Platone: Uguaglianza tra uomini e donne ("Repubblica")

«A loro nome quindi diciamo: "Cari Socrate e Glaucone, non avete alcun bisogno che altri vi contraddicano, dal momento che voi stessi, all'inizio della fondazione della vostra città, avete convenuto che ogni individuo debba svolgere il proprio compito secondo natura"». «L'abbiamo convenuto, credo; come no?» «"Ma si può forse negare che la donna sia per natura molto diversa dall'uomo?"» «Certo che è diversa!». «"Perciò a entrambi spettano compiti diversi, a seconda della loro natura?"» «Sicuro». «"Come potete quindi non sbagliarvi e non cadere in contraddizione quando affermate che gli uomini e le donne devono attendere agli stessi compiti, pur avendo nature estremamente differenti? Potrai difenderti da questa obiezione, mirabile amico?"» «Così su due piedi», rispose, «non è davvero facile; ma ti pregherò, anzi ti prego fin d'ora, di esporre anche la tesi a nostro favore, quale che sia». «Queste», ripresi, «e molte altre, Glaucone, sono le obiezioni che io da tempo prevedevo; ecco perché temevo ed esitavo ad affrontare la legge sul possesso e l'educazione delle donne e dei figli». «No, per Zeus, non sembra una cosa semplice!», ammise. «No di certo», dissi. «Ma tant'è: che si cada in una piccola vasca o in mezzo al più vasto mare, si nuota comunque». «Questo è certo». «Perciò anche noi dobbiamo nuotare e cercare di uscire incolumi dalla discussione, a meno che non speriamo che ci sorregga un delfino (4) o un'altra improbabile salvezza». «Così pare», disse. «Su», proseguii, «vediamo di trovare in qualche modo la via d'uscita. Certamente noi conveniamo che ogni natura deve attendere al proprio compito, e che la natura dell'uomo e della donna sono diverse; ora però affermiamo che nature differenti devono attendere a compiti uguali. E di questo che siamo accusati?» «Senza dubbio». «Davvero grandiosa, Glaucone», esclamai, «è la potenza dell'arte del contraddire!». «Perché?» «Perché», risposi, «mi sembra che molti vi cadano anche senza volerlo e siano convinti non di litigare, bensì di discutere, in quanto non sanno esaminare l'oggetto della discussione dividendolo nei suoi aspetti costitutivi, ma vanno a caccia di obiezioni giocando sul suo nome: tra loro usano l'eristica, non la dialettica». «è vero», disse, «questo capita a molti; ma ora come ora la cosa riguarda anche noi?» «Senza dubbio», risposi: «senza volerlo rischiamo di essere invischiati nell'arte del contraddire». «In che senso?» «Noi perseguiamo alla lettera, con molta decisione e pervicacia, la tesi secondo cui a nature differenti non toccano mansioni uguali, ma non abbiamo assolutamente indagato a quale specie appartengono l'una e l'altra natura e a che cosa miravamo con la nostra definizione, quando abbiamo assegnato diverse mansioni a ciascuna natura, e mansioni uguali alla stessa natura». «è vero», disse, «questo punto non l'abbiamo indagato». «Pertanto», continuai, «possiamo domandare a noi stessi, a quanto pare, se la natura delle persone chiomate e di quelle calve è uguale e non contraria; e una volta convenuto che è contraria, se i calvi fanno i calzolai, possiamo vietarlo ai chiomati, se invece lo fanno i chiomati, possiamo vietarlo ai calvi». «Ma sarebbe ridicolo!», esclamò. «E per quale motivo», replicai, «se non perché allora non abbiamo definito con precisione la natura uguale e la natura contraria, ma abbiamo solo badato a quella specie di diversità e di somiglianza che ha attinenza con le occupazioni stesse? Ad esempio, abbiamo detto che due medici hanno la stessa natura; (5) non credi?» «Sì , certo». «E invece la natura di un medico e di un falegname è diversa?» «In tutto e per tutto». «Se dunque», proseguii, «il sesso maschile e quello femminile risulteranno differenti in rapporto a una determinata arte o a un'altra occupazione, diremo che l'assegnazione dei rispettivi compiti va fatta con questo criterio; se invece risulteranno differenti solo per il fatto che il sesso femminile partorisce e quello maschile feconda, diremo che per quanto concerne la nostra questione non è ancora stato dimostrato che la donna differisce dall'uomo, ma resteremo dell'idea che i nostri guardiani e le loro donne debbano svolgere le stesse mansioni». «E con ragione!», esclamò. «E in secondo luogo non dobbiamo invitare chi sostiene il contrario a farci sapere in quale arte o in quale occupazione, tra quelle che concernono l'organizzazione della città, la natura della donna e dell'uomo non è la stessa, ma è diversa?» «Giusto». «Forse, come dicevi poco fa, anche qualcun altro potrebbe asserire che sul momento non è facile dare una risposta soddisfacente, ma a un attento esame la cosa risulta tutt'altro che difficile». «Sì , potrebbe dirlo». «Vuoi dunque che preghiamo l'autore di queste obiezioni di seguirci, nel caso riuscissimo a dimostrargli che nel governo della città non esiste alcuna occupazione propria della donna?» «Certamente». «Su, rispondi!, gli diremo: non affermavi che l'uno è portato per natura a una cosa, l'altro no, nel senso l'uno impara con facilità, l'altro con difficoltà? E l'uno, dopo un breve apprendimento, scopre da solo molte più nozioni di quelle che ha imparato, l'altro, pur dopo molto studio ed esercizio, non ritiene nemmeno quello che ha imparato? Inoltre il corpo dell'uno è un buon servitore dello spirito, quello nell'altro gli si oppone? Ci sono forse criteri diversi da questi, con i quali definisci chi è portato per natura a ogni singola cosa e chi no?» «Nessuno potrà citarne altri», rispose. «Bene, conosci qualche attività umana in cui il sesso maschile non è superiore a quello femminile in tutto questo? Dobbiamo dilungarci a parlare della tessitura e della preparazione di focacce e dolci, in cui sembra che il sesso femminile valga qualcosa, e in cui sarebbe sommamente ridicolo che venisse sconfitto?» «Hai ragione», rispose, «ad affermare che il sesso femminile è di gran lunga inferiore all'altro quasi in tutto. Certo, molte donne sono migliori di molti uomini sotto molti aspetti, ma nel complesso è come dici tu». «Pertanto, caro amico, nel governo della città non c'è alcuna occupazione propria della donna in quanto donna, né dell'uomo in quanto uomo, ma le inclinazioni sono ugualmente ripartite in entrambi, e per sua natura la donna partecipa di tutte le attività, così come l'uomo, pur essendo più debole dell'uomo in ognuna di esse». «Senza dubbio». «E allora assegneremo tutti i compiti agli uomini, e alle donne niente?» «E perché mai?» «Invece, credo, diremo che esistono donne portate per la medicina e altre no, donne inclini per natura alla musica e altre no». «Certo». «E non esistono donne portate per la ginnastica o per la guerra, e altre che sono imbelli e non amano la ginnastica?» «Credo di sì ». «E non ci sono donne che amano la sapienza e altre che la odiano? Donne coraggiose e donne vili?» «Anche questo». «Quindi ci sono anche donne guardiane e altre no. Non abbiamo scelto con questo criterio anche la natura dei guardiani maschi?» «Proprio così ». «Dunque nella difesa della città la natura della donna e dell'uomo è la stessa, solo che una è più debole, l'altra è più forte». «Pare di sì ». «Bisogna quindi scegliere donne fornite di tali qualità perché abitino con uomini tali e li affianchino nella funzione di guardiani, dato che sono all'altezza di questo compito e hanno una natura affine alla loro». «Certamente». «E alle nature uguali non bisogna assegnare mansioni uguali?» «Sì , uguali». «Dopo tutto questo giro torniamo dunque al punto di partenza e conveniamo che non è contro natura assegnare alle donne dei guardiani la musica e la ginnastica». «Senza dubbio». «Allora le leggi che abbiamo fissato non sono impossibili da realizzare né simili a pii desideri, se davvero la nostra legislazione è conforme alla natura; piuttosto vanno contro natura, a quanto pare, le disposizioni vigenti contrarie alle nostre!». «Pare». «Bene, non dovevamo esaminare se le nostre teorie erano realizzabili e ottime?» «Sì , dovevamo». «E siamo d'accordo sul fatto che siano realizzabili?» «Sì ». «E ora occorre metterci d'accordo sul fatto che siano ottime?» «è ovvio». «E per diventare guardiana una donna riceverà un'educazione uguale a quella impartita agli uomini, tanto più che la sua natura è identica?» «Si, uguale». «Qual è la tua opinione su questo punto?» «Quale punto?» «Supponi che esistano uomini migliori e uomini peggiori, o li ritieni tutti uguali?» «Nient'affatto! ». «Quindi, nella città da noi fondata, quali uomini pensi che siano riusciti migliori: i guardiani grazie all'educazione che abbiamo descritto, o i calzolai grazie all'istruzione ricevuta nella loro arte?» «Fai una domanda ridicola!», rispose. «Capisco», dissi. «Ma tra gli altri cittadini essi non sono i migliori?» «Certamente». «E queste donne non saranno le migliori tra tutte le donne?» «è sicuro anche questo». «Esiste un bene più grande per la città che l'avere le donne e gli uomini migliori in assoluto?» «Non esiste». «E questo risultato sarà prodotto grazie all'apporto della musica e della ginnastica, nel modo che abbiamo descritto?» «Come no?» «Quindi abbiamo stabilito una legislazione non solo realizzabile, ma anche ottima per la città». «è così ». «Perciò le donne dei guardiani devono spogliarsi, se davvero si vestiranno della virtù anziché degli abiti, e prendere parte alla guerra e agli altri compiti attinenti alla difesa della città, senza occuparsi di altro; ma per la debolezza del loro sesso i compiti più leggeri debbono essere assegnati alle donne piuttosto che agli uomini. E l'uomo che ride alla vista di donne nude che si esercitano per lo scopo più nobile, "frutto acerbo di sapienza cogliendo col suo riso",(6) a quanto pare non sa assolutamente il motivo per cui ride e quello che fa, dal momento che suona e suonerà sempre appropriata questa sentenza: l'utile è bello, il dannoso è brutto». «Senz'altro». «Possiamo dunque affermare di essere scampati come a una prima onda nel trattare la legge sulle donne, tanto che non siamo rimasti completamente sommersi stabilendo che i nostri guardiani e le nostre guardiane devono attendere a ogni compito in comune, anzi il discorso, in coerenza con se stesso, riconosce l'attuabilità e l'utilità delle nostre proposte?» «Sei scampato a un'onda davvero non piccola!», esclamò. «Eppure non la giudicherai grande», replicai, «quando avrai visto quella successiva». «Parla allora, così la vedrò anch'io», disse. «Da tutte le leggi precedenti», incominciai, «compresa l'ultima, deriva, penso, quest'altra». «Quale?» «Le donne di questi nostri uomini siano tutte in comune, e nessuna conviva in privato con nessuno; inoltre anche i figli siano comuni, e il padre non conosca il figlio, né il figlio il padre». «Per questa legge», osservò, «il rischio di non essere creduta attuabile e utile è molto più grande che per quell'altra». «Non credo», risposi, «che quanto a utilità si possa dubitare del grandissimo vantaggio di avere le donne in comune, purché la proposta sia attuabile; ma penso che possano sorgere forti dubbi sulla sua realizzabilità». «Ma si può ragionevolmente dubitare dell'una e dell'altra cosa», ribatté. «Le tue parole sono una congiura di obiezioni», dissi. «E io credevo che sarei sfuggito a una delle due, se il provvedimento ti fosse parso utile, e che mi restasse solo la questione relativa alla sua realizzabilità! ». «E invece non sei riuscito a svignartela di nascosto», replicò, «ma devi rendere ragione di entrambe le cose!». «Devo scontare la pena», dissi. «Tuttavia fammi questo piacere: lasciami celebrare un giorno di festa, come fanno le persone pigre d'intelletto, che quando camminano da sole hanno l'abitudine di invitarsi a pranzo da sé. Costoro, prima ancora di trovare il modo di realizzare un desiderio, lo lasciano perdere per non affaticarsi a decidere sulla sua fattibilità, e dando per scontato ciò che vogliono, organizzano di conseguenza tutto il resto e si compiacciono di raccontare cosa faranno se i loro progetti si realizzeranno, rendendo ancora più pigra la loro anima, già altrimenti pigra. A questo punto anch'io mi abbandono alla mollezza, e desidero differire ed esaminare più tardi se le nostre norme sono attuabili; ora, dando per scontato che lo siano, col tuo permesso esaminerò come i governanti le regoleranno, una volta che siano entrate in vigore, dichiarando che se fossero messe in atto sarebbero quanto mai utili alla città e ai guardiani. Cercherò di esaminare con te prima questo punto, poi l'altro, se me lo concedi». «Sì », disse, «te lo concedo; inizia pure il tuo esame». «Credo», ripresi, «che se i governanti saranno veramente degni di questo nome, e così pure i loro assistenti, gli uni accetteranno di eseguire gli ordini, gli altri di imporli, da una parte obbedendo essi stessi alle leggi, dall'altra conformandosi ad esse per ciò che rimetteremo al loro arbitrio». «è logico», disse. «Allora tu», continuai, «che sei il loro legislatore, sceglierai le donne così come hai scelto gli uomini, in modo da unire persone il più possibile simili per natura; ed essi, avendo case e pasti in comune, dal momento che nessuno possiede niente del genere a titolo personale, vivranno assieme e frequentandosi nei ginnasi e nelle restanti attività educative saranno indotti da una necessità innata ad accoppiarsi. Non ti sembra che stia enunciando una conseguenza necessaria?» «Sì », rispose, «una conseguenza dettata da necessità non geometriche, ma erotiche, che probabilmente ha più efficacia dell'altra nel persuadere e sedurre il volgo!». «Certo», dissi. «Ma oltre a ciò, Glaucone, accoppiarsi disordinatamente o agire come capita è cosa empia in una città di persone felici, e i governanti non lo permetteranno». «Sì , non è giusto», ammise. «è chiaro dunque che a questo punto renderemo le nozze quanto più è possibile sacre; e saranno sacre le nozze più utili».(7) «Senz'altro». «E come faranno a essere le più utili? Dimmi una cosa, Glaucone: vedo in casa tua cani da caccia e un gran numero di uccelli rari. Hai mai pensato al loro accoppiamento e alla loro figliazione?» «Ossia?», chiese. «Tanto per cominciare, sebbene siano tutti di razza, non ce ne sono alcuni che tra loro risultano i migliori?» «Ci sono». «E tu fai figliare da tutti quanti indistintamente, o stai attento che ciò avvenga il più possibile dai migliori?» «Dai migliori». «Dai più giovani, dai più vecchi, o da quelli nel massimo fiore dell'età?» «Da questi ultimi». «E se la figliazione non avviene così , ritieni che la razza degli uccelli e dei cani peggiorerà di molto?» «Certamente», rispose. «E per i cavalli e gli altri animali pensi che sia diverso?», domandai. «Sarebbe assurdo!», esclamò. «Perbacco!», feci io. «Bisogna che i nostri governanti, caro amico, siano davvero di prim'ordine, se è così anche per il genere umano!». «Certo che è così », disse. «Ma perché?» «Perché», risposi, «è necessario che essi facciano uso di molti rimedi. Noi pensiamo che per il corpo di chi non ha bisogno di medicine, ma vuole soltanto seguire una dieta, basti anche un medico mediocre; quando invece occorre anche somministrare delle medicine, sappiamo che c'è bisogno di un medico più valido». «è vero; ma perché lo dici?» «Per questo motivo», risposi: «è probabile che i nostri governanti debbano ricorrere frequentemente alla menzogna e all'inganno per il bene dei sudditi. E abbiamo affermato che tutto ciò è utile come una medicina». «E con ragione», aggiunse. «Ebbene, pare che questa giusta ragione sia di non poco momento nei matrimoni e nella procreazione». «In che senso?» «In base a quanto si è convenuto», risposi, «i maschi migliori devono unirsi il più spesso possibile alle femmine migliori, e al contrario i maschi peggiori alle femmine peggiori; e i figli degli uni vanno allevati, quelli degli altri no, se il gregge dev'essere quanto mai eccellente. Ma nessuno, fuor che i governanti, deve sapere che avviene tutto questo, se il gregge dei guardiani vorrà essere il più possibile immune dalla discordia». «Giustissimo», disse. «Bisogna dunque istituire alcune feste e cerimonie sacre nelle quali riuniremo gli sposi e le spose, e i nostri poeti devono comporre degli inni adatti alle nozze che vengono celebrate; sul loro numero lasceremo decidere ai governanti, che si porranno l'obiettivo primario di mantenere invariata la popolazione, di modo che, tenendo conto di guerre, malattie e altri eventi del genere, la nostra città non diventi, nei limiti del possibile, né troppo grande né troppo piccola». «Giusto», disse. «Allora credo che si debbano organizzare dei sorteggi mirati, per far sì che in ogni accoppiamento la persona mediocre incolpi la sorte, non i governanti». «Ma certo», assentì . «E ai giovani valorosi in guerra o in altri campi bisogna assegnare, oltre a onori e altre ricompense, una più ampia facoltà di giacere con le donne, così che abbiano nello stesso tempo il pretesto per generare il maggior numero possibile di figli». «Giusto». «Autorità apposite, costituite da uomini o da donne o da entrambi, dato che le cariche sono comuni a uomini e donne, prenderanno in consegna i neonati...» «Sì ». «... e porteranno, penso, i figli degli uomini eccellenti all'asilo, da alcune nutrici che abitano in una zona appartata della città; invece i figli degli uomini peggiori, e quelli degli altri eventualmente nati con qualche malformazione, li terranno nascosti, come si conviene, in un luogo segreto e celato alla vista». «Senz'altro», disse, «se la stirpe dei guardiani dev'essere pura».

Platone, "Repubblica"

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