Nietzsche, Socrate corruttore

Nietzsche vede in Socrate il nemico dell’istinto, del dionisiaco, colui che si oppone alla natura stessa dell’uomo greco, che invece noi tanto ammiriamo.

 

F Nietzsche, La nascita della tragedia

 

Che Socrate avesse uno stretto legame di tendenza con Euripide, non sfuggí all’antichità in quel tempo; e l’espressione piú eloquente di questo fiuto felice è quella leggenda circolante ad Atene, secondo cui Socrate usava aiutare Euripide a poetare. Dai partigiani del “buon tempo antico” i due nomi venivano pronunciati assieme, quando si trattava di enumerare i presunti corruttori del popolo: dal loro influsso seguiva che l’antica e quadrata valentia di corpo e di animo, degna di Maratona, fosse sempre piú sacrificata a un dubbio razionalismo, nel progressivo intristimento delle forze fisiche e spirituali. In questo tono, mezzo di sdegno e mezzo di disprezzo, la commedia aristofanesca suole parlare di quegli uomini, con terrore dei moderni, che rinunciano volentieri a Euripide, ma non smettono mai di meravigliarsi del fatto che Socrate appaia in Aristofane come il primo e supremo sofista, come lo specchio e il compendio di tutte le aspirazioni sofistiche. Contro di ciò rimane un’unica consolazione, quella di mettere alla berlina Aristofane stesso come un licenzioso e bugiardo Alcibiade della poesia. Senza prendere a questo punto la difesa dei profondi istinti di Aristofane contro tali attacchi, proseguo a dimostrare in base al sentimento antico, la stretta connessione fra Socrate ed Euripide; in questo senso è da ricordare specialmente che Socrate, come avversario dell’arte tragica, si asteneva dal frequentare la tragedia, mettendosi fra gli spettatori soltanto quando veniva rappresentato un nuovo dramma di Euripide. Famosissimo è comunque l’accostamento dei due nomi nel responso dell’oracolo delfico, che indicava Socrate come il piú saggio fra gli uomini, ma pronunciava insieme il giudizio che a Euripide spettava il secondo premio nella gara della saggezza.

Come terzo in questa graduatoria era nominato Sofocle; proprio lui, che poté vantarsi nei confronti di Eschilo di fare il giusto, e di farlo perché sapeva che cosa fosse il giusto. Evidentemente è proprio il grado di chiarezza di questo sapere ciò che distingue in comune quei tre uomini come i tre “sapienti” del loro tempo.

Ma la parola piú acuta per quella nuova e inaudita stima del sapere e dell’intelligenza la pronunciò Socrate, quando trovò di essere l’unico che ammettesse di non saper niente; mentre, nelle sue peregrinazioni critiche per Atene, egli incontrava dappertutto, parlando con i maggiori statisti, oratori, poeti e artisti, la presunzione del sapere. Vide con stupore che tutte quelle celebrità non avevano un’idea giusta e sicura neanche della loro professione, e che la esercitavano solo per istinto. “Solo per istinto”: con questa espressione tocchiamo il cuore e il centro della tendenza socratica. Con essa il socratismo condanna tanto l’arte vigente quanto l’etica vigente: dovunque esso volga i suoi sguardi indagatori, vede la mancanza di intelligenza e la potenza dell’illusione, e da questa mancanza deduce l’intima assurdità e riprovevolezza di quanto esiste nel presente. Partendo da questo punto, Socrate credette di dover correggere l’esistenza: egli, come individuo isolato, entra con aria di sprezzo e di superiorità, quale precursore di una cultura, di un’arte e di una morale di tutt’altra specie, in un mondo dove ascriveremmo a nostra massima fortuna il riuscire a coglierne con venerazione un frammento.

È questa l’enorme perplessità che ci prende ogni volta di fronte a Socrate, e che ogni volta ci sprona a riconoscere il senso e il fine di questa problematicissima apparizione dell’antichità. Chi è costui, che osa da solo negare la natura greca, quella che attraverso Omero, Pindaro ed Eschilo, attraverso Fidia, attraverso Pericle, attraverso la Pizia e Dioniso, attraverso l’abisso piú profondo e la cima piú alta è sicura della nostra stupefatta adorazione? Quale forza demonica è questa, che può ardire di rovesciare nella polvere un tale filo incantato? Quale semidio è questo, a cui il coro degli spiriti dei piú nobili fra gli uomini deve gridare: “Ahi! Ahi! Tu lo hai distrutto, il bel mondo, con polso possente; esso precipita, esso rovina!”.

 

Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 976, vol. XXV, pagg. 77-78