SENECA, FAR PROPRIO IL PENSIERO ALTRUI

Per diventare sapienti, occorre frequentare i testi dei filosofi venuti prima di noi: ma la lettura deve configurarsi come un impossessamento di quanto questi hanno detto.

 

Perciò ai fanciulli facciamo imparare a memoria le massime e quelle che i greci chiamano chreiai perché l'intelligenza infantile arriva a comprenderle, mentre non è ancòra in grado di recepire concetti più complessi. Per un uomo maturo è una vergogna cercare di cogliere fiorellini e puntellarsi con pochissime massime, le più famose, basandosi sulla memoria: deve ormai appoggiarsi su se stesso. Concetti del genere li esprima con parole sue e non stia a impararli a memoria. È riprovevole per un vecchio o per uno ormai prossimo alla vecchiaia avere una cultura antologica: "Questo l'ha detto Zenone"; e tu, cosa dici? "Questo Cleante"; e tu? Fino a quando ti muoverai sotto la guida di un altro? Prendi il comando e pronuncia frasi che meritino di essere imparate a memoria, tira fuori anche qualcosa di tuo. 8 Tutti costoro, mai autori, sempre interpreti, nascosti all'ombra degli altri, non nutrono, secondo me, sentimenti magnanimi e non hanno mai osato fare una buona volta quello che per tanto tempo hanno imparato. Hanno esercitato la memoria su concetti di altri; ma una cosa è ricordare, un'altra sapere. Ricordare è conservare i concetti affidati alla memoria; sapere, invece, è far propri i concetti senza dipendere dai modelli e senza guardare sempre al maestro. 9 "Questo l'ha detto Zenone, questo Cleante." Deve esserci una differenza fra te e il libro. Fino a quando imparerai? Ormai è tempo anche di insegnare. Perché dovrei stare a sentire una cosa che posso leggere? "A viva voce le idee risultano molto più efficaci", ribatti. Non se si prendono a prestito da altri le parole e si funge da segretari. 10 Inoltre costoro, che non si rendono mai autonomi, seguono le teorie dei filosofi precedenti anche per questioni sulle quali tutti gli altri si sono dissociati e poi per quelle su cui ancòra si discute. Non scopriremo mai niente, se ci accontentiamo delle scoperte già fatte. Inoltre, se uno segue le orme di un altro, non trova niente, anzi neppure cerca. 11 E allora? Non dovrò seguire le orme di chi mi ha preceduto? Certo posso percorrere la vecchia strada, ma se ne troverò una più corta e più piana, cercherò di aprirla. Quegli uomini che hanno suscitato questi problemi prima di noi non sono i nostri padroni, ma le nostre guide. La verità è aperta a tutti; nessuno se n'è ancòra impossessato; gran parte di essa è stata lasciata anche ai posteri. [...] Non dobbiamo limitarci a scrivere o a leggere: la prima attività, parlo dello scrivere, riduce ed esaurisce le forze; la seconda ti snerva e ti spossa. Bisogna, invece, passare dall'una all'altra e contemperarle in modo che la penna riconduca a unità quanto si è raccolto con la lettura. 3 Dobbiamo, si dice, imitare le api che svolazzano qua e là e suggono i fiori adatti a fare il miele, poi dispongono e distribuiscono nei favi quello che hanno portato e, come scrive il nostro Virgilio, Accumulano il limpido miele e colmano le celle di dolce nettare. 4 Non si sa bene se ricavino dai fiori un succo che è addirittura miele, oppure trasformino in questa sostanza saporita le essenze raccolte, mescolandole insieme e servendosi di una qualità del loro alito. Secondo certi studiosi le api non hanno la capacità di fare il miele, ma solo di raccoglierlo. Dicono che in India il miele si trova nelle foglie di canna e che lo produce o la rugiada di quel clima o il succo dolce e piuttosto denso della canna stessa e che anche nelle nostre piante c'è un'identica sostanza, meno appariscente, però e percepibile, e le api, generate a questo scopo, la cercano e la concentrano. Per altri le api trasformano in miele le sostanze che succhiano dalle piante e dai fiori più teneri, preparandole e disponendole convenientemente, e usano, per dire così, una sorta di lievito, con cui amalgamano in un tutt'uno omogeneo essenze diverse. 5 Ma per non allontanarmi dall'argomento in questione, anche noi dobbiamo imitare le api e distinguere quello che abbiamo ricavato dalle diverse letture, poiché le cose si mantengono meglio divise; dobbiamo fondere poi, in un unico sapore, valendoci della capacità e della diligenza della nostra mente, i vari assaggi, così che, anche se ne è chiara la derivazione, appaiano tuttavia diversi dalla fonte. 6 Noi vediamo che nel nostro corpo il processo della digestione si svolge naturalmente, senza il nostro intervento; (gli alimenti che ingeriamo, finché mantengono le loro caratteristiche e galleggiano allo stato solido nello stomaco, costituiscono un peso; ma quando modificano il loro precedente stato, diventano sangue ed energie fisiche); facciamo lo stesso con il nutrimento dello spirito: e quanto abbiamo attinto, non lasciamolo intero, perché non ci rimanga estraneo. 7 Digeriamolo: altrimenti alimenterà la nostra memoria, non il nostro spirito. Aderiamo a esso totalmente e facciamolo nostro: da elementi differenti si formerà così un tutt'uno, come i singoli numeri, quando si fa il calcolo complessivo di somme minori e diverse, danno un'unica cifra. Si faccia in questo modo: dissimuliamo tutti gli apporti esterni e mostriamo solo il risultato. 8 Anche se in te si scorgerà una somiglianza con qualcuno che hai ammirato e che ti è rimasto impresso in maniera piuttosto profonda, vorrei che gli assomigliassi come un figlio, non come un ritratto: il ritratto non ha vita. "Ma come? Non si capirà chi è l'autore di cui imiti il linguaggio, le argomentazioni, i pensieri?" Secondo me, certe volte non si può nemmeno intuire, quando un uomo di grande ingegno dà un'impronta personale a tutte le idee che ha tratto dal suo modello e le rende uniformi. 9 Non vedi di quante voci è composto un coro? E tuttavia dall'insieme nasce una melodia unica. Ci sono voci acute, basse, medie; alle maschili si uniscono quelle femminili, si sovrappongono i flauti: le singole voci scompaiono e si percepiscono tutte insieme. 10 Mi riferisco al coro che conoscevano i vecchi filosofi: ora nelle rappresentazioni gli interpreti sono più numerosi di quanti erano una volta gli spettatori a teatro. Quando le file dei cantanti riempiono tutti i passaggi, e le gradinate sono circondate dai trombettieri, e dal palco risuonano insieme flauti e strumenti di ogni tipo, dai diversi suoni nasce un'armonia. Il nostro animo vorrei che fosse così: ricco di capacità, di precetti, di esempi di epoche diverse, ma fusi armonicamente insieme. 11 "Come si può arrivare a questo?" chiedi; con un'applicazione continua: se non ci faremo consigliare dalla ragione, non concluderemo niente e non potremo evitare errori. Se la vorrai ascoltare, essa ti dirà: abbandona subito questi falsi beni che tutti inseguono; abbandona la ricchezza: è un pericolo o un peso per chi la possiede; abbandona i piaceri del corpo e dello spirito: indeboliscono e snervano; abbandona l'ambizione: è un sentimento pieno di boria, vano, volubile, non ha limiti, si preoccupa di non essere inferiore o pari a nessuno, soffre di una duplice forma di invidia: guarda quanto è infelice uno che invidia ed è invidiato. 12 Vedi le case di chi conta, le soglie piene di strepito per gli alterchi dei clienti? Si litiga violentemente per entrare e ancora di più una volta entrati. Passa oltre queste scale dei ricchi e gli ingressi costruiti su grandi rialzi: qui ti trovi su un terreno che non è solo scosceso ma anche scivoloso. Volgiti piuttosto alla saggezza e aspira a quello stato di mirabile tranquillità e ampiezza che le è proprio. 13 Tutto quello che nelle vicende umane sembra emergere, si raggiunge per strade difficili e ardimentose, pur essendo roba da poco e risaltando solo al confronto con le cose più umili. Scabrosa è la via per arrivare ai vertici della dignità. Ma se vuoi raggiungere questa vetta, di fronte alla quale si piega anche la fortuna, vedrai sotto di te tutto quello che gli uomini ritengono eccelso: e tuttavia in cima ci arrivi per un sentiero pianeggiante. Stammi bene.

 

(Seneca, Lettere a Lucilio, 33-84)