In Utopia non vi è proprietà
privata e le case sono aperte a tutti, dal momento che nessuno ruba. Si deve
cambiare casa ogni dieci anni, scegliendone un'altra attraverso un sorteggio. È
evidente che siamo di fronte a una concezione dell'uomo molto lontana dalla
“verità effettuale della cosa” di cui parlava Machiavelli.
Th. More, Utopia, II, Delle
città e di Amauroto espressamente
Questa
piazzaforte è cinta da mura alte e larghe, con numerose torri e bastioni, e le
mura sono alla lor volta circondate per tre lati da un fossato asciutto, ma
largo e profondo, difeso da siepi spinose; nel quarto il fiume stesso fa da
fossa. Le piazze son tracciate in modo acconcio sia per i trasporti che contro
i venti, le case in nessun modo misere, e se ne vedono per file lunghe, che si
stendono per interi quartieri, con le facciate fronte a fronte, separate da vie
larghe 20 piedi. Alle spalle di dette case sono attaccati, per tutta la
lunghezza dei quartieri, grandi giardini, cui tutto intorno altre case
s'addossano, chiudendoli. Non c'è casa che non abbia porta dinanzi, verso la
strada, e di dietro verso il giardino, e queste sono a due battenti e s'aprono
facilmente a una semplice spinta e si richiudono da sé, ché entra chi vuole,
tanto manca in ogni luogo la proprietà privata! Anche le case infatti le mutano
ogni 10 anni, tirando a sorte. Di questi giardini poi fanno gran conto; in essi
hanno vigne, frutti, erbaggi e fiori, con tanta bellezza e cura che in nessun luogo
ho visto nulla di piú produttivo o di piú appariscente. Nel che la loro
passione è tenuta accesa non solo dal loro proprio piacere, ma anche dalle gare
fra quartiere e quartiere a chi meglio coltiva il proprio giardino; e certo in
tutta quanta la città difficilmente si può trovare occupazione piú vantaggiosa,
sia quanto al diletto, sia quanto ai bisogni di tutti; laonde di nessuna cosa
piú che di tali giardini pare che si sia occupato il fondatore dello Stato.
È
tradizione infatti che detta città l'abbia disegnata in tutta la sua
configurazione Utopo in persona, sin dal bel principio, ma abbia lasciato ai
suoi discendenti la cura di abbellirla e perfezionarla, al che previde che non
sarebbe bastata l'età di un sol uomo. Infatti nei loro annali, che abbracciano
1760 anni di storia sin dall'occupazione dell'isola e vengono redatti con gran
cura e conservati religiosamente, si trova scritto che le abitazioni in
principio erano basse e quasi capanne e tuguri, fatte come vien viene, d'ogni
sorta di legno, con pareti spalmate di loto e tetti a punta, coperti di paglia.
Ora invece ogni palazzo, di forma mirabile, è a tre piani, con le pareti
esterne fatte di pietre, di pietra lavorata o mattoni, mentre nell'interno il
vuoto è riempito di rottami; i tetti si stendono orizzontalmente, coperti di un
battuto che non costa nulla ed è fatto in modo da essere incombustibile e da
superare il piombo nella resistenza alle intemperie. Difendono dal vento le
finestre coi vetri, di cui fanno ivi grandissimo uso, a volte anche con un lino
sottile, spalmato di olio traslucido o di ambra, ciò che evidentemente ha due
vantaggi, perché in tal modo si fa passare piú luce e si fa entrare meno vento.
(T. Moro, Utopia, Laterza,
Bari, 1982, pagg. 60-61)