MORO, DELLE CITTA', E IN PARTICOLARE DI AMAUROTO

Chi ha visto una città, le conosce tutte, tanto si rassomigliano in ogni particolare, per quanto è concesso dalla natura del terreno. Ne descriverò pertanto una qualsiasi (quale, non ha importanza): ma perché preferirne una ad Amauroto? Nessuna ne è più degna, visto che le altre le rendono omaggio come sede del senato, e nessuna la conosco meglio, poiché ci ho vissuto per cinque anni di fila. Amauroto, dunque, è posta sul dolce pendio di una altura e ha una pianta pressoché quadrata. Partendo poco al di sotto della vetta del colle, essa si estende per circa due miglia fino alla sponda del fiume Anidro, lungo la quale si affaccia con un fronte un tantino più esteso. Le strade principali sono tracciate giudiziosamente, tenendo conto sia della comodità dei trasporti, sia del riparo dai venti; le case, tutt'altro che dimesse, si vedono affiancate in lunga serie per intere contrade, con le facciate rivolte a quelle delle case di fronte; la via che corre nel mezzo è larga venti piedi. Sul retro degli edifici, per tutta la lunghezza dell'isolato, si affiancano spaziosi giardini, circondati da ogni parte dai prospetti interni delle abitazioni. Non c'è casa che non abbia una porta che dà sulla strada e un'altra a tergo per accedere al giardino; esse sono a due battenti: basta una spinta della mano ad aprirle e poi si richiudono da sole, sicché chiunque può entrare, in modo che non c'è ombra di proprietà privata. Persino le case se le scambiano ogni dieci anni, tirandole a sorte. Tengono in gran conto questi giardini; vi crescono viti, frutta, ortaggi e fiori in così bell'ordine e con tante premure, che non m'è accaduto mai di vederne di più fruttuosi o di più vaghi. A ciò contribuisce non solo il piacere che ne traggono, ma l'accesa rivalità fra le contrade nel vantare il giardino meglio coltivato, e certo non si trova nell'intera città cosa che più di questa conferisca prodotti utili e svaghi ai cittadini.

(T. Moro, Utopia)