Severino, L'idealismo è lo sviluppo coerente della filosofia kantiana

La critica di Kant alla ragione si era risolta nella formulazione di un dualismo teorico e di un monismo pratico: alla separazione netta fra la sfera fenomenica e quella noumenica si accompagna l'unità del soggetto che, attraverso una serie di facoltà e strumenti (dai concetti puri dell'intelletto, ai postulati della ragione pratica, all'immaginazione e al giudizio riflettente), riesce nuovamente ad abbracciare tutta la realtà. Quello di Kant è un monismo “soggettivo”, fortemente minato, fra l'altro, dalla contrapposizione fra fenomeno e noumeno e, soprattutto, dalla non conoscibilità del noumeno stesso. L'istanza di Kant, esplicitamente dichiarata, è comunque quella di ricostruire un “sistema”, una “architettonica”.

I critici di Kant, che daranno vita al movimento idealista tedesco, videro nel suo “sistema” una sconfitta della ragione, costretta ad ammettere due realtà razionalmente incompatibili (una avvolta nel determinismo e l'altra che postula necessariamente la libertà). Inoltre Kant, a giudizio dei suoi critici, non avrebbe tratto le conclusioni imposte dalle sue premesse: non si sarebbe reso conto della contraddittorietà del concetto di noumeno, o “cosa in sé”.

Nella scoperta di questa contraddizione kantiana può essere rintracciata - secondo Emanuele Severino - l'origine dell'idealismo tedesco.

 

E. Severino, La filosofia moderna, XVIII, 2, 4

 

L'idealismo è la coerenza della filosofia kantiana, cosí come quest'ultima è la coerenza e la conseguenza inevitabile del modo di pensare inaugurato dalla filosofia moderna (la persuasione che la realtà sia esterna e indipendente rispetto al conoscere umano).

Si tratta di comprendere - in questo consiste l'essenza dell'idealismo è che il concetto di “cosa in sé” è contraddittorio.

La “cosa in sé” è infatti la cosa come essa è al di fuori e indipendentemente dal suo essere conosciuta: è la cosa chiusa in sé e chiusa al conoscere. Ma nel concetto di “cosa in sé”, la cosa in sé è, appunto, concepita, cioè conosciuta, e, in quanto concepita e conosciuta, essa non è chiusa in sé e chiusa al conoscere, ma aperta al conoscere. Proprio perché è concepita, la “cosa in sé” non può essere in sé.

Nel concetto di “cosa in sé”, dunque, la cosa in sé è concepita, da un lato, come cosa in sé, ma dall'altro, proprio perché essa è concepita, essa non è cosa in sé, ma, appunto, qualcosa di concepito, pensato, conosciuto.

Comprendere che il concetto di cosa in sé è contraddittorio significa comprendere che al di là del pensiero non può esistere alcuna cosa esterna e indipendente da esso.

Kant aveva distinto il “conoscere”, che ha come contenuto l'esperienza, dal “pensare”, che ha come contenuto la cosa in sé. A quest'ultima non compete cioè alcuna delle determinazioni dell'esperienza (né le determinazioni che costituiscono il molteplice empirico, né le forme a priori dello spirito), e appunto per questo essa non è conoscibile. E tuttavia essa sarebbe, per Kant, pensabile. L'idealismo mostra l'infondatezza di questa distinzione, perché anche le determinazioni indicate dai termini “cosa”, “in sé”, “oggetto trascendentale”, “inconoscibile”, “X” sono pur sempre determinazioni conoscitive, e quindi sono anch'esse determinazioni che non possono esistere esternamente e indipendentemente dal conoscere.

Proprio perché la “cosa in sé” è “pensata”, essa non può dunque essere “in sé”, né qualcosa di assolutamente inconoscibile. Il tentativo di fissare dei limiti al conoscere, quindi, non può che fallire, perché tali limiti possono essere posti solo in quanto, in qualche modo, si conosce ciò che sta al di là di essi, e cioè solo in quanto essi sono oltrepassati.

La “cosa in sé” kantiana è un assurdo, e quindi non esiste e non può esistere. Agli occhi dell'idealismo essa appare pertanto come un residuo di quell'atteggiamento dogmatico che attribuisce ai contenuti del pensiero il valore di determinazioni di un mondo fittizio esistente al di là del pensiero e che Kant ha cosí potentemente contribuito a dissolvere. Tanto piú ci si sforza di pensare una dimensione dove le cose sono in sé stesse, indipendenti e indifferenti al pensiero, tanto piú è presente quel pensiero dal quale si vorrebbe prescindere, e tanto piú appare l'impossibilità di pensare la cosa in sé, cioè il non pensato, il non conosciuto, il non concepito.

In questo senso, l'idealismo spinge a fondo e porta a compimento il criticismo kantiano; ma, proprio per questo, perviene a un senso completamente nuovo della realtà e del pensiero.

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Se quindi per il criticismo kantiano l'essenza dell'essere è di rimanere nascosta all'uomo (la cosa in sé è inconoscibile), per l'idealismo, all'opposto, l'essenza dell'essere è di rivelarsi nella conoscenza umana. In questo senso Hegel può far sua l'affermazione di Goethe che la natura non ha corteccia, cioè non si nasconde dietro un velo che non consente di rivelarne il mistero. Se (e poiché) al di là di ciò che appare nel pensiero non c'é nulla - perché se si volesse dire che c'è qualcosa (ad esempio Dio, la natura, la cosa in sé), questo qualcosa sarebbe pur sempre un che di pensato e dunque non starebbe al di là del pensiero -, allora ciò che appare nel pensiero è la vera realtà, il vero essere.

 

(E. Severino, La filosofia moderna, Rizzoli, Milano, 19873, pagg. 205-207, 210-211)