Voltaire, L’affare Calas

L’ “affare Calas”, del 1761, è l’episodio piú significativo della vita di Voltaire. In una lettera del 1 marzo 1765 all’amico Damilaville, egli racconta come vi sia stato coinvolto e come l’episodio si sia poi trasformato in una sconfitta del fanatismo e in una vittoria della filosofia, di cui alla fine Voltaire tesse l’elogio.

Voltaire, Lettera a Damilaville

 

Verso la fine di marzo del 1762 un viaggiatore m’informò del supplizio di Calas e mi assicurò che era innocente. Io gli risposi che il suo crimine non pareva verosimile, ma che era meno verosimile ancora che dei giudici, senza alcun interesse, facessero perire un innocente con il supplizio della ruota. Appresi il giorno dopo che uno dei figli di quel disgraziato padre si era rifugiato in Svizzera, piuttosto vicino a casa mia. La sua fuga mi fece pensare che la sua famiglia fosse colpevole. Intanto però riflettevo sul fatto che il padre era stato condannato al supplizio per aver da solo assassinato il figlio per motivi religiosi e che questo padre fosse morto all’età di sessantanove anni. Non mi ricordo di aver mai letto di una persona anziana posseduta dal fanatismo fino a questo punto. Io avevo sempre osservato che questo furore non si attacca di solito che alla giovinezza, di cui l’immaginazione ardente, tumultuosa e debole, s’infiamma per la superstizione [...]

Feci venire il giovane Calas a casa mia. Mi aspettavo di vedere un energumeno di quelli che il suo paese ha prodotti qualche volta. Vidi un ragazzo semplice, ingenuo, dalla fisionomia la piú dolce ed interessante, il quale parlandomi, faceva degli sforzi inutili per trattenere le lacrime. Mi raccontò che stava a Nimes a fare l’apprendista presso un artigiano quando la voce pubblica lo aveva informato che si stava per condannare a Tolosa tutta la sua famiglia al supplizio; che tutta la Linguadoca lo riteneva colpevole e che per evitare una sorte cosí spaventosa si era venuto a nascondere in Svizzera.

Gli chiesi se suo padre e sua madre fossero di carattere violento ed egli mi rispose che non avevano messo le mani addosso ad uno solo dei loro figli e che non vi erano genitori piú indulgenti ed affettuosi.

Non ci fu bisogno di molto altro per farmi sospettare fortemente dell’innocenza della famiglia. Presi altre informazioni da due negozianti di Ginevra, di nota probità, che avevano abitato a Tolosa presso i Calas. Essi mi confermarono nella mia opinione. Lontano dal credere la famiglia Calas fanatica e parricida, io credetti di vedere che c’erano dei fanatici che lo avevano accusato e perduto. Sapevo da molto tempo di che cosa lo spirito di parte e la calunnia sono capaci!

Ma quale fu la mia sorpresa quando, avendo scritto in Linguadoca su questa strana avventura, sia cattolici che protestanti mi risposero che non si poteva dubitare del crimine dei Calas. Non mi diedi per vinto. Mi presi la libertà di scrivere a certuni che avevano governato la provincia, a comandanti di province vicine, a dei ministri di Stato. Tutti mi consigliarono unanimemente di non immischiarmi in un affare cosí malvagio. Se avessi persistito tutti mi sarebbero stati contro.

Allora presi questa decisione: la vedova Calas, a cui per il colmo di sfortuna e di oltraggio, avevano tolto i figli, si era ritirata nella solitudine, dove si nutriva delle sue lacrime e dove attendeva la morte. Non m’informai se ella era stata attaccata alla religione protestante, ma solo se ella credeva in un Dio remuneratore della virtú e vendicatore dei crimini. Le chiesi se era disposta a dichiarare in nome di quel Dio che suo marito era morto innocente; ella non esitò. Ed io pregai il signor Mariette di prendere la sua difesa al Consiglio di Stato. Bisognava far uscire la signora Calas dal suo ritiro e farle intraprendere il viaggio per Parigi.

Allora si vide che se ci sono dei grandi crimini sulla terra, ci sono anche delle virtú e che se la superstizione produce orribili malvagità,  la filosofia porta rimedio.

Una signora, la cui generosità eguaglia gli alti natali, che allora abitava a Ginevra per far vaccinare le sue figlie, [la duchessa d’Enville] fu la prima a soccorrere quella famiglia sfortunata. Altri francesi, che si erano ritirati in quel paese, seguirono il suo esempio e cosí pure degli inglesi. Ci fu come una gara di generosità fra due nazioni a chi soccorreva meglio la virtú cosí crudelmente oppressa.

Il resto chi lo sa meglio di Lei? chi a servito l’innocente con uno zelo piú costante e piú intrepido? non è stata Lei ad incoraggiare la voce degli oratori, che è stata intesa in tutta la Francia e in tutta Europa? Noi abbiamo visto ritornare i tempi quando Cicerone  giustificava, davanti ad un’assemblea di legislatori, Amerino accusato di parricidio. Alcuni, che passano per devoti, si sono levati contro i Calas. Ma per la prima volta dopo l’affermarsi del fanatismo, la voce dei saggi li ha fatti tacere.

La ragione riporta dunque delle grandi vittorie dalle nostre parti!

[Voltaire si sofferma poi a raccontare anche dell’affare Sirvin, simile al caso Calas, in cui era stato coinvolto successivamente e conclude con un elogio alla filosofia]

Il compito di un filosofo non è di compiangere gli infelici, è di servirli. Io so con quale furore il fanatismo si alza contro la filosofia. Essa ha due figli che i fanatici vorrebbero far perire come il signor Calas, esse sono la Verità e la Tolleranza; invece la filosofia non vuole che disarmare i figli del fanatismo, la Menzogna e la Persecuzione. Gente che non ragiona ha voluto discreditare chi ragiona; essi hanno voluto confondere la filosofia con la sofistica; ma si sono sbagliati di molto. Il vero filosofo può qualche volta irritarsi contro le calunnie che lo perseguitano, egli può coprire di un eterno disprezzo il vile mercenario che oltraggia due volte al mese la ragione, il buon gusto e la virtú, egli può anche rendere ridicoli coloro che insultano la letteratura nel santuario dove avrebbero dovuto onorarla: ma egli non conosce né la cabala, né le pratiche ignobili, né la vendetta. Egli sa, come Buffon ed Helvetius, rendere la terra piú fertile e gli abitanti piú felici. La vera filosofia dissoda i campi incolti, aumenta il numero degli aratri, e per conseguenza degli abitanti, tiene occupato il povero e il ricco, incoraggia i matrimoni, dà una sistemazione agli orfani, non mormora contro le imposte necessarie e mette il coltivatore nella situazione di pagarle con allegria. Egli non si aspetta nulla dagli uomini e fa loro tutto il bene di cui è capace. Egli ha in orrore l’ipocrita e compiange il superstizioso; infine egli sa essere amico.

Voltaire, Oeuvres complètes, Librairie de Firmin Didot Frères, Fils et C., Paris 1874, Tomo V, pagg. 573–575
[traduz.
G. Zappitello]