Rovatti, Nietzsche e il pensiero debole

La “perdita del centro” è un altro modo per dire “fine della metafisica” o di prendere atto dell’insostenibilità di un “pensiero forte”. L’uomo nuovo è colui che ormai ha imparato a convivere con il nulla.

 

P. Rovatti, Trasformazioni nel corso dell’esperienza

 

L’uomo, ha detto una volta Nietzsche, rotola via dal centro verso la x. Si allontana dal proprio luogo certo, verso un luogo incerto, un’incognita. Possiamo tentare di indicare, descrivere, raccontare questa incognita? Forse, però, piú che di raccontare un luogo non abituale, si tratta di intendere cosa significhi quel “rotolare”. L’uomo che rotola via è l’uomo del completo disincanto, dell’ironia negativa, l’“ultimo uomo” che ormai ha imparato a incassare tutto, che sa con un gesto degli occhi accettare ironicamente ogni nichilismo? Oppure c’è un oltre? E questo oltre è la dispersione di tutto quanto abbiamo pensato con la nozione di soggetto? Puro gioco di interazioni, convenzioni, combinatoria di simulacri senza referente? Oppure è ipotizzabile una “logica” del decentramento del soggetto che riesca a descrivere nel medesimo tempo, che cosa accade all’uomo quando si allontana dal suo centro e quale è il terreno, che innanzitutto occorre riconoscere, sul quale un nuovo “senso” può prodursi?

Intanto: che altro è la perdita del centro se non la dichiarazione, la sanzione che il pensiero “forte” è ormai insostenibile? La situazione tipica del pensiero “forte” è infatti quella in cui pensante e pensato, chi pensa e cosa si pensa sono solidali: si tengono in una stretta, in una corrispondenza speculare. La situazione che Nietzsche vede è caratterizzata, invece, dalla possibilità del perdersi: l’uomo è giunto dinanzi a un limite, un passo oltre e potrà sprofondare, perdersi completamente. Il luogo in cui il senso potrà riattivarsi è avvistabile solo di qui, drammaticamente. È un luogo impossibile? Molti motivi avremmo per dichiarare invalicabile questo limite: per elaborare una logica della rinuncia che ci permetta di vivere senza valori. L’“ultimo uomo” è l’uomo del compromesso che ha imparato a convivere con il nulla. Il passo in piú è un avventurarsi difficile: la soglia cela un’altra soglia, e sempre ci ritroveremo dinanzi a essa mentre ci saremo incamminati per una via tortuosa, accidentata, lunghissima e faticosa. L’immagine del cammino è metaforica (ma la metafora non è forse sempre un viaggio?). Essa indica uno stato d’animo, un nostro atteggiamento, un modo di vita. In Umano troppo umano leggiamo di un “impavido spaziare al di sopra degli uomini, dei costumi, delle leggi e delle originarie valutazioni delle cose”. Un libero spaziare? Nietzsche riprenderà e correggerà continuamente questa idea di “leggerezza” e di “libertà”: l’abisso trascina in basso e la spirale della necessità continua ad annodarsi. Non è possibile librarsi in volo e liberamente spaziare come un uccello nell’aria: forse l’unica alternativa è imparare a strisciare imitando il serpente, poiché solo aderendo alla terra avremo una possibilità di sollevarci sopra di essa.

 

G. Vattimo e P. Rovatti, Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano, 19875, pagg. 29-30