PAPINI, morte e resurrezione della filosofia

 

Intenzioni

Finora le critiche che si son fatte alla filosofia sono state parziali, limitate a una teoria, a un sistema, a una scuola, a un indirizzo. Quanto alla parte costruttiva si è pensato piuttosto a dare un nuovo sistema che a tramutare da' fondamenti ogni filosofia; a fare qualcosa di definitivo piuttosto che d'iniziale. Diversi sono i miei propositi:
1)) ricercare il valore della filosofia e non di alcune filosofie;
2)) rinnovarne completamente il compito e il contenuto, conservando il nome di filosofia solo per comodità di tradizione verbale.
Per giungere a questi scopi è necessario:
1)) riconoscere quali sono le aspirazioni, i caratteri essenziali della filosofia;
2)) esaminare i dati, i mezzi, gli strumenti della filosofia per vedere se le sue aspirazioni son raggiungibili;
3)) studiarne i prodotti per scoprire se fossero state raggiunte (ricerche critiche sui tre maggiori problemi filosofici: il cosmologico, lo gnoseologico e l'etico).

le volontà filosofiche

Dopo un'esposizione dei principali tipi di definizione della filosofia, dimostrerò due fatti di grande importanza:
1)) che la filosofia manca di un carattere suo proprio, di un quid speciale che la contraddistingua dalle altre forme di attività umana. Quanto all'oggetto (la conoscenza del tutto), l'ha comune con la somma di tutte le scienze; l'aspirazione all'unità, alla sintesi, s'incontra pure nelle scienze e nell'arte. Quanto ai mezzi, ai metodi, vediamo che l'uso dell'analisi e delle ipotesi è pur propria delle scienze; l'impiego della fantasia e delle immagini dell'arte; la tendenza a dar norme è comune alle arti pratiche, alla tecnologia. In generale prende dalla vita lo scopo (postulati morali) e dalle scienze e dall'arti le forme e i metodi;
2)) che attraverso tutte le molteplici definizioni appaiono costanti tre volontà della filosofia, tre caratteri o fini ch'essa crede o vuol possedere, cioè:
1) a)) l'universalità (occuparsi di tutte le cose, del tutto);
1) b)) la razionalità (cioè l'asentimentalità, l'impersonalità, l'anazionalità, l'indipendenza, la fissità ecc. ecc.);
1) c)) la realtà (il filosofo crede di poter cogliere ed esprimere la reale realtà, quella di cui la conoscenza comune, volgare, disordinata, mutevole, non è che l'apparenza ingannatrice).
Un esame dei dati della filosofia mi permetterà di vedere se queste voglie sono state o possono essere soddisfatte.

dati sentimentali

Anche i filosofi, come gli altri uomini, son mossi da sentimenti e da istinti. La filosofia non è che una reazione sentimentale, vitale, che assume esteriormente manifestazioni razionali (es. classico: giustificazioni teoriche degli istinti). C'è sempre, in ogni filosofo, una prefilosofia, ch'è fatta di elementi vitali ed effettivi. Ne accennerò, per ora, alcuni:
1)) istinto di conservazione individuale e sociale (che provoca le varie formule morali che a loro volta dànno origine a costruzioni metafisiche);
2)) sentimento estetico (amore della simmetria, mania trinitaria, uso delle metafore ecc.);
3)) bisogno di dominare (col razionalismo par di tenere in pugno le cose particolari);
4)) piacere della lotta (discussione, confutazione, sentimento di superiorità);
5)) piacere del nuovo, dell'inusato, del raro, del segreto;
6)) amore delle idee pure (che indica sensibilità poco intensa);
7)) amore della dimostrazione (es. Spinoza — piacere di genere architettonico e musicale);
8)) amore della separazione (la filosofia, come tutte le attività aristocratiche, divide dagli altri);
9)) pigrizia (che genera due aspirazioni):
a)) alla unità (per aver meno sforzo di attenzione nella conoscenza delle cose, per riunirle i fasci semplici);
b)) alla definitività (per non dover cambiare troppo spesso).
Siccome i sentimenti sono personali, variabili, molteplici, scompare la possibilità del primo carattere della filosofia, della razionalità.

dati razionali

Sono: la mente (l'attività intellettuale in genere); i concetti e l'arte di aggruppare e organizzare i concetti: la logica. Nella mente c'è da notare:
1)) l'immobilità (non s'è pensato ancora a trasformarla, a renderla più atta all'opera sua, a suscitar lati nuovi ecc.);
2)) la tendenza alla cristallizzazione (abitudini mentali);
3)) la ristrettezza (non è ancora abbastanza ampia, aperta, capace; non l'abbiamo scavata a dovere);
4)) il suo radicale contrasto colle cose (le cose sono mutevoli, varie, mobili, molteplici, ricche; il pensiero tende alla fissità, all'unicità, all'immobilità, alla semplificazione).
Quanto ai concetti son di due sorta:
1)) generali (uomo, astro ecc.) e allora non sono che segni verbali che richiamano un individuo solo, tipo, modello della classe, schematizzato e impoverito;
2)) universali (termini generali ai quali si attribuisce l'universalità: forza, spirito ecc.) i quali perdono ogni significato e divengono inconcepibili, poiché ogni concetto è comprensibile e conoscibile in quanto si differenzia e si distingue da altri, mentre nei casi di concetto universale il termine, essendo dichiarato il solo veramente esistente, quello al quale ogni manifestazione appartiene, assume ogni carattere e per conseguenza, possedendoli tutti, non si può trovare altro termine al quale contrapporlo e col quale distinguerlo per poterlo intendere. Trasformare un gruppo d'intuizioni in un concetto generale significa deformarle e impoverirle; trasformare un concetto generale in universale significa ottenere un segno vuoto, un inconcepibile assoluto. La logica, malgrado le sue apparenze di assolutezza, nasconde due pericoli che insidiano l'opera del filosofo. Essa è:
1)) relativa (ogni individuo ha una logica sua, in ogni età della sua vita, e ciò che per A è conseguenza inevitabile di una data proposizione non sembra tale a B) (Newman). Ed è relativa alla razza (confronti tra la logica aristotelica e quella nyâya) e al linguaggio (differenze tra la logica greca e quella inglese fondate sulle diversità delle lingue, cfr. Tannery e Peirce). Logica del sentimento e logica dell'immaginazione (Bergson);
2)) contraddittoria (ogni ragionamento include una petizione di principio, perché abbiamo bisogno di supporre esistente o caratterizzato o risolto quello che c'è da dimostrare, da caratterizzare o da risolvere, cfr. Agrippa, Hegel, Bertini, Nietzsche). Questa necessità del pensiero porta a porre problemi inconcepibili quali sono la maggior parte di quelli filosofici (es. origine e causa del mondo, noumeno e inconoscibile, conoscibilità reale o falsa del mondo ecc.).
I dati razionali non ci permettono dunque di raggiungere né l'universalità (inconcepibile) né la razionalità (relativa, incompleta) né la realtà (impoverimento, insufficienza della mente).

dati espressivi

Oltre che essere una germinazione interiore (vitale e sentimentale) e una costruzione esteriore (logica e razionale) la filosofia è pure un complesso di parole e di segni, cioè di espressioni. La filosofia, in quanto è comunicazione di pensieri, è linguaggio. Ora tutti i filosofi (da Platone a Vailati) si son lamentati delle imperfezioni del linguaggio, il quale essendosi formato in epoche prefilosofiche e fra genti primitive, non è adatto a esprimere le nuove scoperte del mondo e dello spirito. Le principali critiche che gli si posson muover sono:
1)) d'essere incompleto (non permette la comunicazione dei caratteri singolari speciali, personali; non dà i passaggi, le sfumature, il nuovo. Strumento livellatore e democratico: Bergson);
2)) di far credere all'esistenza di un corrispondente di ciascun segno (c'è la parola, ci dev'essere anche la cosa. Termini negativi, inconcepibili ecc.);
3)) di far credere all'inesistenza di ciò che non ha segno;
4)) di far ritenere rapporti fra le cose quelli che son semplici rapporti fra le parole (separazione, fusione);
5)) di far credere alla molteplicità delle cose quando c'è la molteplicità dei segni;
6)) di far supporre unico ciò ch'è espresso da un segno unico ecc. ecc. ecc.
Così non si esprime tutto quel che si pensa e non si pensa tutto quel che si dice. La critica del linguaggio ci porta a negare alla filosofia il raggiungimento della realtà in quanto essa vorrebbe essere espressione e comunicazione del reale. Riassumendo abbiamo veduto come i dati di cui la filosofia si giova non permettano in nessun modo la soddisfazione della sua triplice volontà di essere razionale, universale e rivelatrice di realtà. La filosofia s'è illusa ed è rimasta sconfitta.

La morte della filosofia

Poiché la filosofia non può in nessun modo raggiungere ciò che vuole è costretta a ritirarsi, a rinunziare, a morire. E ci sono infatti cause e segni di prossima morte:
1)) la sterilità (la fecondità filosofica è una leggenda: i motivi filosofici si riducono a tre o quattro, ma oggi sono esaurite tutte le formule, le combinazioni, i rifacimenti. Si vive sul passato, facendo della storia o delle variazioni di nomenclatura);
2)) l'assunzione di forme artistiche (passionalità, metafore ecc. che mostrano la tendenza a confondersi e perdersi in altra forma d'attività);
3)) le preoccupazioni pratiche che vanno crescendo e ingenerano uno spregio sempre maggiore per le riflessioni e meditazioni che non offrano immediata utilità;
4)) l'interiorità crescente (misticismo, vita intima, diffidenza dell'espressione, moto antirazionalista);
5)) il ritorno a posizioni primitive che indica la fine della parabola filosofica (le conclusioni più recenti riportano a stadi prefilosofici o della prima filosofia: animismo in metafisica; indimostrabilità della legge morale in etica; realismo ingenuo in gnoseologia ecc.).

Tentativi di salvataggio

Ci sarebbe il modo di risollevare la vita della filosofia, cercando di modificare e accomodare quegli strumenti che si son visti inadatti e contrari? Vediamo:
1)) Dati sentimentali. Bisognerebbe disumanizzare il filosofo, cioè togliergli le sue tendenze, i suoi sentimenti personali — cioè, in fondo, ucciderlo, poiché un uomo è in quanto possiede una personalità sua, in quanto è diverso dagli altri. E d'altra parte la filosofia dovrebbe pur sempre corrispondere a sentimenti anche se generali, i quali potrebbero essere, come qualcuno ha pensato o tentato, quelli più diffusi tra gli uomini. Ma anche in questo caso non s'avrebbe la razionalità universale, poiché i sentimenti seguiterebbero a modificare profondamente l'attività logica, senza contare che i sentimenti comuni alla maggioranza in una data epoca possono scomparire o trasformarsi in un'altra.
2)) Dati razionali. Occorrerebbe trasformare la mente, ma per trasformarla bisognerebbe che s'avesse già in noi il punto a cui si vorrebbe giungere, la nuova forma d'attività che si vorrebbe far nascere e allora vorrebbe dire che la mente è già trasformata. Quanto ai concetti universali si potrebbe tentare di ridursi al minimo di comprensione col massimo di generalità, cioè al dualismo. Ma anche i sistemi dualisti son monistici, dal momento che la spiegazione del mondo non vien data da essi separatamente, ma consiste nel loro rapporto, nell'atto che intercede fra loro. Inoltre o si tratta di due principi o modi assolutamente diversi ed eterogenei e allora non si capisce come possono agire l'uno su l'altro (cfr. il grande rompicapo cartesiano) o si tratta di cose che abbiano profonde relazioni fra loro, che abbiano una tal quale omogeneità (ad es. materia e forza) e allora siam forzati a ridurle sotto un unico concetto, a tornare al monismo, all'universale, all'incomprensibile.
3)) Dati espressivi. Bisognerebbe modificare il linguaggio, ma:
a)) o si tratta di tradimenti che son propri del linguaggio in quanto è linguaggio, cioè segno, espressione;
b)) o si tratta di tradimenti apparentemente transitori. Ma ad ovviarli è necessario pur sempre adoprare il linguaggio, e se questo non è ancora sicuro, come saranno sicuri i resultati? Parrebbe che non ci fosse via di scampo, ma invece ve ne son due. La filosofia non deve morire e continuerà a vivere in due modi:
1)) com'è ora, in forma di tre sopravvivenze (documento, giuoco, scudo);
2)) in altra forma, mutandone radicalmente gli spiriti e i fini (sorpassamento della filosofia). filosofia come documento I filosofi vogliono spiegare tutto, ma in generale non si curano di spiegare loro stessi e la loro filosofia. S'è dimenticato che i sistemi son pure parti dell'universo, oggetti su cui si può speculare, rivelazioni ed espressioni di uomini. La filosofia resterà dunque, come fatto, in due maniere:
1)) come documento cosmico (essendo la parte più alta, più elevata del mondo, quasi la sintesi dell'universo, il fiore delle cose, in essa si può forse scoprire il segreto di tutto, si può prenderla come quintessenza rappresentatrice, come forma suprema in cui appariscono più chiare le aspirazioni e le forme dell'inferiore);
2)) come documento psicologico (poiché ogni filosofia è l'espressione di una vita, di un temperamento, di un insieme d'istinti, di sentimenti e di voglie, noi possiamo ritradurre i simboli logici in simboli vitali, ricostruire personalità, completare vite non conosciute per altre vie, tentare rievocazioni d'individui e interpretazioni di tempi. Qualcosa di simile ho fatto per i filosofi ultimi da Kant in giù, nel mio Crepuscolo dei Filosofi).
filosofia come giuoco
Vista la vanità dell'opera filosofica quale fu sempre fatta noi non possiamo prendere più sul serio la filosofia, pensare con fede, costruire con gravità. L'arrivo alla coscienza del valore puramente verbale e personale della filosofia ci toglie ogni ragione di rispetto, di dovere, ecc. Ma ci saranno ancora degli spiriti aristocratici, i quali, pur sapendo che le loro meditazioni e costruzioni non hanno né un valore razionale né un valore universale, si diletteranno di comporre nuove metafisiche, nuove teorie della conoscenza, nuove formule morali o di adottare e trasformare variamente quelle già esistenti. Faranno, cioè, dei giuochi filosofici. Per questi occorrerà un manuale. Lo faremo e forse esporremo alcune delle regole del giuoco speculativo: la varietà, la complicazione, la contraddizione. E avremo il giuoco della battaglia (sofistica), il giuoco della cavalcata (fantasie metafisiche) ecc., ecc.

filosofia come scudo

Per molto tempo ci saranno ancora di quelli che crederanno alla solidità, all'efficacia, al valore delle teorie razionali. Allora ci serviremo di questa credenza ritardataria per giustificare i nostri atti. La filosofia rimarrà come scudo teorico delle nostre azioni. Sarà una corazza della quale noi conosceremo la fragilità, l'inconsistenza, la vanità. Sapremo che un solo colpo la dissolverebbe, ma gli altri, i fedeli, crederanno, vedendola scintillare, che sia di saldo acciaio e in molti casi ci salverà. Socialmente saremo coperti; intellettualmente, per noi, saremo nudi. la resurrezione filosofica Si tratta, fin qui, di sopravvivenze. Occorre per il nostro amor proprio di pensatori, che sotto la bandiera della filosofia ci sia qualcosa di più vivo e di più nuovo. Se la filosofia non può andare verso le vecchie mète, troviamone delle nuove. Una sola ambizione conserveremo: il possesso intero della realtà. Bisogna cominciare col fornire alla filosofia un carattere suo particolare, un quid suo proprio. Bisogna che sia qualcosa di non comune alle altre attività, qualcosa che nessuno fa o tenta. Ciò non accade colla ricerca del generale e dell'unità perché tutte le attività umane, nessuna eccettuata, ci tendono. La grande preoccupazione degli uomini è quella di gittare delle corde, delle funi, dei ganci tra le cose. Unire, legare, stringere, avvicinare. E d'altra parte togliere, impoverire, decapitare. Non vogliamo spaziare troppo coll'occhio, non vogliamo fare dei salti. Noi preghiamo la logica che stenda dappertutto le sue maglie, che prenda queste diversità ribelli per schiacciarle nel suo pugno, per farne una poltiglia digeribile. Abbiamo bisogno dell'unico che toglie fatica e dà meno noia. Riportare il nuovo al vecchio: che dolcezza! Lo spirito non vuole arricchirsi troppo, non vuole aumentare i suoi scaffali, non apre la porta che alla gente di casa. Non vuol disturbi di nuove conoscenze. Ha la malattia dei legami, dei richiami, delle comunicazioni e delle catene. Così l'umanità soddisfatta nella sua pigrizia, nella sua mania unitaria ha fatto del paragone e dell'immagine uno dei segni del genio (Aristotele, Schopenhauer, Bain, James, Hoffding). Questa abitudine ostinata di volere unire e semplificare la ritroviamo nelle varie classi di attività:
1)) nella tecnologia, nelle arti pratiche che hanno bisogno di ridurre, di schematizzare, di semplificare per i bisogni della pratica (cfr. uomini d'azione unilaterali);
2)) nell'arte la quale tende all'esclusione di una parte degli elementi della realtà colla scelta (Taine) e tende o all'unità di gruppo (teoria dei tipi di Herckenrath e di Helwig) o all'unità universale per mezzo dell'immagine (Biese, Arrèat);
3)) nelle scienze, le quali tendono, come ognun sa, alle formule semplificatrici, alle definizioni che tengon conto dei caratteri generali e aspirano all'unità completa e definitiva (grandi generalizzazioni scientifiche, monismo latente delle scienze fisiche e naturali) ecc. Tutti temono il particolare, il completo, l'isolato, il singolare (odio degli eroi). Nessuno lo vuole o lo cerca. La filosofia farà quel che nessuno fa o vuol fare, ha trovato la sua missione originale: sarà la ricerca e la scoperta del particolare. La tradizione universalista che rimonta, nella filosofia occidentale, a Senofane, ma risale al pensiero vedico, coll'unificazione del politeismo indiano in Aditi e in Agni avanti di giungere all'Atman delle Upanishads, viene ad essere spezzata. Sembrerà un ritorno, un passo indietro? Può darsi che lo dicano, ma non è. È un'illusione che l'unitarismo rappresenti uno stadio intellettuale superiore e recente. Il contrario piuttosto è vero: si pensi ai vocaboli dal larghissimo senso dei primitivi (Leibniz, Max Müller, Hoffding) alla impotenza di distinzione dei selvaggi, dei fanciulli e degli uomini volgari che vedono tutto molto più simile di quello che sia per osservatori più sottili, e si dovrà concludere che lo sviluppo intellettuale va dall'indefinito al definito, dal generale al particolare, dal confuso al distinto, dal fuso al dissociato. Gran parte del progresso intellettuale è fatto con dissociazioni d'idee (Remy de Gourmont), e il raffinamento dei sensi consiste nel cogliere quelle differenze che ai sensi rozzi e non esercitati sfuggono. Mi piace dare anche, en passant, una teoria metafisica a sostegno della necessità della ricerca del particolare. Tutte le metafisiche sono animiste, consistono, cioè, in una animazione delle cose (sensazioni) fatta con elementi affettivi o volitivi (volontà ecc.). Ora il fatto più profondo delle psiche diviene il fatto più profondo dell'universo. Questo fatto più profondo è, per me, la tendenza all'inerzia, all'ozio, al riposo, all'annientamento. Eccone alcune prove:
1)) tutte le cose e tutte le attività tendono, come abbiamo visto, verso l'unità, verso l'identità universale e suprema. Ma noi sappiamo che l'universale, l'unico, è inconcepibile e l'inconcepibile, tradotto da logico in concreto, equivale all'inesistente;
2)) tutte le cose tendono alla cessazione di sé stesse (legge del finalismo suicida). Si agisce per non agire. Ogni azione tende a fare cessare lo stato attuale, cioè la tendenza a sé stessa (Regàlia). Ogni desiderio desidera la propria negazione (Cresson). La tendenza a Dio (immobilità dell'eterno-infinito), la volontà dell'annientamento (buddismo) ecc. ecc. Il mondo, somma di tutte le cose, tende dunque a far cessare sé stesso;
3)) il mondo è forza, movimento, volontà. Ma può essere volontà di vivere (Schopenhauer)? No, perché vive di già. Sarebbe ridicolo volere e desiderare ciò che s'ha di già. Allora poiché vive e vuole non può volere che il contrario dell'esistenza, il nulla. Il mondo tende a sopprimersi, a suicidarsi. Ora dobbiamo essere noi dei semplici spettatori del mondo? Perché, dopo che abbiamo scoperto la tendenza del mondo, non cerchiamo di contrastarla, di impedirla, non ci facciamo attori ed autori? Il rimedio consiste nell'andare contro ai mezzi che fanno prevedere il finale annullamento: l'universale e il riposo. Così movendo verso il particolare e l'azione la filosofia tenta di salvare il mondo, di teoria diviene azione. Ecco l'altro gran mutamento d'indirizzo nella filosofia. Mentre finora il pensatore assumeva rispetto alle cose un'attitudine quasi passiva, conoscitiva, teorica, ora deve assumere un'attitudine attiva, pratica. Non deve solo conoscere e accettare il mondo, ma deve salvarlo, trasformarlo, ed accrescerlo. Salvarlo con la ricerca del particolare e dell'attività, trasformarlo con la ricerca di nuovi modi di conoscenza, e accrescerlo con creazione di altri mondi. (C'è il mondo? No. Ci sono i mondi, più mondi, parecchi mondi per ciascun uomo. Bisogna crearli, moltiplicarli. Sforzo supremo: mondo trascendentale, completamente diverso dall'empirico sensibile). Molti problemi metafisici non sono risolvibili che con l'azione. Ad esempio il massimo problema metafisico, il principio del mondo, è consistito o in un tentativo di ridurre l'interno, lo spirito (elemento interno, attivo, idea, volontà) all'esterno, alla materia (intuizione sensibile), il che, tradotto in termini psicologici, si dimostra assurdo; oppure di ridurre l'esterno all'interno, egualmente assurdo quando fatto razionalmente (omogeneità verbale) ed inutile quando fatto affettivamente (estasi mistica, incoscienza). Il ponte tra cose e spirito, cioè tra sensazioni e sentimenti, non può esser dato che dall'azione. E allora si rovescia la tradizione metafisica e dall'animazione si trascende alla creazione. Mentre lo sforzo dei maggiori metafisici è di mettere la volontà nel concreto (volontarismo: Schelling, Schopenhauer, Wundt, Paulsen ecc.) ci dobbiamo proporre di rendere concreta la volontà, cioè di rendere reali esternamente i nostri desideri (sogno magico che passa in filosofia). Così l'uomo non solo colla creazione della verità, dell'infinito e della legge si fa Dio (Goethe, Fichte, Feuerbach, Stirner, Comte, Hazard, Maeterlinck), ma anche coll'oggettivazione concreta del suo desiderio, colla creazione della realtà. Così con la trasformazione dell'attività filosofica di teorica in pratica, noi sfuggiamo a tutti gli inganni e a tutti i tradimenti del razionalismo e dell'espressione, delle formule, delle parole, delle forme, delle regole, che, pur essendo necessarie come strumenti di vita, sono tanti intermediari tra noi e la piena realtà, sono tanti vetri che falsano, tante forbici che tagliano. E così noi rientriamo in possesso di tutta la ricchezza del mondo (particolare) e creiamo collo spirito (nuovi mondi) e coll'azione che vivifica, per mezzo dello spirito, le cose, tendiamo a una più intensa psichizzazione del mondo. Ma resta ancora un carattere che la filosofia futura, a differenza della passata, deve possedere: la personalità. Visto che una filosofia universale, per tutti, è per più ragioni un vano sogno bisogna rassegnarci a fare una filosofia per ciascuno. Ognuno che sarà degno avrà la sua filosofia, adatta ai suoi bisogni, ai suoi interessi, ai suoi sentimenti. Non più si cercherà d'imporre a tutti una medesima uniforme d'una medesima misura. Il filosofo potrà fare due cose:
1)) un bazar di filosofie, un deposito di sistemi, un magazzino ed esposizione di teorie, divise secondo i temperamenti, i sentimenti e i fini principali: ove ciascuno che non abbia tempo di farsi da sé la filosofia possa trovare da provvedersene con poca spesa;
2)) ma poiché per farsi una filosofia è bene farla adatta al nostro io, bisogna cominciare a conoscerlo, soprattutto in quanto è singolare, in quanto si distingue e si separa dagli altri. Ecco così la teoria dell'io, l'Egologia, che conterrà i necessari degli avviamenti perché ognuno possa fare, in sé stesso, un'autoscopia che gli serva quasi di misura per procacciarsi l'attività e la filosofia che gli conviene di più.
Così non parleremo più di filosofia ma di filosofi, e non faremo la storia delle dottrine ma la storia dei dottrinari.

conclusioni
Ecco dunque capovolta la vecchia filosofia. Oggi la filosofia tende all'unico, alla teoria, alla conoscenza della realtà, all'animazione del concreto — domani dovrà dirigersi al particolare, alla pratica, alla creazione della realtà, alla concretazione dell'anima. Si poteva definirla: una conoscenza unificatrice e universale della realtà — si potrà definirla una ricerca e creazione pratica del particolare e del personale. Avremo così delle importanti conseguenze metafisiche, gnoseologiche, morali e metodologiche:
1)) Conseguenze metafisiche. La soluzione passa dal piano teorico all'attivo. Si tratta di fare e non di dire, di creare più che di spiegare. Si fa il mondo invece di accettarlo.
2)) Conseguenze gnoseologiche. Distinzione di due ordini di sapere:
a)) sapere pratico scientifico, il quale è teorico ma è fatto in vista della pratica e tende all'unità, alla semplificazione ecc.;
b)) sapere reale, filosofico, il quale è attivo ed è fatto in vista del possesso integrale della realtà, e tende al particolare, all'azione, alla personalità ecc.
3)) Conseguenze morali. Questa nuova concezione della filosofia in generale e della metafisica in particolare porta alla necessità della distinzione, della separazione, della non fusione, della lotta ecc. cioè ad una morale individualista. La morale dell'altruismo (amore, fusione, annientamento) è contraria a tutto lo spirito di questa filosofia.
4)) Conseguenze metodologiche. Non avrà solo mutazioni nel contenuto ma anche nello spirito. Non esporrà più dei risultati ma consiglierà dei mezzi. Non dirà ciò che si vede per le strade, ma dirà quali sono i viottoli per arrivarci e veder da sé. Avremo così la guida pel particolare (Taumasiologia), quella pel rifacimento del mondo (Magica) e quella pel ritrovamento e rifacimento di sé (Egologia).
Si compie così il ciclo perfetto della filosofia la quale, partita da uno stato di non espressione e di pura azione, attraverso la riflessione sugli atti sociali (morale), sul mondo (cosmologia) e sulla conoscenza (gnoseologia) ritorna, per mezzo di conseguenze gnoseologiche, alla non espressione, alla pratica, alla vita. La mia proposta di futura filosofia è nello stesso tempo il compimento, l'ultimo anello di ritorno della filosofia e il programma, il principio di qualche altra cosa. Mentre in genere i filosofi aspirarono a fare qualcosa di stabile, di ultimo, di definitivo (Hegel, Comte, ecc.) io tengo soprattutto a fare qualcosa d'iniziale, ad aprire una strada nuova ove altri, forse, camminerà e correrà.

 

(Giovanni Papini)