Stoicismo, Rappresentazione e assenso

Gli stoici ritenevano che per raggiungere la conoscenza fosse necessario unire alla “rappresentazione” (cosí essi chiamavano l’insieme dei dati provenienti dalla sensibilità) l’assenso del soggetto conoscente. L’assenso può essere accordato o meno a seconda dell’evidenza di quanto è percepito dai sensi. È chiara l’importanza dell’atto volitivo dell’uomo nell’azione conoscitiva.

 

fonti diverse

 

a) L’assenso (Cicerone, Academica posteriora, I, 40)

 

                Nella [...] parte [logica] della filosofia, Zenone [...] disse anzi tutto cose nuove intorno ai sensi stessi, i quali credette esser congiunti con una specie di impulso proveniente dal di fuori, che egli chiamò rappresentazione [fantasia] e noi possiamo chiamare immagine [visum] [...]. Ma a queste, che sono rappresentazioni quasi ricevute dai sensi, egli aggiunge l’assenso dell’anima, il quale vuole che sia posto in noi stessi e volontario.

 

b) Necessità e volontarietà nell’assenso (Cicerone, Academica posteriora, I, 37; Sesto Empirico, Contro i matematici, VIII, 397-398)

 

1             Essendo questa sopra tutto la differenza fra l’essere inanimato e l’animale, che l’animale opera (giacché senza operare non si può neppur pensare quale sia), o bisogna togliergli il senso, o rendergli quell’assenso che è posto in nostro potere. Ma veramente è tolta in certo qual modo l’anima a coloro che non vogliono né sentire né assentire. Come infatti è necessario che il piatto della bilancia si abbassi, quando vi sian posti su i pesi, cosí è necessario che l’anima ceda all’evidenza. Perché, come non può nessun animale non desiderare ciò che appaia appropriato alla sua natura [...] cosí non può non approvare una cosa evidente messagli innanzi.

2             Per gli Stoici [...] l’assenso della rappresentazione comprensiva [...] sembra avere un duplice aspetto, ossia aver in sé alcun che di involontario e alcun che di volontario, che sta nel nostro giudizio. Giacché il ricever rappresentazioni è involontario, e non sta in chi ne vien colpito, ma nell’oggetto rappresentato, che lo mette in tale stato spirituale, come di veder bianco postogli innanzi il color bianco, o sentir dolce applicatogli il dolce al gusto. Ma l’assentire a questo movimento sta in colui che accoglie la rappresentazione [...]. Se dalla rappresentazione comprensiva si tolga l’assenso, è tolta anche la comprensione.

 

c) La comprensione e la rappresentazione comprensiva (catalettica) (Cicerone, Academica posteriora, I, 41)

 

                Non a tutte le rappresentazioni Zenone associava la persuasione, ma solo a quelle che avessero in sé una certa propria evidenza delle cose rappresentate: quella rappresentazione poi, in quanto per se stessa evidente, chiamava comprensiva (come altrimenti tradurresti catalettica?); ma in quanto già accolta ed approvata la chiamava comprensione, a somiglianza delle cose che si afferran con la mano, dal che aveva anche tratto il nome, mentre per l’innanzi nessuno aveva adoperato tale parola in tale argomento.

 

d) La scienza (Cicerone, Academica posteriora, I, 41; Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VII, 47)

 

1             Ciò poi che era afferrato dal senso, lo chiamava sentito, e se era afferrato in modo, da non poter essere strappato dalla ragione, lo chiamava scienza, altrimenti ignoranza.

2             Serietà chiamano un’abitudine di ricondurre le rappresentazioni alla retta ragione: e questa chiaman scienza o comprensione sicura, o abitudine che mai può esser scossa dalla ragione nell’accoglimento delle rappresentazioni.

(R. Mondolfo, Il pensiero antico, La Nuova Italia, Firenze, 19673, pagg. 380-381)