Platone, Il movimento dialettico

Precisare il ruolo che il pensiero platonico ha avuto nell'ambito dello sviluppo della logica, non è cosa molto agevole, perché la sua opera, in cui la logica è presente in modo ancora implicito, presenta aspetti contrastanti. Non v'è dubbio che in numerosi luoghi dei suoi dialoghi si faccia uso di procedimenti argomentativi, ma leggi e regole d'inferenza non vengono esplicitate, e si possono riscontrare anche grossolani errori, nonché faticosissime acquisizioni di leggi logiche elementari. In questo senso, si potrebbe affermare che non vi è quasi alcuna influenza di Platone su Aristotele, per quanto riguarda lo sviluppo della logica, almeno in senso diretto. Tuttavia, come lo stesso Aristotele ha riconosciuto, sono proprio alcuni problemi e difficoltà della riflessione platonica ad averlo condot­to verso l'elaborazione di alcune delle sue grandi scoperte logiche; per la precisione, è stata una riflessione critica sul procedimento dialettico ad "ispirare" il nucleo della teoria sillogistica. Non è qui il luogo per chiarire a fondo il significato del termine "dialettica", usato da Platone in contesti e con signifcati vari e divenuto ancora più complesso e problematico dopo l'acquisizione del non scritto platonico; nondimeno, si può affermare che, quando Platone ha presentato la pratica del procedimento dialettico l'ha sempre caratterizzata come formata da due momenti successivi ed inversi:

1) innanzi tutto un movimento ascendente (chiamato in greco synagoghè) con cui si risale, muoven­do da un certo concetto, attraverso concetti sempre più generali, fino all'idea suprema del Bene‑Uno;

2) un movimento discendente (denominato diairesis) attraverso il quale viene percorsa una suc­cessione di suddivisioni concettuali sino a giungere alla definizione specifica di un certo concetto. Aristotele riconosce a questa metodologia, di origine socratica, il merito di fondare i ragionamenti induttivi e di giungere a dare definizioni universali.

Le pagine che seguono, tratte dal Sofista, sono uno degli esempi più famosi di procedimento diairetico; in esse, il personaggio che guida la discussione, porta Teeteto a definire il concetto di “pesca con la lenza”. La metodologia di Platone appare assai chiara in questo esempio: per preci­sare un dato concetto C (in questo caso la "pesca con la lenza”), si parte da un concetto A, di estensione assai più ampia rispetto a C (in questo caso il concetto di "arte”, inteso come attività). Il concetto A viene poi successivamente ripartito in coppie di concetti tra loro opposti B e non‑B, aventi però estensione più limitata rispetto ad A. Ogni volta che questa suddivisione viene effettua­ta, si chiede all'interlocutore di ammettere che il concetto C sta in una o nell'altra delle suddivisioni, per cui si abbandona il lato della dicotomia che non interessa e si continua a scindere quello in cui si trova C, continuando così sino a giungere proprio alla definizione di C.

Ciò che Aristotele non gradirà, di questo metodo, è che per condurre l'interlocutore a concludere proprio alla definizione cui voglio giungere, è necessario chiedere il suo consenso ad ogni passag­gio, cioè chiedergli, per ogni coppia di opposti B e non‑B, in quale lato della dicotomia possa essere posto C.

Questo è dunque un metodo logico che chiede il consenso, mentre Aristotele, insoddisfatto proprio per questo, ne cercherà un altro in grado di forzare il consenso e lo troverà nel sillogismo.

La traduzione è di A. Zadro.

 

LO STRANIERO – E allora, Teeteto, se tutte le arti si compendiano nell'arte dell'acquisire e nell'arte del fare, in quale delle due noi porremo l'arte del pescare con la lenza?

TEETETO – È chiaro, nell'arte dell'acquisire.

LO STR. – Ma non sono forse due le specie di quest'arte? L'una è l'arte degli scambi che avvengono fra due parti per volontà di ambedue per mezzo di dona­zioni, per mezzo del pagamento di salario e per mezzo della compravendita; I'altra che in complesso riguarda l'impadronirsi di qualche cosa sia con l'azione che con il discorso, è quella appunto dell'impadronirsi. Non ti pare?

TEET. – Risulta almeno chiarissimo da quanto è stato detto.

LO STR. – E allora? Non si deve suddividere in due anche l'arte dell'impadro­nirsi?

TEET. -- E come?

LO STR. – Ponendo, da una parte, come lotta, tutto ciò che di essa si fa allo scoperto, e dall'altra, come caccia, tutto ciò che, invece, avviene di nascosto.

TEET.– Sì.

LO STR. – E certo che sarebbe stoltezza il non suddividere in due anche l'arte della caccia.

TEET. -- Di' come.

LO STR. – Distinguendo la caccia agli esseri inanimati da quella agli esseri animati.

TEET. – Certamente, se almeno ci sono ambedue questi tipi di caccia.

LO STR. – Come fanno a non esserci? Ora poi è fuori di dubbio che noi dob­biamo lasciare da parte la caccia agli esseri inanimati, la quale non ha nomi di­stintivi all'infuori di alcuni che riguardano certe parti dell'arte del tuffarsi e po­che altre cose simili, ma la caccia agli esseri animati chiamiamola 'caccia agli animali'.

TEET. -- Sia pure.

LO STR. – Della caccia agli animali non è giusto affermare l'esistenza di due specie, una relativa al genere degli animali che vivono sulla terra ferma, specie la quale a sua volta si distingue secondo molte altre specie e nomi, e la diremo 'caccia agli animali terrestri', una seconda che si riferisce agli animali che nuota­no, e la diremo complessivamente 'caccia acquatica'?

TEET. – Senza dubbio.

LO STR. – Del genere dei nuotatori noi vediamo che c'è una specie che è dotata di ali, un'altra che sta sempre sott'acqua.

TEET. -- Come no?

LO STR. – E Ogni tipo di caccia agli animali alati noi lo indichiamo col nome di una determinata caccia agli uccelli.

TEET. -- È vero.

LO STR. – Ed io direi pure che tutto il complesso della caccia agli animali che stanno sempre sott'acqua si dice pesca.

TEET. -- Sì.

LO STR. – Ebbene? Non dovremmo forse suddividere anche questo tipo di caccia in due grandi parti?

TEET. – E quali?

LO STR. – Queste: I'una si fa automaticamente per mezzo di chiusure; I'altra colpendo direttamente la preda. TEET. – Come dici e come dividi l'una dall'altra?

LO STR. – In questo modo: tutto ciò che chiude all'intorno qualche cosa per ­essere a questa di impedimento mi par giusto chiamarlo 'chiusura'.

TEET. – È giusto.

LO STR. – Forse che diremo altrimenti che 'chiusure' le nasse, le reti, i calappi, le trappole da pesca e simili?

TEET. – Per nulla.

LO STR. – Con questi mezzi dunque avviene quella parte della caccia ai pesci che noi chiameremo 'caccia per chiusura' o in qualche altro modo che vi si avvicini.

TEET. – Sì.

LO STR. – Ma quella che si fa dando colpi d'amo e di tridente è cosa diversa, e noi ora dobbiamo denominarla, con una sola espressione, 'caccia in certo senso a percussione'; oppure, Teeteto, come si può dir meglio?

TEET. – Tralasciamo di discutere il nome, anche quanto si è detto può bastare allo scopo.

LO STR. – La parte della caccia a percussione fatta di notte io penso sia accaduto ai pescatori stessi di chiamarla 'pesca col fuoco', perché appunto fatta alla luce del fuoco.

TEET. – Senza dubbio alcuno.

LO STR. – Ma invece quella fatta di giorno, dato che anche i tridenti portano all'estremità gli ami, la si è chiamata complessivamente 'pesca coll'amo'

TEET. – Si dice così infatti.

VI.

LO STR. – La caccia a percussione coll'amo, che si mette in atto colpendo dall'alto in basso, perché ciò si fa per lo più col tridente, qualcuno la chiama, credo, 'pesca col tridente'.

TEET. – Sì, alcuni la chiamano così.

LO STR. – E così è una sola la specie che ci resta da enunciare.

TEET. – Quale?

LO STR. – La specie relativa alla percussione opposta a quella già vista, e cioè la percussione che si fa coll'amo e non in un qualsiasi punto del corpo dei pesci, dove capita che qualcuno colpisca, come col tridente, ma ogni volta avviene colpendo il capo e la bocca della preda e tirando col bastone o con la canna dal basso verso l'opposto, verso I'alto; con quale denominazione si deve indicare ciò, Teeteto?

TEET. – Io penso che quella cosa che prima noi ci proponemmo di ritrovare, proprio quella ora noi siamo giunti a scoprire.

VII .

LO STR. – E così ora tu ed io per quanto riguarda la pesca colla lenza non solo siamo concordi nella denominazione, ma anche abbiamo acquisito in maniera soddisfacente il discorso che rende ragione della cosa. Di tutta l'arte infatti una  metà abbiamo visto essere l'arte dell'acquisire, e, di questa, una metà quella dell'impadronirsi, e, di questa, una metà la caccia, e, di questa, una metà la caccia agli animali, e, di questa, una metà la caccia agli animali acquatici, e, di questa, la metà che sta in basso abbiamo visto essere la pesca nel suo cornplesso, e, di questa, una metà la caccia ai pesci mediante percussione, e, di questa, una metà a pesca coll'amo; di questa, quella metà che si fa dando il colpo daI basso in alto e tirando, con una denominazione assunta da quella all'azione stessa e così ad essa assimilata, è stata chiamata 'pesca colla lenza', I'oggetto della nostra ricerca.

TEET. – Questo è stato del tutto chiarito in maniera soddisfacente.