TOMMASO D'AQUINO, LE DUE FONTI DELLA SCIENZA

 

Alcuni sostennero che la nostra scienza deriva tutta da una causa esterna separata dalla materia, che si divide poi in due. Ci furono di quelli, come i platonici, i quali ammisero che le forme delle cose sensibili sono separate dalla materia, e in tal modo sono intelligibili in atto... Ma questa posizione è sufficientemente confutata dal filosofo (3), il quale dimostra che bisogna porre le forme delle cose sensibili in nient'altro che nella materia sensibile. Altri ritennero che l'origine della nostra scienza era nelle sostanze separate, che noi chiamiamo angeli. Così Avicenna (4), il quale volle che, come le forme sensibili non vengono immesse nella materia sensibile se non per l'influenza dell'intelligenza operante, così le forme intelligibili non vengono impresse nelle menti umane se non da una sostanza separata... L'anima tuttavia ha bisogno dei sensi come di stimoli e di fattori dispositivi a ricevere la scienza- Questa opinione non sembra ragionevole, perché secondo essa non vi sarebbe un rapporto di dipendenza necessaria fra la conoscenza della mente umana e delle facoltà sensitive... E poi, sopprime i princìpi prossimi delle cose, posto che tutte le creature inferiori debbano ricevere immediatamente da una sostanza separata sia le forme intelligibili che quelle sensibili. Un'altra tesi è quella di coloro che ammisero l'origine della nostra scienza totalmente da una causa interiore. La quale tesi si divide anch'essa in due partì. Alcuni ritennero che le anime umane avessero in sé stesse la nozione di tutte le cose : nozione ottenebrata in seguito alla loro unione col corpo. Donde asserivano che noi abbiamo bisogno di studio e di sensi per eliminare gli impedimenti della scienza, poiché imparare non è altro che ricordare. Questa tesi non pare ragionevole, perché, se l'unione dell'anima col corpo è naturale, non può darsi che per essa venga totalmente impedita la scienza naturale; e d'altronde, se fosse vera, non saremmo del tutto ignoranti su ciò per cui non abbiamo il senso rispettivo (5). Altri dissero che l'anima è a sé stessa principio di scienza. Infatti, non riceve la scienza dalle realtà sensibili, come se, tramite l'azione dei sensibili (6), provenissero all'anima in certo modo le somiglianze delle cose; ma l'anima stessa, alla presenza delle realtà sensibili, se ne forma interiormente le immagini. Conseguentemente, fra tutte le esposte opinioni, la più ragionevole sembra quella del filosofo, il quale fa derivare la scienza del nostro pensiero in parte dall'interno e in parte dall'esterno... Quando, infatti, il nostro pensiero è messo di fronte alle cose sensibili esteriori, si trova nel loro riguardo in una duplice posizione. Anzitutto come un atto rispetto ad una potenza, in quanto le cose e&terne all'anima sono intelligibili in potenza, mentre il pensiero è intelligibile in atto, e perciò si pone in esso l'intelletto agente, che renda le cose intelligibili in atto. — In altra maniera, il pensiero sta alle cose come la potenza all'atto, in quanto le forme determinate delle cose, che fuori dell'anima sono in atto, esistono soltanto in potenza nella nostra mente. Per questo si ammette nell'anima l'intelletto possibile, il cui compito è di ricevere le forme astratte dai sensibili, rese intelligibili in atto dal lume dell'intelletto agente (7). Il qual lume dell'intelletto agente nell'anima razionale procede, come da prima origine, dalle sostanze separate e sopratutto da Dio (8). In questo senso è vero che la nostra mente riceve dai sensibili la scienza; tuttavia, però, è la stessa anima che forma in sé le similitudini delle cose, in quanto, col lume dell'intelletto agente, le forme astratte dai sensibili si rendono intelligibili in atto perché possano esser ricevute nell'intelletto possibile. E cosi anche nel lume dell'intelletto agente è per noi in certo senso originariamente infusa ogni scienza mediante i concetti universali, che si conoscono subito col lume dell'intelletto agente, e per i quali, poi, come a mezzo di princìpi universali, giudichiamo di altri princìpi e in essi li preconosciamo (9). I primi princìpi, la cui nozione ci è innata, sono certe similitudini della verità increata. Onde, giudicando a mezzo di tali similitudini altre verità, si dice che giudichiamo delle cose mediante immutabili ragioni o a mezzo dell'increata verità.

 

(Tommaso d'Aquino, De veritate, q. X, art. 6, passim)