Tindal, Ragione e libertà di pensiero

Tindal propone una difesa accorata del “libero pensiero”: egli accetta per sé la definizione di “libero pensatore” - anche se usata in senso spregiativo dai nemici della ragione - perché è convinto che una persona non “possa ragionare bene senza pensare liberamente”. Anche per quanto riguarda il problema della “rivelazione”, il “libero pensiero” costituisce l’unico tentativo “lodevole come quello di riconciliare ragione e rivelazione, che sono rimaste tanto a lungo in disaccordo”.

 

M. Tindal, Il cristianesimo antico quanto la creazione, Cap. XII

 

Qualunque cosa sia vera per la ragione, non può mai essere falsa per rivelazione; e se Dio non può ingannarsi, né vuole ingannare gli uomini, la luce che ha dato per distinguere tra la verità religiosa e l’errore non può, se viene prestata ad essa l’attenzione dovuta, ingannarli in cose di tale importanza [...]. In breve, ammettere che nella rivelazione sia contenuto qualcosa che contrasta con la ragione, e pretendere al tempo stesso che essa sia la volontà di Dio, significa non solo distruggere la prova in base alla quale concludiamo che si tratti della volontà di Dio, ma anche la prova dell’esistenza di un Dio; se infatti le nostre facoltà usate con coscienza possono ingannarci, non possiamo essere certi della verità di nessuna proposizione, ma ogni cosa dovrebbe essere altrettanto incerta e dovremmo per sempre rimanere in uno stato di incertezza e scetticismo. Questo dimostra come agiscano in modo assurdo coloro che, col pretesto di esaltare la tradizione, cercano di indebolire la forza della ragione (per quanto facciano sempre eccezione della propria), e cosí scioccamente minano le fondamenta per sostenere la sovrastruttura; ma finché la ragione è contro gli uomini, essi devono essere contro la ragione. Non dobbiamo dunque stupirci di vedere che alcuni cercano di far ragionare gli uomini al di fuori della loro ragione: per quanto lo stesso tentativo di distruggere la ragione mediante la ragione stessa sia una dimostrazione del fatto che gli uomini non hanno niente in cui confidare tranne la ragione.

Inoltre, supporre che possa essere vera per rivelazione qualche cosa che è falsa per la ragione, non significa sostenere quella cosa, ma minare la rivelazione: infatti niente che non sia ragionevole al massimo grado può provenire da un Dio dalla razionalità illimitata, universale ed eterna; e per quanto evidente sia questa verità, essa non può impedirmi di esaminare in luogo adatto qualsiasi cosa venga addotta in base alla rivelazione. E lasciatemi dire che io non mi sorprenderò se, per un tentativo cosí lodevole come quello di riconciliare ragione e rivelazione, che sono rimaste tanto a lungo in disaccordo, dovessi essere qualificato un libero pensatore: un titolo del quale, per quanto odioso possa sembrare, io non mi vergogno affatto, poiché ritenere che una persona possa ragionare bene senza pensare liberamente, equivale ad ammettere che possa ragionare senza pensare affatto.

I nemici irriducibili della ragione, vedendo che in questa epoca razionale è troppo sconveniente attaccare apertamente la ragione, lo fanno di nascosto, sotto la denominazione di “libero pensiero”, non disperando che possa ritornare il giorno in cui i laici soffocheranno ogni pensiero che sorga nella loro mente, quale che sia la sua apparenza di verità, come un suggerimento di Satana, se contrasta con le opinioni vere o presunte dei loro preti [...].

 

(C. Giuntini, Toland e i liberi pensatori del ‘700, Sansoni, Firenze, 1974, pagg. 97-99)