PLATONE, IL MITO DELLE ISOLE BEATE (GORGIA)

 

Il "Gorgia" si conclude con il primo dei grandi miti platonici della maturità: il mito del giudizio dei morti. Socrate afferma che questo racconto è in realtà un logos, e ha solo l'apparenza di mythos. Tanto è vero che egli stesso dice di vivere cercando di non commettere ingiustizia, piuttosto che di non subirla, perché teme molto di più il giudizio dei morti, con la cui narrazione si congeda da noi, che quello dei vivi.

SOCRATE: E allora, ascolta, come si dice, un gran bel racconto, che tu considererai un mito, credo, e che io, invece, considero un ragionamento. Infatti, ti narrerò ciò che sto per narrarti come se fossero cose vere. Come racconta Omero, Zeus, Posidone e Plutone (67) si spartirono il potere, dopo che l'ebbero ereditato dal padre. All'epoca di Crono, dunque, vigeva, e vige tuttora fra gli dèi, questa legge circa gli uomini: che chi fra gli uomini abbia vissuto in modo giusto e santo, una volta morto, vada ad abitare nelle Isole dei Beati, in completa felicità e al di fuori dei mali, e che chi, invece, abbia vissuto in modo ingiusto e senza dio, vada nel carcere dell'espiazione e del castigo, che chiamano Tartaro. (68) Giudici di costoro, all'epoca di Crono e anche all'inizio del regno di Zeus, erano uomini vivi, giudici di uomini a loro volta vivi, poiché li giudicavano nel giorno stesso in cui dovevano morire. I giudizi, dunque, erano dati male. Allora Plutone e i guardiani delle Isole dei Beati andarono da Zeus a dire che arrivavano da loro, nell'uno e nell'altro luogo, uomini che non meritavano di esser mandati lì . Zeus, dunque, disse: "Farò in modo che questo non accada più. Ora i giudizi sono dati male, perché coloro che vengono giudicati, sono giudicati vestiti: vengono infatti giudicati da vivi. Molti, dunque, pur avendo anime malvagie, indossano bei corpi, nobiltà e ricchezze, e, quando si tiene il giudizio, vengono molti testimoni a deporre, in loro favore, che essi hanno vissuto nel rispetto della giustizia. I giudici, allora, si lasciano impressionare da queste cose, e giudicano a loro volta vestiti, avendo l'anima coperta dagli occhi, dalle orecchie e dal resto del corpo. E tutte queste cose sono loro d'intralcio, sia i loro abiti sia quelli di coloro che vengono giudicati. Come prima cosa, dunque, bisogna fare in modo che d'ora in poi non prevedano la propria morte, perché ora la prevedono. Ed è già stato dato ordine a Prometeo (69) di far cessare questa loro preveggenza. Poi, devono essere giudicati nudi di tutte queste cose: bisogna che siano giudicati dopo che siano morti. Anche il giudice deve essere nudo, morto, e la sua anima deve contemplare l'anima di ognuno subito dopo la morte, da sola senza tutta la sua parentela, e dopo che abbia lasciato sulla terra tutta quell'ornamentazione, perché la sentenza sia giusta. E io, avendo saputo queste cose prima di voi, ho nominato giudici i miei figli, due dall'Asia, Minosse e Radamante, e uno dall'Europa, Eaco.(70) E costoro, appena gli uomini saranno morti, li giudicheranno sul prato, nel trivio da cui partono le due strade, l'una che porta alle Isole dei Beati, l'altra che porta al Tartaro. Radamante giudicherà gli uomini dell'Asia ed Eaco quelli dell'Europa; a Minosse, invece, assegnerò il privilegio di giudicare come arbitro aggiunto, quando un caso sia insolubile per gli altri due, perché sia più giusta possibile la sentenza sulla destinazione degli uomini. Questo, o Callicle, è ciò che ho sentito dire, e credo che sia vero. E da questo ragionamento io deduco la seguente conseguenza. La morte, come mi sembra, altro non è che la separazione di due cose, l'anima e il corpo, l'una dall'altra. Una volta Platone Gorgia che si siano staccate l'una dall'altra, ciascuna di esse conserva, tuttavia, la condizione che le è propria, quella che aveva, cioè, quando l'uomo era ancora in vita: il corpo mantiene la sua particolare natura, e conserva visibili i segni delle cure che gli siano state prodigate e delle vicissitudini attraverso cui sia passato. Ad esempio, se il corpo di un uomo, quando questi era in vita, era grande per natura o per alimentazione o per entrambe le cose, anche il suo cadavere, allorché egli muoia, sarà grande; e se era robusto, sarà robusto anche dopo morto, e così via. E, ancora, se uno si lasciava crescere i capelli, anche il suo cadavere avrà i capelli lunghi. E se uno da vivo era un uomo da frusta, e portava sul corpo, a ricordo delle percosse ricevute, le cicatrici lasciate dalla frusta o da altre ferite, anche sul corpo del morto le si potrà vedere. Oppure, se le membra di uno, quand'era vivo, erano rotte o distorte, questo si potrà vedere anche sul suo cadavere. In una parola, quelle caratteristiche che uno, da vivo, ha procurato al proprio corpo, queste saranno visibili, tutte o la maggior parte, per qualche tempo, anche una volta che egli sia morto. Ebbene, mi pare che accada la stessa cosa anche per l'anima, Callicle: nell'anima, quando essa si sia spogliata del corpo, tutto è visibile, le sue naturali caratteristiche e le impressioni che l'uomo riceveva nell'anima da ogni faccenda di cui si prendeva cura. Dunque, una volta giunti al cospetto del giudice, quelli dell'Asia al cospetto di Radamante, Radamante, dopo averla fermata, osserva l'anima di ognuno, senza sapere a chi appartenga; e spesso, incontrata l'anima del Gran Re, o l'anima di un qualsiasi altro re o signore, non scorse nulla di sano in quell'anima, ma la vide frustata e piena delle cicatrici lasciate dagli spergiuri e dalle ingiustizie, segni che ogni sua azione impresse sull'anima, e vide tutte le storture lasciate dalla menzogna e dalla millanteria, e non vide nulla di dritto, perché essa è cresciuta senza verità. E vide l'anima piena di sproporzione e bruttezza per colpa della licenza, della lussuria, della tracotanza e dell'intemperanza delle sue azioni. Ebbene, dopo averla vista, la spedì con disonore dritta al carcere, dove, una volta giunta, deve subire le pene che le spettano. Ebbene, a ogni uomo che sconti una pena, se questa gli sia stata giustamente inflitta, accade o di diventare migliore e di riceverne giovamento, o di diventare un esempio per gli altri, affinché gli altri, vedendolo patire le pene che gli tocca patire, per paura diventino migliori. E coloro che traggono giovamento e che scontano la pena inflitta loro dagli dèi e dagli uomini, sono coloro che abbiano peccato di colpe sanabili. Tuttavia, il giovamento viene loro a prezzo di dolori e sofferenze, sia qui sia nell'Ade, perché non è possibile liberarsi dell'ingiustizia in altro modo. Coloro che invece commisero le peggiori ingiustizie e che a causa di tali ingiustizie sono diventati insanabili, vengono usati come esempi; e mentre essi personalmente non possono più trarne alcun giovamento, dato che sono insanabili, ne traggono giovamento altri che li vedano patire, a causa delle loro colpe, i tormenti più grandi, più dolorosi e più terribili per l'eternità, sospesi lì nel carcere dell'Ade come veri esempi, spettacolo e monito per gli ingiusti che continuamente vi giungono. E sostengo che uno di questi sarà anche Archelao, se è vero ciò che dice Polo, e chiunque altro sia un tiranno pari a lui. E credo che la maggior parte di costoro che saranno usati come esempio per gli altri, venga proprio dai tiranni, dai re, dai signori e da coloro che hanno curato gli affari della città. Costoro, infatti, a causa dell'arbitrio garantito dal potere che hanno, si macchiano delle ingiustizie più gravi e più empie. E di questo anche Omero è testimone: (71) infatti re e signori li ha messi nell'Ade a pagare in eterno per le loro colpe, Tantalo, (72) Sisifo (73) e Tizio. (74) Tersite, (75) invece, e qualunque altro malvagio che fosse privato cittadino, nessuno lo ha mai rappresentato oppresso da grandi punizioni perché insanabile: infatti, credo, non gli era nemmeno possibile commettere ingiustizie tali da renderlo insanabile, e per questo era più fortunato di coloro che invece avevano il potere di commetterle. Ma, Callicle, proprio dai potenti vengono gli uomini più malvagi. Tuttavia, nulla impedisce che anche fra costoro vi siano uomini buoni, e merita davvero provare ammirazione per quelli che lo siano; infatti è difficile, Callicle, e degno di grande lode, pur trovandosi in pieno potere di commettere ingiustizia, vivere secondo giustizia. Pochi sono gli uomini di questa specie; ma poiché ce ne sono stati, qui e altrove, penso che anche in futuro ci saranno uomini perbene, buoni di questa virtù che consiste nell'amministrare secondo giustizia ciò che sia stato loro affidato. Uno di questi fu molto famoso anche presso gli altri Greci: Aristide figlio di Lisimaco.(76) Ma i potenti, carissimo, sono per la maggior parte malvagi. Dunque, come stavo dicendo, quando Radamante trova uno di costoro, su di lui non sa niente altro, né chi sia né di chi sia figlio, tranne che è malvagio; e, visto questo, lo manda al Tartaro, indicando con un contrassegno se egli sia, a suo giudizio, sanabile o insanabile. E quello, giunto lì , patisce ciò che gli tocca patire. Talora, invece, vedendo un'altra anima che abbia vissuto con santità e verità, sia essa l'anima di un privato cittadino o di chiunque altro, ma soprattutto, io ti dico, Callicle, l'anima di un filosofo che nella vita abbia fatto ciò che gli competeva fare e non si sia intromesso in troppe faccende, prova per essa ammirazione e la manda alle Isole dei Beati. Lo stesso fa Eaco, ed entrambi giudicano tenendo in mano una verga. Minosse, invece, siede sovrintendendo, ed è il solo a tenere in mano uno scettro d'oro, come l'Odisseo di Omero dice di averlo visto con uno scettro d'oro fare giustizia ai morti. (77) Io dunque, Callicle, mi sono lasciato persuadere da questo racconti, e cerco di poter mostrare al giudice la mia anima quanto è possibile sana. E così , lasciati perdere gli onori, quelli che la maggior parte della gente considera tali, coltivando la verità cercherò di vivere e di morire, quando giunga l'ora di morire, al meglio di me stesso, per quanto mi sia possibile. Ed invito anche tutti gli altri uomini, per quanto è in mio potere, e a mia volta ricambio anche te con un altro invito a questa vita e a questa lotta, che secondo me vale più di tutte le lotte di questo mondo, e ti rimprovero che non sarai capace di soccorrere te stesso, quando si terrà per te quel processo e quel giudizio di cui parlavo poco fa. Ma tu, giunto al cospetto del giudice, il figlio di Egina, (78) quando egli, afferrandoti, ti trascinerà, resterai a bocca aperta e ti sentirai smarrito, non meno di quanto lo sarei io qui; e forse qualcuno ti prenderà anche a schiaffi con disonore, e ti coprirà di Platone Gorgia insulti di ogni sorta. Probabilmente, queste cose che ti sono state narrate ti sembrerà che siano una favola, come ne raccontano le vecchie, e ne proverai disprezzo; e non farebbe nessuna meraviglia il disprezzare queste cose, se, cercando, da qualche parte ne potessimo trovare di migliori e di più vere. Ma ora vedi che voi, che siete in tre, e che siete i più sapienti dei Greci del nostro tempo, tu, Polo e Gorgia, non sapete dimostrare come si debba vivere una vita diversa da questa, una vita che si riveli vantaggiosa anche laggiù. E fra tanti ragionamenti, mentre gli altri sono stati confutati, questo è l'unico che resti saldo, ossia che bisogna guardarsi dal commettere ingiustizia più che dal subirla, e che, più di ogni altra cosa, l'uomo deve cercare non di apparire ma di essere buono, (79) sia in privato sia in pubblico; e se uno faccia qualcosa di male, egli deve essere punito, e questo è il secondo bene dopo l'essere giusto, vale a dire il diventarlo e scontare la propria colpa subendo il castigo. E ogni lusinga, sia verso se stesso sia verso gli altri, sia verso pochi sia verso molti, deve essere evitata; e della retorica bisogna servirsi sempre in funzione della giustizia, e così di ogni altra pratica. Dammi retta, dunque e seguimi là dove, una volta giunto, sarai felice, sia mentre vivi sia dopo morto, come il racconto lascia intendere. E lascia pure che qualcuno ti disprezzi, convinto che tu sia fuori di senno, e che ti insulti, se vuole, e tu, per Zeus, con coraggio, lasciati pure colpire con quello schiaffo disonorevole, perché non ti accadrà nulla di cui avere paura, se sarai davvero un uomo per bene, che coltiva la virtù. E poi, quando avremo in questo modo fatto pratica di virtù insieme, allora, se ci sembrerà utile, ci dedicheremo alle faccende politiche; o qualunque cosa ci parrà opportuna, allora prenderemo decisioni, perché saremo più capaci di prendere decisioni di quanto non lo siamo ora. Infatti è brutto che, nelle condizioni in cui è evidente che noi ora ci troviamo, ci comportiamo con baldanza, convinti di valere qualcosa, noi che non abbiamo mai la medesima opinione sulle medesime questioni, e questo proprio sulle questioni più importanti: a tal punto di ignoranza siamo giunti! E così , allora, prendiamo come guida il ragionamento che ora ci si è rivelato, il quale ci fa vedere che questo è il modo migliore di vivere, vale a dire vivere e morire coltivando la giustizia e ogni altra virtù. Seguiamo, dunque, questo modo di vivere, e invitiamo anche gli altri a seguirlo, e non quello a cui tu, fidandoti di esso, mi inviti, perché, o Callicle, non vale nulla.

 

(Platone, Gorgia, 523 A)