perché non son piú gli stessi uomini: son diventati altri; non si può trovare sostanza mortale due volte nel medesimo stato, poiché, a causa di mutamento improvviso e impercettibile, essa si dissipa o si riunisce; essa va e viene. Di modo che quello che comincia ad essere, non arriva mai alla perfezione dell’essere, dal momento che questo essere non si compie mai e non s’arresta mai, come se fosse a punto, ma dal seme si va sempre mutando e muovendo. Come dal seme umano si produce dapprima nel ventre della madre un prodotto informe, poi la forma del bambino, in seguito, uscito dal ventre, un lattante; dopo, esso diventa un fanciullo, poi un giovane, poi un uomo fatto, poi un uomo d’età, alla fine un vecchio decrepito. Di modo che l’età e ciò che si genera successivamente disfa e guasta continuamente ciò che vi era prima: “Il tempo muta la natura di tutte le cose, ogni stato viene da un altro stato: tutto passa, la natura muta e cambia tutte le cose” (Lucrezio, De rerum natura, V, 826). E noi scioccamente temiamo una specie di morte dopo che ne abbiamo già avute e ne passiamo tante altre. Poiché non solamente, come diceva Eraclito, la morte del fuoco è la nascita dell’aria e la morte dell’aria la nascita dell’acqua, ma ancora piú evidentemente possiamo vedere ciò in noi stessi. Il fiore dell’età muore e passa quando sopravviene la vecchiaia, la giovinezza termina nel fiore dell’età matura e la giornata di ieri muore in quella di oggi e quella di oggi morirà in quella di domani; non vi è niente che si fermi e che rimanga sempre allo stesso punto. Poiché, posto che cosí fosse e che noi restassimo sempre gli stessi ed uguali perché prendiamo piacere ora ad una cosa ed ora ad un’altra? Perché amiamo ed odiamo cose contrarie, perché le lodiamo e le biasimiamo? Perché abbiamo affezioni diverse non affiancando lo stesso sentimento allo stesso pensiero? Poiché, come non è verosimile che noi assumiamo altre passioni senza mutamento, non rimanendo lo stesso ciò che sopporta mutamento, è evidente che ciò che non è lo stesso, non può restare immobile. Ma, quando l’essere individuale cambia, cambia semplicemente anche l’essere diventando altro di un altro. E, di conseguenza, s’ingannano e mentiscono i sensi della natura, prendendo ciò che appare per ciò che è, senza neanche sapere bene che cosa è. Ma che cosa veramente è?

 

(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol. VII, pagg. 177-178)