TOMMASO D'AQUINO, NELLA CONOSCENZA L'UOMO E' PIU' ATTIVO CHE PASSIVO

 

Aristotele chiarisce se, quando alcuno passa dalla potenza prima (10) all'atto della scienza, egli si alteri e subisca passivamente un'azione. E afferma che, quando uno che prima possedeva la scienza solo in potenza, viene istruito e la riceve da un altro che la possiede in atto e dal maestro, o non si deve dire che semplicemente patisca e si alteri, o bisogna ammettere che vi sono due modi di alterazione, di cui uno consiste... nella privazione dei preesistenti modi contrari, e l'altro... nella recezione di alcune disposizioni abituali e forme che costituiscono una perfezione della natura, senza che per esse nulla vada perduto di ciò che prima esisteva. Ora, chi impara una scienza non si altera nel primo, ma nel secondo modo. Bisogna ammettere che sempre, quando qualcuno che prima conosceva in potenza passa poi di fatto al possesso della scienza, do avvenga per opera di colui che ha la scienza in atto. Si deve però riflettere che qualcosa, alle volte, viene portato dalla potenza all'atto solo da un principio estrinseco, come l'aria che viene illuminata da qualcosa di splendente in atto, ma a volte anche da un principio intrinseco, oltre che estrinseco : a somiglianza di un uomo che viene guarito a un tempo e dalla natura e dal medico. Nell'uno e nell'altro caso, però, sempre da un principio curativo attuale. Ed è chiaro che nella mente del curante c'è la ragione attiva della sanità; ma anche in chi viene sanato da un principio naturale bisogna che ci sia qualche parte sana, il cuore cioè, per la cui virtù si guariscono le altre parti (11). Quando però il medico guarisce, lo fa al modo con cui lo farebbe la natura: col calore, col freddo e con altre trasmutazioni. Sicché il medico non fa nient'altro se non aiutare la natura ad espellere il morbo, del cui aiuto la natura non avrebbe bisogno se fosse forte. Lo stesso avviene nell'acquisizione della scienza. L'uomo infatti si procura il sapere e da un principio intrinseco mentre lo trova da sé, e da un principio estrinseco mentre l'apprende da altri. In entrambi i casi però, passa dalla potenza all'atto per opera di ciò che già esiste in atto. L'uomo, infatti, col lume dell'intelletto agente apprende subito in atto i princìpi naturalmente noti; e mentre da essi svolge le conclusioni con ciò che sa attualmente, arriva all'effettiva conoscenza di ciò che sapeva in potenza. Nello stesso modo, chi insegna dal di fuori, aiuta ad apprendere: cioè, da princìpi già noti al discente, guida questi con la dimostrazione ad intendere conclusioni prima sconosciute. Il quale aiuto esterno non sarebbe certamente necessario all'uomo, se egli fosse d'intelligenza così perspicace da poter trarre da sé medesimo le conclusioni da princìpi più noti. Perspicacia che gli uomini —purtroppo — possiedono chi più e chi meno.

 

(Tommaso d'Aquino, De anima, lìb. II, lect. 11, ultimo tratto)