Popper, Sul senso della storia

A) Per Popper non esiste nessun senso nascosto della storia. Essa ha il senso che noi riusciamo a darle. E soprattutto dalla storia dobbiamo imparare.

K. R. Popper, L’emancipazione attraverso la conoscenza, in “Controcorrente” aprile-giugno 1973, anno V, n. 2, pagg. 17-22

 

Possiamo tentare di dare uno scopo alla storia politica e con ciò a noi stessi. Invece di cercare un piú profondo, nascosto significato nella storia politica, possiamo chiederci quali dovrebbero essere i compiti degni e umani della storia politica: compiti fattibili e, nel contempo, a beneficio dell'umanità.

La mia prima tesi è, dunque, che noi dovremmo rifiutarci di parlare del “senso della storia”, come di qualcosa di celato in essa, o come di una morale nascosta nella divina tragedia della storia o nel senso di alcune tendenze evolutive o leggi della storia, o di alcuni altri significati che potrebbero forse essere scoperti da alcuni grandi storici, filosofi o capi religiosi.

Perciò la mia prima tesi è negativa. Io sostengo che non vi è nessun significato nascosto nella storia e che quegli storici e filosofi che credono di averne scoperto uno, ingannano se stessi e gli altri.

La mia seconda tesi, comunque, è molto positiva. Io credo che noi stessi possiamo tentare di dare un significato alla storia politica – o piuttosto una pluralità di significati; significati che sono fattibili da – e degni di – esseri umani.

Ma io vado ancor piú oltre. Perché la mia “terza tesi” è che noi possiamo imparare dalla storia che il tentativo di dare ad essa un significato etico, o dare a noi stessi uno scopo etico, non deve essere vano. Al contrario, non comprenderemo mai la storia se sottovaluteremo il potere storico degli scopi etici. Indubbiamente essi hanno spesso portato a terribili risultati, imprevisti da parte di coloro che per primi li avevano concepiti. Tuttavia, sotto certi aspetti, noi ci siamo avvicinati assai piú di ogni altra precedente generazione agli scopi ed agli ideali dell'Illuminismo rappresentati dalla rivoluzione americana, o da Kant. Piú specificamente, l’idea dell’auto-emancipazione o auto-liberazione attraverso la conoscenza, l'idea di una società pluralistica o aperta e l'idea di concludere la spaventevole storia delle guerre con l'instaurazione di una pace eterna, sebbene siano ideali forse ancora molto lontani, sono divenute lo scopo e la speranza della maggior parte di noi. [...].

La mia prima tesi, l'asserzione negativa che non vi è alcun significato nascosto nella storia politica – nessun significato che si possa cercare e scoprire, né una tendenza nascosta – contraddice le varie teorie del progresso del XIX secolo; per esempio, le teorie di Comte, Hegel e Marx. Ma essa contraddice pure sia la teoria di Oswald Spengler sul “declino dell'occidente”, formulata nel XX secolo, che le classiche teorie dei cicli, proposte, per esempio, da Platone, da Giovanni Battista Vico e da molti altri.

Io considero tutte queste teorie completamente sbagliate ed anche insensate. [...]. E dobbiamo pure stare attenti a non vedere in ciò delle leggi storiche che possano essere usate per predizioni di progressi, cicli o destini, o per ogni altra simile predizione storica.

Inoltre, sfortunatamente, il pubblico si aspetta e richiede, specialmente dopo Hegel e ancor piú dopo Spengler che un vero studioso – un saggio o un filosofo o uno storico – sia capace di giocare il molo di un augure o indovino, che sia capace di predire il futuro. E ciò che è peggio, questa richiesta si autoalimenta. Infatti l'insistente richiesta ha pressoché portato ad una sovrabbondanza di profeti. Senza eccessiva esagerazione si potrebbe dire che, oggigiorno, ogni intellettuale di una certa reputazione si sente irresistibilmente obbligato a diventare un esperto nell'arte della profezia storica. E l'abissale profondità del suo pessimismo (poiché il non essere pessimista sarebbe praticamente un'infrazione della etichetta professionale) è sempre unita all'insondabile profondità ed alla generale solennità delle sue rivelazioni da oracolo.

Io credo che sia tempo di fare un tentativo per tenere la predizione nel posto che obiettivamente le spetta. Non intendo affermare, naturalmente, che gli indovini non predicano mai la verità: se le loro predizioni sono sufficientemente vaghe, il numero delle predizioni vere supererà anche quello delle false. Tutto ciò che io asserisco è che non esiste un metodo scientifico, storico o filosofico che possa aiutarci a produrre qualcosa come le ambiziose predizioni storiche nella vena di Marx e di Spengler.

Se una predizione storica si dimostrerà vera o no, non è questione di metodo né di saggezza o di intuizione: è semplicemente questione di fortuna. Queste predizioni sono arbitrarie, accidentali e non-scientifiche. Ma alcune possono ben raggiungere un potente effetto propagandistico. Da un sufficiente numero di persone che credono nel declino dell'Occidente, l'Occidente declinerà, anche se, senza questa propaganda per il suo declino, esso avrebbe continuato a fiorire. Profeti e anche falsi profeti, possono muovere le montagne; la stessa cosa possono fare le idee, anche se erronee. Fortunatamente, vi sono diverse occasioni in cui è possibile combattere le idee erronee con quelle giuste.

K. R. Popper, Logica della ricerca e società aperta, Antologia a cura di D. Antiseri, La Scuola, Brescia, 1989, pagg. 171-172

 

B) Per Popper l’idea della possibilità di una società perfetta si deve spiegare con l’abbassamento del livello di razionalità. [M. Gilas, collaboratore di Tito in Jugoslavia, era poi diventato un severo critico della società comunista].

Colloqui di filosofia inglese contemporanea, a cura di B. Magee, trad. it. di I. Bertoni, Armando, Roma, 1979, pagg. 146-149

 

Magee: Perché la Sua filosofia politica ha assunto per lo piú la forma di aspra polemica contro le teorie utopiche?

Popper: Moltissimi aspetti della nostra vita sociale sono crudeli, ripugnanti, stupidi ed ingiusti: lo spazio per migliorare è sconfinato. Gli uomini hanno sempre sognato un mondo migliore ed alcuni di questi sogni hanno ispirato le riforme sociali; ma – come ho dimostrato in The Open Society – il sognare una società perfetta è pernicioso: i puritani speravano di fondarla ed altrettanto fece Robespierre, ma quel che essi realizzarono non fu il cielo in terra bensí l'inferno di una spietata tirannide.

Magee: Alcune delle Sue tesi di filosofia politica, dapprima trascurate, furono poi autonomamente riscoperte da altri: Gilas, per esempio, che era stato certamente una delle figure piú eminenti del mondo comunista, nel suo volume La nuova classe, diventato ora un classico, propone idee che Lei aveva pubblicato ben prima di lui in The Open Society.

Ancora nella sua ultima opera, La società imperfetta, non fa altro che sviluppare questo giudizio: “È mia convinzione che la società non possa essere perfetta”. È infatti sua ferma opinione che l'idea che la società possa essere perfetta sia l'errore basilare del comunismo.

Popper: Ritengo che Lei abbia davvero ragione per quanto riguarda Gilas: egli arrivò attraverso lunghi anni di sofferenza e di carcere ad alcune visioni cui altri erano giunti mediante il pensiero critico. Trovo, anzi, che per certi aspetti i suoi risultati hanno un senso piú forte e sono piú degni di considerazione.

Magee: Tuttavia noi stiamo assistendo ad una riviviscenza, tra i giovani piú intelligenti, proprio di quegli autori e di quelle dottrine contro i quali Ella ha vivacemente polemizzato: Hegel, Marx, la psicanalisi, l'esistenzialismo. Quale spiegazione potrebbe dare?

Popper: È di sempre la tendenza a cercare la pietra filosofale, una qualche panacea a tutti i nostri mali. La situazione odierna infatti è per niente nuova, fatta eccezione per un triste declino del livello razionale delle nostre discussioni. Ciò è dovuto contemporaneamente in parte ad impazienza ed in parte all'avvertimento che si son fatte troppe chiacchiere senza approdare a nulla: e cosí si è perso il gusto della discussione polemica, non si tenta nemmeno piú di scoprire quel che c'è di sbagliato nell'argomentazione opposta, si accettano teorie suggestive di largo consumo. È una tendenza che si può capire, ma è un ben triste andazzo, se diventa il marchio caratterizzante i giovani intellettuali: testimonia di uno scadimento di livello intellettuale e di intellettuale responsabilità.

Un esempio dell’incoscienza critica di questo tipo di anti-razionalismo è oggi la moda dell'anarchismo: certamente noi dobbiamo opporci all'elefantiasi burocratica, allo strapotere dello Stato; ma non riesco a concepire come le stesse persone che sono obbligate a rendersi conto che anarchia a livello internazionale significa guerra atomica possano poi credere che sia possibile vivere anarchicamente a livello nazionale senza precipitare, anche cosí, in una guerra atomica.

 

K. R. Popper, Logica della ricerca e società aperta, Antologia a cura di D. Antiseri, La Scuola, Brescia, 1989, pagg. 244-246