Spinoza, Natura non scorge differenze tra uomini e gli altri esseri naturali

Secondo Spinoza le leggi di Natura coincidono con la stessa legge divina, quindi hanno un valore supremo e assoluto: per questo oltrepassano i limiti della razionalità umana.

 

B. Spinoza, Trattato teologico-politico, cap. XVI

 

È tempo ora di indagare fino a qual punto, nello Stato meglio organizzato, si possa esercitare questa libertà di pensiero e di espressione. Per procedere con ordine, bisognerà esaminare i fondamenti della comunità politica e anzitutto quelli del diritto naturale dell'individuo, lasciando per ora da parte ciò che riguarda la pubblica organizzazione e la religione.

Per diritto e istituzione di natura, non intendo altro che le regole naturali proprie di ogni essere, regole secondo le quali concepiamo ciascun individuo come naturalmente determinato ad esistere e ad agire in un modo particolare. Ad esempio, i pesci sono per natura determinati a nuotare, e i piú grossi a mangiare i piú piccoli; ed è dunque in forza di un sovrano diritto di natura che i pesci hanno nell'acqua il loro dominio e che quelli piú grossi si cibano degli altri. È certo infatti che la Natura, considerata in se stessa, ha un diritto supremo su tutto ciò che rientra nel suo potere, ossia il diritto di natura si estende fin là dove giunge la potenza della Natura, poiché la potenza della Natura fa tutt'uno con la potenza di Dio, ente che detiene su ogni cosa il diritto supremo. Ma poiché la potenza globale della Natura non è altro che la somma delle potenze di tutti gli individui congiunti, ne segue che ogni individuo ha un diritto sovrano su tutto ciò che cade sotto il suo potere, ossia che il diritto di ciascuno si estende fin là dove giunge la sua particolare potenza. Poiché inoltre è legge fondamentale della Natura che ciascun essere si sforzi di perseverare nel proprio stato per quanto gli è possibile, e ciò senza tener conto di ragioni estranee, ma solo delle sue proprie, ne consegue che ciascun individuo gode di un diritto assoluto a quell'esistenza e a quell'attività (come ho detto) che sono conformi alla sua determinata natura.

A questo proposito non scorgiamo differenze tra gli uomini e gli altri esseri naturali, né tra gli uomini forniti di raziocinio e quelli che ignorano la vera ragione, né tra gli sciocchi, i folli e i sani di spirito. Qualunque ente che si comporta in base alle leggi della propria natura, agisce in virtú di un diritto sovrano; ovviamente del resto, poiché agisce cosí come è determinato dalla Natura, né potrebbe fare altrimenti. La situazione degli uomini, insomma, fino a quando vengano considerati come viventi sotto il solo dominio della Natura, è identica per tutti: tanto vive per sovrano diritto secondo le sole leggi dell'appetito colui che non conosce ancora l'esercizio della ragione o che è ancora estraneo ad ogni condotta virtuosa, quanto colui che informa il suo vivere a criteri di razionalità. In altri termini, come il sapiente gode di un diritto sovrano su tutto ciò che la razionalità gli prescrive, diritto quindi di vivere secondo le norme della ragione, cosí anche l'ignorante e l'uomo privo di forza morale gode di diritto sovrano su tutto ciò che la cupidigia gli suggerisce e quindi ha piena facoltà di vivere secondo le leggi dell'appetito. Ciò coincide con quanto insegna lo stesso Paolo, secondo il quale non ha senso parlare di peccato prima della legge, ossia fin tanto che gli uomini sono considerati come viventi sotto il dominio della Natura.

Il diritto naturale di ciascun uomo è dunque determinato e definito non da una saggia razionalità, bensí dalla propria cupidigia e dalle proprie possibilità. Non tutti infatti sono disposti per natura a conformare il loro operato alle norme e ai princípi della razionalità; al contrario, tutti nascono ignari di tutto, e prima che possano apprendere un retto modello di vita ed acquisire l'abito della virtú, passa la piú parte della loro vita, anche se abbiano beneficiato di una buona educazione. Nel frattempo essi sono costretti a vivere e a provvedere alla propria conservazione nella misura in cui è loro possibile: e ciò in base al solo impulso del desiderio, dato che la Natura non diede ad essi null'altro e rifiutò loro la capacità effettiva di vivere secondo corretti princípi razionali. Perciò non sono tenuti a vivere secondo le norme di un saggio sentire piú di quanto sia tenuto un gatto a vivere secondo la natura di un leone. A ciascuno, in quanto considerato sotto il dominio della Natura, sarà dunque lecito per primario diritto tendere al conseguimento di quanto egli - guidato da un retto ragionamento oppure dall'impeto delle passioni - giudichi vantaggioso, e parimenti lecito raggiungere il suo scopo con qualsiasi mezzo: sia con la violenza, sia con la frode, sia con la preghiera, sia infine in quel modo in cui potrà riuscirgli piú facile. Di conseguenza avrà diritto di considerare come proprio nemico chi voglia impedire l'attuazione del suo intento.

Da queste premesse deriva che la legge e l'istituzione di Natura, sotto le quali tutti nascono e vivono per la maggior parte della vita, non vietano nessuna azione eccetto quella che nessuno desidera o che nessuno può compiere; esse non si oppongono né ai conflitti, né agli odi, né alla collera, né agli inganni, né insomma a tutto quello che la cupidigia può suggerire. Non c'è motivo di meraviglia in questo. La Natura non è racchiusa e costretta entro i princípi della razionalità umana i quali mirano alla conservazione e all'effettivo interesse degli uomini; essa ne abbraccia infiniti altri che concernono l'ordinamento eterno dell'intera Natura di cui l'uomo è una particella; ed è dalla necessità di tale ordinamento che tutti gli esseri sono determinati, ciascuno nel modo proprio, ad esistere e ad agire.

Se un aspetto qualsiasi della Natura ci sembra ridicolo o assurdo o cattivo, è perché nella considerazione della realtà adottiamo prospettive parziali e ci sfuggono in gran parte l'ordine e la coerenza della Natura nella sua totalità; è perché pretendiamo che la totalità delle cose si conformi alle esigenze e ai criteri usuali della nostra razionalità. Vero è invece che ciò che la mente umana proclama “male”, non è male rispetto all'ordinamento e alle leggi dell'intera Natura, ma soltanto relativamente alle leggi della nostra natura umana.

 

(B. Spinoza, Etica e Trattato teologico-politico, UTET, Torino, 1988, pagg. 643-646)