Schmitt, Su Bodin

Schmitt esamina le tesi di Bodin sulla sovranità e sullo Stato e osserva che lo statista francese “ha introdotto la decisione nel concetto di sovranità”.

 

K. Schmitt, Teologia politica, in Le categorie del “politico”, a cura di G. Miglio, e P. Schiera, Il Mulino, Bologna, 1972, pagg. 35-36

 

Esistono alcune ricostruzioni storiche dello sviluppo del concetto di sovranità. Esse però si accontentano di mettere insieme le ultime formule astratte nelle quali sono contenute, in modo manualesco e non problematico, le definizioni della sovranità. Nessuno sembra essersi dato la briga di esaminare piú a fondo, negli studiosi piú famosi del concetto di sovranità, il significato dell’espressione, continuamente ripetuta ma del tutto vuota, di potere supremo. Già in Bodin appare chiaro che questo concetto è orientato al caso critico, cioè al caso d’eccezione. Esso costituisce l’inizio della moderna dottrina dello Stato, insieme alla sua dottrina delle “Vraies remarques de sauveraineté”, piú che non insieme alla sua spesso citata definizione (“Per sovranità si intende quel potere assoluto e perpetuo che è proprio dello Stato”). Egli illustra il suo concetto con molti esempi pratici e ritorna poi sempre alla questione: in che misura il sovrano è legato alla legge e obbligato nei confronti dei ceti? A quest’ultima domanda, particolarmente importante, Bodin risponde nel senso che le promesse sono vincolanti poiché la loro forza obbligante risiede nel diritto naturale; nel caso d’emergenza però il vincolo viene meno in base a principi naturali fondamentali. In generale egli dice che il principe è vincolato nei confronti dei ceti o del popolo solo finché l’adempimento della sua promessa coincide con l’interesse del popolo stesso, ma che egli non è piú vincolato, “se la necessità è urgente”. Queste non sono, in sé, tesi nuove. Ciò che è decisivo nelle affermazioni di Bodin è che egli riduce la discussione delle relazioni fra principe e ceti a una semplice alternativa, e che rimanda precisamente al caso d’emergenza. Questo è il lato propriamente decisivo della sua definizione che intendeva la sovranità come unità irriducibile e decideva in modo definitivo la questione del potere nello Stato. La sua validità scientifica e la ragione del suo successo consistono dunque nel fatto che egli ha introdotto la decisione nel concetto di sovranità. Non vi è oggi nessuna spiegazione del concetto di sovranità nella quale non ricorra la citazione tradizionale di Bodin. Ma in nessuna di esse si trova citato il punto cruciale di quel capitolo della Repubblica, in cui Bodin si chiede se le promesse che il principe fa ai ceti o al popolo annullano la sua sovranità. Egli risponde con il rimando al caso in cui divenga necessario agire in contrasto con tali promesse, mutare le leggi o addirittura eliminarle, “secondo l’esigenza dei casi, dei tempi e delle persone”. Se in un caso simile il principe deve preliminarmente interpellare un Senato o il popolo, ciò vuol dire che egli deve farsi autorizzare dai suoi sudditi. Ma ciò appare a Bodin come un’assurdità; infatti egli ritiene che, poiché neppure i ceti sono padroni delle leggi, anch’essi dovrebbero, a loro volta, farsi autorizzare dai loro principi, e in tal modo la sovranità verrebbe “jouée à deux parties”; sovrano sarebbe ora popolo e ora il principe, ciò che va contro ogni ragione e ogni diritto. Cosí, la competenza ad annullare la legge vigente – sia in generale che nel singolo caso – è a tal punto l’attributo peculiare della sovranità che Bodin vuole eliminare tutti gli altri caratteri di quest’ultima (dichiarazione di guerra e stipulazione della pace, nomina dei funzionari, suprema istanza, diritto di grazia, ecc.).

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. IV, pagg. 145-146