Platone, L’educazione

Per capire il ruolo che ciascun cittadino deve svolgere all’interno della società occorre ricevere una educazione che faccia risaltare la naturale predisposizione di ciascuno. All’educazione è dedicato il settimo libro della Repubblica: Platone presenta un piano di studi piuttosto accurato, uno dei piú importanti e discussi esempi di paideía greca. Di esso riportiamo la parte finale, dedicata all’insegnamento della dialettica a coloro che sono destinati a diventare filosofi e a governare gli stati. Socrate parla in prima persona; il suo interlocutore è Glaucone.

 

Repubblica, 538 d-541 b

 

1      [538 d] – Supponiamo ora, feci io, di andar a chiedere a una persona cosí educata che cosa è il bello e che essa dia la risposta che ha sentito dal legislatore; e che la si critichi e piú volte e in piú modi si rinnovi la critica e che si riesca a trascinare quella persona a pensare che quel bello è indifferentemente bello [e] o brutto (e cosí per il giusto, per il bene e per i valori da lei particolarmente apprezzati). Come credi che essa si comporterà poi per quanto concerne il rispetto e l’obbedienza a questi valori? – È inevitabile, disse, che non li rispetterà né seguirà piú come prima. – Ebbene, ripresi, quando non li giudichi piú degni di rispetto e confacenti a sé come prima e non riesca a trovare i valori [539 a] veri, quale altra condotta di vita potrà essa naturalmente assumere se non quella di un adulatore? – Non avrà altra possibilità, rispose. – Allora, credo, da rispettosa della legge ne sembrerà divenuta nemica. – Per forza. – Ora, continuai, non è naturale che cosí si venga a trovare chi affronta in questo modo la dialettica? e, come dicevo poco fa, non merita grande indulgenza? – Anzi compassione, disse. – E perché questa compassione non circondi i tuoi trentenni, non si dovrà affrontare la dialettica con ogni cautela possibile? – Certamente, rispose. [b] – E non è già una notevole cautela non farla gustare loro da giovani? Credo non ti sia ignoto che i giovincelli, non appena assaporano la dialettica, se ne servono come per gioco, usandola sempre per contraddire; e, imitando chi li confuta, confutano poi essi stessi altre persone e si divertono come cuccioli a tirare e a dilaniare con il discorso chi via via venga loro a tiro. – Sí, si divertono straordinariamente, rispose. – E quando hanno essi stessi confutato molti e da molti sono stati confutati, [c] eccoli precipitarsi, impetuosi e rapidi, a rinnegare tutto quello che credevano prima. Ecco perché di fronte agli altri sono screditati essi stessi e coinvolgono nello scredito l’intero mondo della filosofia. – Verissimo, disse. – Una persona piú matura, ripresi, non potrà dunque consentire a partecipare a una simile follía; ma preferirà imitare chi vuole coltivare la dialettica e cercare il vero anziché chi scherza e contraddice per gioco; e sarà, essa [d] stessa, piú moderata, e farà rispettare di piú la sua occupazione anziché farla spregiare. – Giusto, rispose. – Ora, anche tutto ciò che s’è detto prima non è dovuto a cautela? Cioè che coloro che si faranno partecipare alla dialettica devono avere natura ordinata e ferma; e che non le si deve accostare, come avviene ora, il primo che càpita, per di piú senza la minima disposizione. – Indubbiamente, rispose.

2      – Ora, è forse sufficiente praticare la dialettica, assiduamente e intensamente senza altre attività, ma esercitandovisi in maniera corrispettiva agli esercizi del corpo, per il doppio di anni che in quelli? – Intendi dire sei [e] o quattro anni?, chiese. – Non ha importanza, risposi, poni che siano cinque. Piú tardi i tuoi giovani dovranno ridiscendere in quella caverna ed essere forzati ad assumere i comandi bellici e tutte le cariche pubbliche che toccano a persone giovani, affinché non restino inferiori agli altri nemmeno per l’esperienza. E anche in queste [540 a] congiunture si dovranno ancora saggiare, per vedere se, pur subendo pressioni da ogni parte, rimarranno fermi, o se ne saranno turbati anche solo un poco. – E questo periodo, chiese, quanto lo fai durare? – Quindici anni, risposi. Poi, quando hanno raggiunto i cinquant’anni, quelli che ne siano usciti sani e salvi e si siano dimostrati dovunque e in ogni modo primi, nelle varie opere e scienze, si devono ormai guidare alla mèta ultima: verranno costretti a volgere in su il raggio dell’anima e a guardare a ciò che a ogni cosa dà luce; e dopo aver veduto il bene in sé, a usarlo come un modello e a ordinare, ciascuno a turno, per il resto della vita, lo stato e i privati [b] cittadini e se stessi; e passeranno la maggior parte del tempo immersi nella filosofia, ma, quando venga il loro turno, dovranno affrontare le noie della vita politica e governare ciascuno per il bene dello stato, non perché sia bello questo loro compito, ma necessario. E cosí, avendo via via educato altri a propria somiglianza e avendoli lasciati al loro proprio posto come guardiani dello stato, andranno ad abitare nelle isole dei beati; e lo stato dovrà [c] fare loro monumenti e sacrifici a pubbliche spese, come a dèmoni, se è d’accordo anche la Pizia; e se non lo è, come a persone felici e divine. – Sono veramente splendidi, Socrate, disse, questi governanti che hai foggiati, come uno scultore. – E anche le donne di governo, Glaucone, replicai. Devi pensare che le mie parole si riferiscono tanto agli uomini quanto alle donne, tutte quelle che nascono naturalmente adatte. – Giusto, rispose, se, come abbiamo detto, avranno ogni cosa eguale e in comune [d] con gli uomini. – Ebbene?, continuai; siete d’accordo che non sono affatto utopie quelle che abbiamo dette sullo stato e sulla costituzione? Sono, sí, cose difficili, ma in qualche modo possibili (e possibili solo come s’è detto), quando entro lo stato divengano signori, uno o piú d’uno, i veri filosofi e disprezzino gli onori in voga oggidí, giudicandoli banali e di nessun conto; e apprezzino moltissimo la dirittura morale e gli onori che le [e] conseguono, considerando la giustizia come la cosa piú importante e indispensabile; e servendola e accrescendola organizzino ordinatamente il loro stato. – In che modo?, chiese. – Manderanno via, risposi, in campagna, tutti [541 a] i cittadini che abbiano compiuto i dieci anni; ne prenderanno i figlioli sottraendoli all’influsso degli odierni costumi, che sono pure quelli dei genitori, e li alleveranno secondo i loro modi e leggi, che sono quelli da noi esposti prima. Non siete d’accordo che cosí molto rapidamente e facilmente s’instaureranno lo stato e la costituzione che dicevamo? e che sarà uno stato felice e offrirà i maggiori vantaggi alla popolazione entro cui sorga? – Certo, [b] rispose. E credo che tu, Socrate, abbia detto bene come sorgerebbe, se mai potesse sorgere. – Ora, continuai, non abbiamo già detto abbastanza di questo stato e dell’individuo che gli somiglia? Anche per costui è chiaro quali doti gli dovremo attribuire. – È chiaro, rispose; e, come dici con la tua domanda, l’argomento mi sembra esaurito.

(Platone, Opere, vol. II, Laterza, Bari, 1967, pagg. 365-368)