SEVERINO, L'ANTITESI DI RAGIONE ED ESPERIENZA

 

La filosofia greca aveva già posto le questioni fondamentali sulle quali si sarebbe discusso nei secoli successivi: in particolare, in questo brano di Severino, viene esposto il problema essenziale dell'antitesi di ragione ed esperienza, dove la ragione indica chiaramente l'impossibilità del molteplice e la negazione del divenire (Parmenide), mentre l'esperienza attesta comunque l'apparire sostanziale del divenire e quindi la possibilità, negata dalla ragione, che l'essere possa anche non essere.

 

Nei pensatori che precedono Parmenide, la verità è l'apparire della physis intesa come unità delle cose molteplici, fonte del loro generarsi e termine del loro corrompersi. Parmenide testimonia il significato originario della physis: la physis è l'essere che si manifesta nella sua essenziale opposizione al niente. La verità è l'apparire di questa opposizione. Ma questa opposizione esige, si è visto, la negazione dell'esistenza del divenire e del molteplice. (E il problema di determinare quale sia l'elemento unificatore del molteplice è risolto eliminando i termini stessi del problema.) Divenire e molteplice non hanno verità. Sono opinione ingannevole. Affermando l'esistenza del divenire, si afferma che l'essere non è; affermando l'esistenza del molteplice, si afferma che il non-essere è.

 

E tuttavia il divenire e la molteplicità delle cose appaiono: l'universo molteplice e diveniente continua a manifestarsi anche quando si riconosca, come vuole Parmenide, che esso è privo di verità. Dopo Parmenide, la filosofia si rende esplicitamente conto che la manifestazione dell'universo molteplice e diveniente è anch'essa qualcosa di innegabile, non smentibile, incontrovertibile. Tale manifestazione è quindi, anch'essa, "verità".

 

La verità viene così a porsi in antitesi con sé medesima: da un lato, come ragione (Lògos) - ossia come negazione che l'essere sia niente -, esige l'immutabilità e la non molteplicità dell'essere, dall'altro lato, come esperienza - ossia come manifestazione del mondo -, mostra il divenire e la molteplicità dell'essere.

 

E dall'altra parte Parmenide stesso e i suoi discepoli negano sì che l'esistenza del divenire e del molteplice abbia verità, ma non negano che tale esistenza appaia e quindi riconoscono anch'essi, implicitamente, che il conenuto della "verità" non è soltanto l'opposizione tra essere e niente, ma anche l'apparire di tutto ciò che appare. Ma, proprio per questo, è il pensiero stesso di Parmenide a trovarsi in antitesi con sé medesimo perché, in quanto appaiono, il divenire e la molteplicità delle cose hanno verità, ma non hanno verità in quanto l'affermazione della loro esistenza è negazione della ragione.

 

Il problema che pertanto s'impone e che impegna tutta la filosofia greca dopo Parmenide (vedi cap. II, 1), è costituito dalla ricerca delle condizioni che impediscano l'autodistruzione della verità e cioè consentano la conciliazione della ragione con l'esperienza. In questo senso, la filosofia di Empedocle, di Anassagora e di Democrito (nel V secolo a.C.) indica già la direzione in cui si muoverà il pensiero di Platone e di Aristotele. In essa, il problema dell'antitesi tra esperienza e ragione diviene pienamente esplicito e trova i primi grandi tentativi di soluzione.

 

Innanizitutto, si tratta di reinterpretare la physis preparmenidea, tenendo conto che l'uscire e il ritornare delle cose nell'unità originari della physis non possono essere più pensati indipendentemente dal senso dell'essere e del non-essere.

 

(Emanuele Severino, La filosofia antica, Emanuele Severino, Superbur Saggi, pag. 55-56)