Schopenhauer, Vita e morte

A. Schopenhauer osserva che nulla nella vita è certo come la morte, e che il presente si trasforma continuamente in un passato che non c’è piú.

 

A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, I, 57

 

Ma il presente si trasforma continuamente in passato fra le sue mani: l’avvenire è del tutto incerto e sempre breve. È dunque la sua esistenza, anche se esaminata soltanto dal punto di vista formale, un continuo precipitare del presente nel morto passato, un continuo morire. Ma ora guardiamola anche dal punto di vista fisico; è chiaro che, come il nostro camminare non è notoriamente nient’altro che un cadere continuamente trattenuto, cosí la vita del nostro corpo è soltanto un morire continuamente trattenuto, una morte sempre rinviata: nello stesso modo, infine, l’attività del nostro spirito è una noia continuamente allontanata. Ciascun respiro allontana la morte sempre incalzante, con la quale in questo modo noi lottiamo ogni secondo; e cosí di nuovo a maggiori intervalli con ciascun pasto, ciascun sonno, ciascun riscaldamento, e cosí via. Alla fine la morte deve vincere: è ad essa, infatti, che apparteniamo, per il semplice fatto di essere nati; essa gioca soltanto un po’ di tempo con la preda, prima di inghiottirla. Nel frattempo continuiamo la nostra vita con grande interesse e molta cura, fin quando è possibile, come si gonfia il piú a lungo e il piú ampiamente che si può una bolla di sapone, pur con la ferma certezza che scoppierà.

La vita dei piú altro non è se non una continua battaglia per l’esistenza, con la certezza della sconfitta finale. Quello poi che li fa continuare in questa battaglia cosí difficile non è tanto l’amore per la vita, quanto la paura della morte, di quella morte che tuttavia sta inevitabile sullo sfondo, e può giungere ad ogni momento. La stessa vita è un mare pieno di scogli e di vortici, che l’uomo si sforza di evitare con la massima cura e prudenza; pur sapendo che, anche quando, con ogni sforzo e abilità, riesca a scamparne, proprio per questo egli indirizza il suo timone in linea retta verso il piú grande, totale, inevitabile e irreparabile naufragio: verso la morte: questa è la méta finale del faticoso viaggio, molto peggiore per lui di tutti gli scogli, ai quali è sfuggito.

 

Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XIX, pagg. 641-643