Platone: La seconda navigazione verso il mondo delle idee ("Fedone")

«Stanco di simili indagini,» riprese Socrate, «pensai dopo tutto di dover stare attento che non mi succedesse ciò che capita a quelli che guardano un'eclissi di sole che, se non osservano l'immagine dell'astro riflessa nell'acqua o attraverso qualche altro schermo, talvolta finiscono coi rovinarsi gli occhi. Anch'io pensai a una cosa di questo genere e temetti di restare con l'anima completamente cieca se avessi volto alle cose soltanto gli occhi e cercato di coglierle solo con i sensi. Ritenni, perciò, necessario ricorrere ai concetti e cercare in essi la verità delle cose. Ma forse il paragone non è del tutto esatto perché io contesto fermamente che chi considera le cose nei loro concetti le veda in immagine, anziché nella loro realtà. Comunque, questa fu la strada che seguii e prendendo, di volta in volta, come premessa, quel concetto che, a mio avviso, era più sicuro, tutto ciò che mi pareva concordare con esso lo ritenevo vero, sia che si trattasse del principio di causa, sia di altre questioni; quello che non concordava, invece, lo giudicavo falso. Voglio, però, spiegarti meglio quello che intendo dire perché mi pare che tu non abbia ben capito.» «Tuttavia non c'è niente di nuovo in quello che sto dicendo, niente che non abbia già detto altre volte e anche nella discussione di prima. Voglio, quindi, ora, mostrarti qual è il tipo di causa per cui mi son tanto dato da fare ed ecco che torno da capo su quanto s'è già tante volte discusso, ammettendo, come ipotesi, l'esistenza di un Bello, di un Buono, di un Grande in sé e così via. Se tu mi concedi che queste cose esistono, se lo ammetti, io spero poterti svelare e dimostrare, prendendo le mosse da qui, che l'anima è immortale.» «Ma certo, fa conto di si,» assicurò Cebete; «basta che cominci subito.» «Vedi un po', dunque, che cosa ne consegue dall'esistenza di questi enti e se sei d'accordo con me. A me pare, infatti, che se c'è qualche cosa bella all'infuori del Bello in sé è tale solo perché partecipa di questo Bello e così per tutte le altre cose. Sei d'accordo che sia questa la causa?» «Sì , sono d'accordo.» «Stando così le cose,» continuò Socrate, «io non riesco più a capirle, non riesco più a spiegarmele tutte le altre cause, quelle tirate in ballo dai sapienti che mi vogliono far credere che una cosa è bella perché ha un bel colore o una bella forma o altra roba del genere, tutte cause che io te le saluto e che mi lasciano assai perplesso; mentre, invece, con tutta semplicità e forse anche ingenuamente, io me ne resto nella mia convinzione che una cosa è, bella soltanto perché in essa vi è o la presenza del Bello in sé o una sua partecipazione o un qualche altro rapporto qualsiasi, perché io non faccio tanto questione di questo ma solo del fatto che è per il Bello che tutte le cose belle sono tali. Questa è, infatti, la spiegazione più convincente che io posso dare a me stesso e agli altri. Fedele a questo principio, son certo di non cadere mai in fallo e che tanto per me, quanto per gli altri, la risposta sicura è che le cose belle sono tali per il Bello. Non credi?» «Lo credo.» «E che le cose grandi sono così per la Grandezza e quelle più grandi sono più grandi per la stessa ragione, come è per la Piccolezza che son piccole le cose piccole?» «Sì .» «Quindi, tu non saresti mica d'accordo se uno ti venisse a dire che Tizio è più alto di Caio per la testa e che Caio è più piccolo per lo stesso motivo, ma affermeresti, invece, che, a tuo avviso, una cosa è grande per nessun'altra ragione che per la Grandezza e che quindi solo questa è la causa per cui essa è grande; così come una cosa è piccola per nessun'altra ragione che per la Piccolezza e che, quindi, solo la Piccolezza è la causa per cui essa è tale; tu risponderesti fermamente questo perché se dicessi che Tizio è più alto di Caio e Caio più piccolo di Tizio per la testa dovresti proprio aspettarti, credo, una duplice obiezione, che cioè, il più grande è più grande e il più piccolo è più piccolo per un identico motivo e poi che il più grande è tale per una cosa che è piccola. Ed è molto strano che una cosa sia grande per una cosa piccola. Non te la devi aspettare un'obiezione simile?» Cebete, ridendo: «Oh, sì , certo.» «E avresti il coraggio di affermare,» riprese Socrate, «che il dieci supera l'otto per due unità e che per questo motivo esso è maggiore e non, invece, che è per la Quantità e che questa ne è la causa? E così pure, per una lunghezza di due cubiti, diresti che è più grande del cubito per la metà e non, invece, per la Grandezza? La paura di cadere nel medesimo errore è sempre la stessa.» «Ah, certamente.» «Ancora: se aggiungessimo un'unità a un'altra unità, non ti guarderesti, forse, dal dire che è stata questa aggiunta a produrre il due, così come, se l'unità sì dividesse in due, che è stata la divisione? Tu, invece, diresti a gran voce che non sai in che altro modo si generi ogni singola cosa se non partecipando dell'essenza propria di quella data realtà di cui partecipa e che, nei nostri due casi, non v'è altra causa che l'unità divenga due se non quella della sua partecipazione alla Dualità e che ciò che sta per diventare due, necessariamente, deve partecipare di questa Dualità, come quello che sta per diventare uno deve partecipare dell'Unità; e manderesti al diavolo tutte le divisioni, le addizioni e le altre finezze del genere, lasciandole ai più sapienti di te; tu, invece, timoroso, come suol dirsi, della tua stessa ombra, intimidito della tua inesperienza e, d'altro canto, fermo nella tua tesi, risponderesti così . Se poi qualcuno s'opponesse all'ipotesi in sé, tu lascialo perdere e non rispondere fino a quando non avrai esaminato che tutte le conseguenze che ne derivano, concordino o meno, secondo te, tra loro, e quando tu dovrai render conto di essa, presa in se stessa, usa lo stesso metodo, poni, cioè, a tua volta, un'altra ipotesi, quella che ti sembrerà la migliore fra quante hanno carattere universale, finché non giungerai al risultato che più ti soddisfi. In tal modo non farai confusione come quelli che ti sciorinano in una stessa tesi il pro e il contro, discutendo, nel medesimo tempo, del principio e delle conseguenze, e solo così potrai giungere a qualche verità. Quei tipi, infatti, della verità non ne parlano e non se ne danno proprio alcun pensiero, ma, nella loro sapienza, mescolano e confondono ogni cosa, solo per piacere a se stessi. Ma tu, invece, se sei veramente un filosofo, farai, credo, come dico io.» «Dici cose verissime,» approvarono, insieme, Simmia e Cebete.
Platone, "Fedone", 100 d, e seguenti

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