Panezio, L’onesto e l’utile

Cicerone, De officiis, III, 7-13

 

1      Panezio dunque, che senza dubbio trattò molto accuratamente dei doveri, e che io, con qualche modificazione, ho principalmente seguíto, stabilisce tre punti, su cui di solito si pondera e si riflette intorno al dovere: primo, quando si è incerti se la cosa in questione sia onesta o turpe; secondo, se sia utile o meno; terzo, se ciò che sembra onesto contrasta con ciò che sembra utile. Egli trattò dei primi due casi in tre libri, e promise che avrebbe trattato in seguito del terzo, ma non mantenne la promessa. [...]

2      Non sono poi d’accordo con quanti sostengono che questo punto non è stato dimenticato da Panezio, ma a bella posta tralasciato, e che non era il caso di parlarne perché l’utile non può mai essere in contrasto con l’onesto. Riguardo a queste due affermazioni si può discutere forse se si dovesse svolgere oppure omettere quel punto, che è il terzo nella trattazione di Panezio; ma non si può mettere in dubbio che da Panezio sia stato proposto e poi tralasciato. È evidente che, se ha diviso la materia tre parti e ne ha svolto due, rimane da trattare la terza: si aggiunga che alla fine del terzo libro Panezio dichiara che la tratterà in seguito. [...]

3      Non si può quindi dubitare dell’intenzione di Panezio: si può forse discutere se facesse bene o no ad aggiungere questa terza parte alla ricerca dei doveri. Infatti, sia l’onesto il solo bene, secondo il parere degli stoici, sia invece, come vogliono i vostri peripatetici, un bene cosí grande che tutto ciò che gli si contrappone ha piccolissimo peso, è fuori di dubbio che l’utile non può venire a conflitto con l’onesto. [...] Che se Panezio fosse stato uomo tale da proclamare che la virtú deve essere praticata perché è causa di utilità, come fanno coloro che dal piacere o dalla mancanza del dolore misurano la desiderabilità delle cose, avrebbe potuto dire che talvolta l’utile è in contrasto con l’onesto. Ma poiché è invece uno che ritiene che sia bene solo ciò che è onesto, e che non con l’accrescimento né con il decrescimento di ciò che con una qualche parvenza di utilità contrasta con l’onesto, la vita possa divenire migliore o peggiore, non mi pare che avrebbe potuto introdurre la questione sul confronto fra ciò che appare utile e l’onesto. Il sommo bene degli stoici, vivere secondo natura, significa, secondo me, essere sempre in accordo con la virtú ed accettare poi tutto ciò che è secondo natura, quando non sia contrario alla virtú.

(Cicerone, De officiis, Rizzoli, Milano, 1987, pagg. 321-325)