Diogene
Laerzio ci presenta la dottrina stoica sul bene, che rifiuta di considerare
tali la ricchezza, la salute e il piacere.
Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VII, 101-103
1 [...] Gli Stoici affermano che tutti i
beni sono eguali e che ogni bene è desiderabile in altissimo grado e non
suscettibile né di diminuzione né d’accrescimento. Delle cose che sono essi
dicono che alcune sono buone, altre cattive; altre ancora né buone né cattive.
2 Buone sono le virtú, prudenza, giustizia,
fortezza, moderazione, etc.; cattive sono i vizi, stoltezza, ingiustizia, etc.;
indifferenti sono tutte le cose che non portano né vantaggio né danno: per
esempio vita, salute, piacere, bellezza, forza, ricchezza, buona reputazione, nobiltà
di nascita e i loro contrari, morte, infermità, pena, bruttezza, debolezza,
povertà, ignominia, oscura nascita e simili, come afferma Ecatone nel settimo
libro Del fine e Apollodoro nell’Etica e Crisippo. Questi dunque
non sono beni, ma sono cose indifferenti e degne di essere desiderate in senso
relativo, non in senso assoluto.
3 Come infatti proprietà del caldo è
riscaldare, non raffreddare, cosí anche proprietà del bene è giovare, non
danneggiare; la ricchezza e la salute offrono piú danno che vantaggio, dunque
né la ricchezza è un bene né la salute. Inoltre essi dicono che non è un bene
ciò di cui si può fare buono e cattivo uso; poiché sia della ricchezza sia
della salute si può fare uso buono e cattivo, né la ricchezza è un bene né la
salute. Posidonio tuttavia enumera anche queste ultime tra i beni. Ecatone nel
nono libro Dei beni e Crisippo nell’opera Del piacere sostengono
che neppure il piacere sia un bene; vi sono infatti dei piaceri vergognosi;
nulla che sia vergognoso è bene.
(Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi, Laterza, Bari, 19872,
vol. I, pagg. 278-279)