Nietzsche, Casta sacerdotale e casta aristocratica

Per l’illuminismo settecentesco la contrapposizione era fra il prete e il filosofo. In Nietzsche il primo termine della contrapposizione rimane sempre il prete, ma il secondo diventa chi impersona lo spirito aristocratico. Comunque molti dei temi illuministi sono qui presenti, a partire dal giudizio sugli ebrei e sui loro discepoli, i cristiani, da cui è partita “la rivolta degli schiavi nella morale”.

 

F. Nietzsche, Genealogia della morale

 

Si sarà già indovinato con quanta facilità la maniera sacerdotale di valutazione può distaccarsi da quella cavalleresco-aristocratica e svilupparsi ulteriormente fino a diventarne l’antitesi; alla quale cosa verrà dato un particolare impulso ogni qual volta la casta sacerdotale e quella guerriera entreranno per gelosia in contrasto tra loro e non vorranno reciprocamente accordarsi intorno all’estimazione. I giudizi di valore cavalleresco-aristocratici presuppongono una poderosa costituzione fisica, una salute fiorente, ricca, spumeggiante, al punto da traboccare, e con essa quel che ne condiziona la conservazione, cioè guerra, avventura, caccia, danza, giostre, nonché, in generale, tutto quanto implica un agire forte, libero, gioioso. La maniera sacerdotalmente aristocratica di valutazione – l’abbiamo già visto – ha presupposti diversi: quando c’è di mezzo la guerra, le cose si mettono piuttosto male per essa! I sacerdoti, come è noto, sono i nemici piú malvagi – e perché mai? Perché sono i piú impotenti. È a causa dell’impotenza che l’odio cresce in loro fino ad assumere proporzioni mostruose e sinistre, le piú intellettuali e venefiche. I massimi odiatori nella storia del mondo sono sempre stati i preti, e sono stati pure gli odiatori piú geniali – in confronto alla genialità della vendetta sacerdotale, ogni altra genialità può a stento essere presa in considerazione. La storia umana sarebbe una cosa veramente troppo stupida senza lo spirito che da parte degli impotenti è venuto in essa – prendiamo subito il piú grosso esempio. Tutto quanto è stato fatto sulla terra contro “i nobili”, “i potenti”, “i signori”, “i depositari del potere” non merita una parola in confronto a ciò che contro costoro hanno fatto gli Ebrei; gli Ebrei, quel popolo sacerdotale che ha saputo infine prendersi soddisfazione dei propri nemici e dominatori unicamente attraverso una radicale trasvalutazione dei loro valori, dunque attraverso un atto improntato alla piú spirituale vendetta. Questo soltanto si conveniva appunto a un popolo sacerdotale, a un popolo dalla piú compressa avidità di vendetta sacerdotale. Sono stati gli Ebrei ad avere osato, con una terrificante consequenzialità, stringendolo ben saldo con i denti dell’odio piú abissale (l’odio dell’impotenza), il rovesciamento dell’aristocratica equazione di valore (buono = nobile = potente = bello = felice = caro agli dèi), ovverossia “i miserabili soltanto sono i buoni; solo i poveri, gl’impotenti, gli umili sono i buoni, i sofferenti, gli indigenti, gli infermi, i deformi sono anche gli unici devoti, gli unici uomini pii, per i quali soli esiste una beatitudine – mentre invece voi, voi nobili e potenti, siete per l’eternità i malvagi, i crudeli, i lascivi, gl’insaziati, gli empi, e sarete anche eternamente gli sciagurati, i maledetti e i dannati!”... Sappiamo chi ha raccolto l’eredità di questa trasvalutazione giudaica... Riguardo alla mostruosa e smisuratamente funesta iniziativa che gli Ebrei hanno assunto con questa dichiarazione di guerra, la piú radicale di tutte, ricordo quanto ebbi a scrivere ad altro proposito (“Al di là del bene e del male”, p. 118) – che ha inizio cioè con gli Ebrei la rivolta degli schiavi nella morale, quella rivolta che ha alle sue spalle una storia bimillenaria e che oggi non abbiamo piú sotto gli occhi per il semplice fatto che – è stata vittoriosa...

 

Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1976, vol. XXV, pagg. 341-342