Schlick, Sull’analisi delle proposizioni

Schlick si rifà alla distinzione kantiana fra giudizi analitici e sintetici e la considera fondamentale per la comprensione della proposizione stessa. Un caso a parte è costituito dalla comprensione delle parole “qui, ora, cosí e cosí”, le quali sono delle “constatazioni”, che prevedono un giudizio di verità.

 

M. Schlick, Sul fondamento della conoscenza, in Tra realismo e neopositivismo; trad. it. di E. Picardi, Il Mulino, Bologna, 1974, pagg. 150-153  pag. 321)

 

Ora, qualche studioso di filosofia si è chiesto: come posso sapere, per ogni singolo caso, se una proposizione si trova realmente in accordo con le definizioni pertinenti e, dunque, se sia realmente analitica, e perciò indubitabile? Non debbo, forse, avere in mente le definizioni che sono state stabilite e il significato dei termini usati, quando formulo o ascolto una proposizione analitica? Ma posso essere certo che le mie facoltà psichiche e fisiche sono adeguate allo scopo? Non è, per esempio, possibile che, arrivato alla fine della proposizione (anche ponendo che la sua durata sia di un minuto secondo), io abbia dimenticato l'inizio o non abbia un ricordo esatto? Non debbo, quindi, riconoscere che per ragioni di carattere psicologico anche a proposito di un giudizio analitico non sono mai al sicuro del suo valore?

A ciò si deve rispondere che, naturalmente, non si può non riconoscere la possibilità che in ogni momento si verifichi un deterioramento del meccanismo psichico; ma si deve anche rilevare che le conseguenze che in tal caso deriverebbero non sono correttamente esposte nelle domande e nei dubbi sopra menzionati.

Può succedere che, per una debolezza della memoria o per una ragione qualsiasi non comprendiamo o comprendiamo male una proposizione, attribuendole un senso diverso da quello che ha. Ma che cosa significa questo? Fintanto che non ho compreso una proposizione, questa per me non è affatto un asserto, ma una mera successione di parole, di suoni o di segni scritti. In tal caso, però, non sussiste alcun problema, perché solo di una proposizione, e non di una successione di parole, di cui non si sia compreso il significato, si può chiedere se è analitica o sintetica. Nel caso, invece, che io abbia inteso in modo sbagliato una sequenza di parole, ma sempre considerandola una proposizione, allora so per certo se questa è analitica, e quindi valida a priori oppure no. Non si deve, cioè, credere che io possa aver compreso una proposizione come tale, e poi essere in dubbio sulla sua natura analitica. Infatti, se è analitica, posso dire di averla compresa solo quando abbia compreso che è analitica. Non per nulla, comprendere significa rendersi conto delle regole d'uso dei termini; ma sono proprio queste regole d'uso che rendono la proposizione data analitica. Quando io non so se un complesso di parole formi o no una proposizione analitica, ciò vuol dire che, per il momento, non conosco le regole d'uso delle parole che figurano in tale complesso, e, quindi, che non ho capito la proposizione; le cose, dunque, stanno in questo modo: o non ho capito nulla, e allora non posso neppure dir nulla; oppure so se la proposizione che ho compreso è analitica o sintetica (ciò che, naturalmente, non presuppone che questi termini mi siano chiari o familiari). Nel caso della proposizione analitica, so anche che è valida, cioè che gode di una verità formale.

I dubbi formulati sopra sulla validità delle proposizioni analitiche erano perciò infondati. Certo, posso dubitare di aver afferrato correttamente il senso di un dato complesso di segni anzi in generale, di riuscire a comprendere mai il senso di una qualche sequenza di segni; ma non posso chiedermi se sono davvero capace di riconoscere la validità formale di una proposizione analitica. Infatti, comprendere il senso e riconoscere la validità a priori sono, nel caso di una proposizione analitica, un unico e identico processo. Al contrario, una proposizione sintetica è caratterizzata dal fatto che non posso assolutamente sapere se è vera o falsa solo mediante la comprensione del suo significato; la sua verità può venire accertata unicamente mediante controllo empirico. Il processo, con cui se ne coglie il senso, non s’identifica con quello della verificazione.

C’è solo un'eccezione in proposito, la quale ci riporta alle nostre “constatazioni”. Queste sono sempre della forma: “qui ora, cosí e cosí”. Per esempio: “qui, ora, due punti neri coincidono”, oppure “qui, ora, dolore”, e cosí via. Ciò che accomuna tutti questi asserti è che in essi compaiono delle parole indicative, le quali hanno un senso coincidente con quello di qualche gesto ostensivo compiuto simultaneamente; le regole del loro uso prevedono che, nella costruzione della proposizione in cui esse compaiono, venga effettuata un'esperienza, che l’attenzione venga diretta su qualcosa di osservato. I1 significato delle parole “qui”, “ora”, “questo” ecc. non può esser reso mediante definizioni generali costituite da parole, bensí solo mediante quella specie di definizione che avviene con l’aiuto d’indicazioni e di ostensioni gestuali “Questo” ha senso solo se è accompagnato da un gesto. Per comprendere il senso delle proposizioni osservative si debbono contemporaneamente eseguire dei gesti, si deve in qualche modo, indicare la realtà.

In altre parole: posso comprendere il senso di una “constatazione” solo confrontandola con i fatti, cioè eseguendo quella procedura che è richiesta per la verificazione di tutte le proposizioni sintetiche.

Ma, mentre per tutti gli altri asserti sintetici la comprensione del senso e l'accertamento della verità sono processi separati e pienamente distinguibili, nelle proposizioni osservative, come in quelle analitiche, essi vengono a coincidere. Le “constatazioni” e le proposizioni analitiche sono cose ben diverse, ma hanno ciò in comune, che in entrambi i casi i processi della comprensione e della verificazione sono contemporanei: con uno stesso atto, se ne stabilisce il senso e la verità. Domandare, a proposito di una constatazione, se non ci si stia sbagliando sulla sua verità, avrebbe tanto poco senso quanto se tale domanda fosse fatta a proposito di una tautologia. Entrambe hanno validità assoluta. Solo che la proposizione analitica è vuota di contenuto, mentre la proposizione osservativa ci procura la soddisfazione di una conoscenza genuina della realtà.

Spero che sia risultato chiaro come tutto dipenda dal carattere d'immediatezza, che è proprio delle proposizioni osservative e a cui esse debbono il loro valore positivo e negativo, insieme: il valore positivo della validità assoluta, e quello negativo della inutilizzabilità quale fondamento duraturo.

Sul misconoscimento di questo carattere si basa, in gran parte, l'infelice problematica delle proposizioni protocollari, dalla quale han preso spunto le nostre considerazioni. Constatare: “qui, ora, azzurro”, non è la stessa cosa che asserire la proposizione protocollare: “Moritz Schlick ha percepito dell'azzurro, nel tal giorno dell'aprile 1934, nell'ora tale e nel tal luogo”. Quest'ultima proposizione è un'ipotesi e, quindi risulta contraddistinta da incertezza; essa è equivalente all'asserto: “M. S. ha fatto (in tempo e luogo specificati) la constatazione: qui ora, azzurro”. Si tratta di asserto che, chiaramente, non è identico alla constatazione in esso inclusa. Nei protocolli si parla sempre di percezioni (o sono sottintese; la persona dell'osservatore che ha la percezione è importante per un protocollo scientifico), mentre nelle constatazioni non se ne parla mai. Una constatazione genuina non può essere annotata poiché, non appena prendo nota delle parole ostensive “qui”, “ora” ecc., esse perdono il loro senso. Né si possono sostituire con un'indicazione del tempo e del luogo, perché non appena si fa questo, inevitabilmente si mette al posto di una proposizione osservativa una proposizione protocollare, che, come abbiamo visto, ha natura complementare diversa.

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. II, pagg. 78-80