Platone: Il comunismo e lo Stato secondo ("Leggi")

Dopo queste cose operiamo uno spostamento nell'ordinamento delle leggi, come se spostassimo delle pedine dalla linea sacra, spostamento certamente inconsueto, e che forse meraviglierà chi lo ascolta per la prima volta: ma ad un tale che rifletta con attenzione e abbia un po' di esperienza apparirà come una seconda fondazione dello stato dopo quello ideale. Probabilmente qualcuno non vorrà accettarlo in quanto non adatto ad un legislatore che non sia tiranno: ma la cosa più giusta che si può fare è quella di esporre la costituzione migliore, poi la seconda, ed infine la terza, e esponendole, concedere la scelta a ciascuna persona che abbia l'autorità di fondare uno stato. Secondo questo ragionamento facciamo così anche noi adesso, dicendo la forma di costituzione che è prima per virtù, la seconda e la terza: a Clinia concediamo ora la scelta, e anche a qualcun altro che sempre volesse, procedendo lungo una scelta del genere, riservarsi secondo il suo costume ciò che gli è caro della sua patria. La prima forma di stato, e la costituzione e le leggi migliori, si ritrovano laddove si realizzi quanto più è possibile quell'antico detto che dice: davvero comuni sono le cose degli amici. Se dunque questo detto trovi ora attuazione o la troverà un giorno - avere cioè in comune le donne, in comune i figli, in comune tutte quante le ricchezze -, se con ogni mezzo sia dovunque estirpato dalla vita ciò che si considera privato, se si escogiti il sistema che renda possibile di mettere in qualche modo in comune ciò che per natura è personale, come se ad esempio occhi, orecchi, e mani sembrino vedere, ascoltare, e agire sempre in comune, in modo che tutti quanti insieme, per quanto è possibile, facciano elogi o biasimi e per le stesse cose provino gioia o dolore, se, in sostanza, si voglia stabilire un altro criterio per giudicare la superiorità, rispetto alla virtù, di quelle leggi che cercano di unificare quanto più possono uno stato, non se ne troverebbe un altro più giusto e migliore di questo. In tale stato, dove sia dèi, sia figli di dèi lo abitano e sono più di uno, i suoi abitanti vivono felici conformandosi a queste regole: perciò non bisogna cercare altrove un modello di costituzione, ma prendendo questa come punto di riferimento, bisogna ricercare quella che le si avvicini il più possibile. Quanto allo stato cui ora abbiamo messo mano, esso sarà vicinissimo all'immortalità e secondo quanto ad unità: per quanto riguarda il terzo, se il dio lo vuole, lo prenderemo in esame in seguito. Ma ora come definiremo questa seconda forma di stato e quale diremo che è la sua formazione? Innanzitutto i cittadini si dividano terra e case, e non lavorino i campi in comune, dato che si è già detto che una cosa del genere sarebbe superiore a uomini che hanno ricevuto l'attuale nascita, formazione, ed educazione: ma si divida in ogni caso tenendo presente questa considerazione, e cioè chi ha ricevuto in sorte questa porzione deve considerarla come proprietà comune di tutto lo stato, e poiché sua patria è la terra deve venerarla di più di quanto i figli devono venerare la madre, ed essendo una dea, è signora degli esseri mortali; e bisogna avere le stesse opinioni riguardo agli dèi locali e ai demoni. Perché questo assetto si conservi per tutto il tempo si deve considerare che il numero dei focolari che ora noi abbiamo distribuito deve rimanere sempre invariato, e non deve né aumentare, né diminuire. Tale ordinamento può essere mantenuto stabilmente in tutto lo stato in questo modo: chi abbia ricevuto in sorte un lotto lasci fra i figli uno solo erede di questo patrimonio, quello che gli è più caro, che gli succederà e si occuperà degli dèi, della famiglia, dello stato, di quanti vivono e dì quanti hanno ormai raggiunto il termine della vita. Quanto agli altri figli, per quelli che ne hanno più di uno, diano in spose le femmine secondo la legge che stabiliremo in materia, e distribuiscano i maschi come figli a chi manca di discendenza, soprattutto per fare un favore, ma se ad alcuni manchino le occasioni per fare i favori, o se i figli maschi o femmine siano più del dovuto, o anche, al contrario, siano in numero minore, per una crisi delle nascite, di tutti questi problemi dovrà occuparsi l'autorità che abbiamo stabilito come la più importante e la più degna di onori, la quale, valutando che cosa si debba fare in caso di eccesso o di mancanza di figli fornisca un sistema grazie al quale le famiglie saranno sempre e soltanto cinquemilaquaranta. I sistemi sono molti: si può vietare di procreare a quelli che nella procreazione sono troppo fecondi, e così al contrario si possono attuare le cure e le sollecitudini per incrementare le nascite mediante onori, castighi, e precetti formulati dai più vecchi e rivolti ai più giovani sotto forma di discorsi di esortazione, che permettono di raggiungere lo scopo di cui parliamo. E se alla fine ci troveremo nell'assoluta difficoltà di mantenere invariato il numero di cinquemilaquaranta famiglie, verificandosi un esubero di cittadini a causa dell'amore reciproco dei coniugi, per questo imbarazzo esiste l'antico rimedio di cui spesso abbiamo parlato, cioè l'invio di colonie, ovvero amici che si separano da amici, formate secondo il criterio dell'opportunità: se al contrario avviene una sciagura che porta con sé un'ondata di malattie, o una rovina a seguito di guerre, e, rimanendo orfana, la popolazione diminuisce rispetto al numero stabilito, non bisogna introdurre volontariamente come cittadini coloro che hanno ricevuto un'educazione illegittima, e neppure il dio, si dice, può fare violenza sulla necessità. Giunti a questo punto, supponiamo che il discorso che ora stiamo facendo ci esorti con queste parole: «O voi che siete i migliori di tutti gli uomini, non cessate mai di onorare secondo natura la somiglianza e l'uguaglianza, l'identità e ciò che viene stabilito di comune accordo, sia in relazione al numero, sia in relazione alla determinazione propria delle azioni belle e nobili: e anche adesso conservate innanzitutto per tutta la vita il numero di cui si è detto, e quindi non disprezzate l'importanza e la grandezza di quel patrimonio che precedentemente vi siete divisi secondo la giusta misura con la reciproca compravendita - perché in tali azioni non è vostra alleata né la sorte che fece quelle divisioni e che è un dio, né il legislatore -. Ora infatti la legge comanda per la prima volta al trasgressore, premettendo che chi vuole può o no partecipare alle distribuzioni per sorteggio della terra, che, essendo la terra prima di tutto cosa sacra a tutti gli dèi, e quindi dovendo i sacerdoti e le sacerdotesse fare voti nei primi, nei secondi, e anche nei terzi sacrifici, chi effettui compravendite di case o terre ricevute in sorte subisca pene adeguate per operazioni di questo genere. Questi sacerdoti collocheranno nei templi tavole di cipresso che essi avranno scritto, memorie scritte per il tempo futuro, e inoltre come custodi di queste norme, affinché siano attuate, saranno nominati quei magistrati che sembrino possedere vista assai acuta, in modo che non sfuggano loro le trasgressioni che ogni volta avvengono contro quelle, ma puniscano chi disobbedisce alla legge e insieme al dio. Quanto grande sia il bene dell'attuale legge per tutti gli stati che la accettano, e l'ordinamento corrispondente ché ad essa si aggiunga, secondo l'antico proverbio, nessuno che sia malvagio potrà saperlo, ma solo chi è esperto e possiede nobili costumi. In tale ordinamento non c'è spazio per gli affari, e ad esso segue la norma per cui nessuno deve e può accumulare ricchezze facendo affari propri di persone che non sono libere, in quanto un mestiere considerato così vergognoso devia l'indole libera, ragi on per cui non si ammetterà affatto un tale modo di raccogliere ricchezze».

Platone, "Leggi" (V, 739 a, e seguenti)

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