Platone: Vi sarà un buon governo solo se i filosofi saranno re ("Repubblica")

«Se nelle città», dissi, «i filosofi non diventeranno re o quelli che ora sono detti re e sovrani non praticheranno la filosofia in modo genuino e adeguato, e potere politico e filosofia non verranno a coincidere, con la necessaria esclusione di quelli che in gran numero ora si dedicano separatamente all'una o all'altra attività, le città non avranno tregua dai mali, Glaucone, e neppure, credo, il genere umano, e prima di quel momento non potrà mai mettere le radici nel mondo del possibile e vedere la luce del sole questa costituzione che ora abbiamo delineato teoricamente. (19) Ecco ciò che da tempo mi rende restio a parlare, vedere quanto le mie parole vadano a cozzare contro l'opinione comune; in effetti è difficile comprendere che nessun'altra città può essere felice, nella vita privata come in quella pubblica». E lui replicò: «Che parole, che discorso ci hai scagliato addosso, Socrate! E per il solo fatto di aver parlato, sta' sicuro che ora moltissimi, e non i più vili, gettate qui su due piedi le vesti, imbracceranno nudi la prima arma che a ciascuno capita a tiro e correranno a tutta forza contro di te per combinartene delle belle! E se non li terrai a bada con il tuo discorso e non riuscirai a fuggirli, te la faranno davvero pagare con il loro dileggio». «E la colpa di ciò che mi accade», dissi, «non è forse la tua?» «E ho ragione a farlo», rispose. «Ma non ti tradirò, anzi ti difenderò con i mezzi che ho a disposizione, cioè con l'affetto e con l'incoraggiamento, e forse potrò darti risposte più appropriate di un altro. Contando su questo aiuto, cerca di dimostrare agli increduli che le cose stanno come dici tu». «Devo provarci, dato che anche tu mi offri un'alleanza così grande. Perciò mi sembra necessario, se mai dobbiamo scampare alle persone di cui parli, spiegare loro chi intendiamo per filosofi quando osiamo dire che devono governare; così , una volta chiarito questo punto, potremo difenderci mostrando che agli uni spetta per natura di dedicarsi alla filosofia e governare la città, agli altri di non praticare la filosofia e seguire chi li guida». «è tempo che tu lo spieghi!», esclamò. «Su allora, seguimi per questa via, e vediamo di trovare una spiegazione soddisfacente». «Avanti», disse. «Devo rammentarti io», domandai, «o ricordi già da te che, quando si dice di amare qualcosa, perché l'affermazione sia corretta deve risultare che non la si ama solo in parte, ma tutta quanta?» «C'è bisogno che tu me lo ricordi, a quanto pare, perché non l'ho bene in mente». «Le tue parole», replicai, «potevano addirsi a un altro; ma a un uomo incline all'amore non si addice dimenticare che tutti i giovani nel fiore dell'età in certo qual modo mordono e agitano il cuore di chi ama i ragazzi e ha un temperamento amoroso, perché gli sembrano degni delle sue cure e del suo affetto. Non fate così con i bei ragazzi? Chi ha il naso camuso, lo loderete chiamandolo piacente, chi ha il naso aquilino dite che è regale, quello che rappresenta una via di mezzo tra i due è perfettamente proporzionato, i ragazzi dalla pelle scura sono virili, quelli dalla carnagione bianca sono figli degli dèi; e l'espressione "dal colore del miele", da chi altri credi sia stata creata, se non da un amante che usa i vezzeggiativi e sopporta facilmente il colorito pallido dell'amato, purché sia nel fiore dell'età? In poche parole, accampate ogni genere di pretesto e non fate economia di parole, pur di non rifiutare nessun fanciullo nel fiore degli anni». «Se alludi a me», rispose, «dicendo che gli innamorati si comportano così , lo ammetto, ma solo nell'interesse della discussione».

Platone, "Repubblica", libro V

INDIETRO