Rorty, La filosofia di Hegel non fonda le altre discipline, ma le svuota

Richard Rorty (1931) è un filosofo americano che cerca di coniugare la sua formazione analitica con l'interesse per l'ermeneutica. In questa pagina, tratta da uno dei suoi libri piú celebri, egli vede l'idealismo tedesco, e in particolare la filosofia di Hegel, come un ostacolo nella lunga ricerca filosofica di una “teoria della conoscenza”; questa ricerca, iniziata con la filosofia moderna, è stata ripresa soltanto dopo il dileguarsi dello hegelismo.

 

R. Rorty, La filosofia e lo specchio della natura, 3

 

La definitiva differenziazione della filosofia dalla scienza fu resa possibile dall'idea che il nocciolo della filosofia fosse “la teoria della conoscenza”, una teoria distinta dalle scienze per il fatto che era la loro fondazione. Ora noi siamo in grado di ricondurre la nozione almeno alle Meditazioni di Descartes e al De Emendatione Intellectus, ma essa fino a Kant non aveva raggiunto l'autoconsapevolezza. Soltanto molto avanti nel XIX secolo giunse a strutturarsi nelle istituzioni accademiche e a consolidarsi nelle adeguate autodescrizioni scarsamente riflessive dei professori di filosofia. Senza questa idea di una “teoria della conoscenza” è difficile immaginare quale “filosofia” avrebbe potuto esserci nell'era della scienza moderna. La metafisica è considerata come la descrizione del modo in cui i cieli e la terra sono insieme accordati - era stata tolta di mezzo dalla fisica. La secolarizzazione del pensiero morale, che costituiva l'impegno dominante per gli intellettuali europei nel XVII e XVIII secolo, non veniva allora considerata come la ricerca di una nuova fondazione metafisica, da sostituire alla matafisica teistica. Kant, comunque, si dette da fare per trasformare la vecchia nozione della filosofia è la metafisica come “regina delle scienze”, grazie al suo rapporto con quanto è piú universale e meno materiale è nella nozione di una disciplina “assolutamente fondamentale”: di una disciplina fondazionale. La filosofia divenne “primaria” non nel senso di “la piú alta” ma in quello di “fondamentale”. Dopo che gli scritti di Kant videro la luce, gli storici della filosofia furono in grado di considerare i pensatori del XVII e XVIII secolo quelli che avevano tentato di rispondere alla domanda “Come è possibile la nostra conoscenza?”, e che giunsero a proiettare questo problema fin sugli antichi. Questa rappresentazione kantiana della filosofia, centrata sull'epistemologia, venne tuttavia generalmente accettata solo dopo che Hegel e l'idealismo speculativo avevano cessato di dominare la scena intellettuale in Germania. Fu solo dopo che si cominciò a dire che era ora di smetterla di sfornare sistemi e bisognava dedicarsi invece alla paziente fatica di distinguere il “dato” dalle “aggiunte soggettive” operate dalla mente, fu solo allora che la filosofia poté diventare interamente “professionalizzata”. Il movimento del “ritorno a Kant” degli anni 1860 in Germania fu anche un movimento del “mettiamoci al lavoro” è un modo di separare la disciplina autonoma e non empirica della filosofia da una parte dall'ideologia e dall'altra dalla scienza nascente della psicologia non empirica. L'immagine dell'“epistemologia-e-metafisica” come del “centro della filosofia” (e della “metafisica” come qualcosa che emerge dall'epistemologia, piuttosto che viceversa), quale fu fissata dai neokantiani, è la stessa che oggi si trova nei curricula di filosofia. [...] Ma Hegel e la costruzione idealistica dei sistemi erano nel frattempo sopraggiunti a oscurare la questione “Qual è la relazione della filosofia con le altre discipline?”. L'hegelismo forn' un'immagine della filosofia come di una disciplina che in qualche modo insieme completava e svuotava le altre discipline, piuttosto che fondarle. Esso rese anche la filosofia troppo popolare, troppo interessante, troppo importante per essere propriamente professionale; sfidava i professori di filosofia a incarnare lo Spirito del Mondo, piuttosto che a tirare avanti la propria materia.

 

(R. Rorty, La filosofia e lo specchio della natura, Bompiani, Milano, 1986, pagg. 102-103)