SEVERINO, L'ETERNO RITORNO IN NIETZSCHE

 

Il significato dell'eterno ritorno nietzschiano: se il divenire è la forma autentica della realtà, la volontà di potenza non può che rifiutare il tempo lineare come impossibilità di modificare il passato.

 

“In particolare, Nietzsche rivela che se la misura della forza del cosmo è, per quanto immane, determinata, finita, ne segue che il numero delle combinazioni (posizioni, mutamenti, sviluppi) di tale forza è anch'esso determinato e finito; e poiché fino a questo momento è trascorsa un'infinità temporale (il cosmo esercita la sua forza finita in un tempo infinito), ne segue che tutte le combinazioni possibili della forza cosmica devono essere già esistite ed esistite un numero infinito di volte e che quindi tutto ciò che accade è una ripetizione, e così pure tutto ciò da cui esso sorge e che da esso segue.

 

Ma, appunto, questo e altri ragionamenti analoghi servono a Nietzsche non per dimostrare l'esistenza obiettiva dell'eterno ritorno, ma per dimostrare che la volontà che vuole l'eterno ritorno non vuole l'impossibile.

 

Ma questo è il motivo primario per il quale la volontà che vuole l'eterno ritorno raggiunge il culmine della volontà di potenza: volendo l'eterno ritorno delle cose, viene distrutto l'ultimo bastione degli apparati immutabili (eretto a difesa del divenire), che sembrerebbe inespugnabile: l'immutabilità e immodificabilità del passato. “Ciò che fu” è il “macigno” che la volontà “morale” non può smuovere. Essa non è capace di camminare a ritroso. Il passato, per essa, è ormai definitivamente intoccabile e immodificabile. Ma quando la volontà vuole l'eterno ritorno di tutte le cose, diventa capace di volere a ritroso, perché il passato è anche il futuro, e il futuro è il passato.

 

In questo modo, il macigno del “così fu” si scioglie nel “così volli che fosse” pronunciato dalla volontà assolutamente creatrice [...] “Imprimere al divenire il carattere dell'essere – è questa la suprema volontà di potenza. Che tutto ritorni, è l'estremo avvicinamento del mondo del divenire a quello dell'essere: culmine della contemplazione”.

 

[...] Così l'amor fati è la forma estrema di fedeltà al divenire.”

 

(Emanuele Severino, Oltre il rimedio: Nietzsche, in La filosofia contemporanea, BUR, 1996, pagg. 168-169)