Voltaire, Tolleranza_intolleranza

Il Trattato sulla tolleranza, da cui è tratta la pagina che proponiamo alla lettura, fu scritto in occasione dell’affaire Calas. Voltaire mostra la contraddizione fra cristianesimo e intolleranza, nonostante che molti cristiani si professino e siano intolleranti; e mette in evidenza il carattere razionale della scelta a favore della tolleranza.

 

Voltaire, Trattato sulla tolleranza, capp. XI, XXIII

 

Ma come! sarà dunque permesso a chiunque di credere soltanto alla propria ragione, e di pensare soltanto ciò che questa, illuminata o errante, gli suggerirà? Certo che sí, purché costui non turbi l’ordine: infatti, se non dipende dall’uomo il credere o il non credere, dipende certamente da lui il rispettare gli usi della patria; chi poi affermasse che il non credere nella religione dominante costituisce un crimine, si farebbe egli stesso accusatore dei primi cristiani suoi padri, e giustificherebbe proprio coloro che egli accusa come persecutori.

Si risponderà che c’è una grande differenza, che tutte le altre religioni sono opera degli uomini, e che la Chiesa cattolica apostolica romana è, sola, opera di Dio. Ma, ragionando in buona fede, la nostra religione, per il fatto che è divina, dovrebbe forse imporsi con l’odio, con la persecuzione, l’esilio, la confisca dei beni, la prigione, la tortura, il delitto e per giunta rendere grazie a Dio per tali delitti? Quanto piú la religione cristiana è divina, tanto meno toccherà all’uomo imporla. Se Dio l’ha fatta, Dio la sosterrà anche senza di voi. Ricordate che l’intolleranza non produce che ipocriti o ribelli: quale funesta alternativa! Infine, vorreste far difendere dal boia la religione di un Dio che dal boia è stato ucciso, e che non ha predicato se non la dolcezza e la pazienza?

Considerate, vi prego, le spaventose conseguenze del diritto di intolleranza. Se fosse permesso spogliare dei suoi beni, gettare in prigione, uccidere un cittadino il quale, in un certo grado di latitudine, non professasse la religione ivi ammessa, in forza di quali eccezioni potrebbero essere esentati dalle stesse pene i capi dello Stato? La religione impegna ugualmente il monarca come il mendicante: cosí, piú di cinquanta fra dottori e monaci, sono giunti ad affermare l’orribile mostruosità secondo cui sarebbe lecito deporre, uccidere i sovrani che non professano la religione della Chiesa dominante: ma i parlamentari del regno hanno costantemente cassato queste abominevoli decisioni di abominevoli teologi [...].

Non mi rivolgerò dunque piú agli uomini; ma a te, Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi e di tutti i tempi: se è permesso a deboli creature perdute nell’immensità e impercettibili al resto dell’Universo, osare di domandarti qualcosa, a te che tutto hai donato, a te i cui decreti sono immutabili quanto eterni, dégnati di considerare pietosamente gli errori connessi alla nostra natura; che questi errori non siano per noi fonte perenne di calamità. Tu non ci hai dato un cuore perché ci odiassimo, mani perché ci sgozzassimo; fa’ che sappiamo aiutarci vicendevolmente a sopportare il fardello d’una vita penosa e breve; che le piccole differenze intercorrenti fra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi, fra i nostri imperfetti linguaggi, fra tutte le nostre ridicole usanze, fra tutte le nostre leggi imperfette, fra tutte le nostre opinioni insensate, fra tutte le nostre condizioni cosí disparate agli occhi nostri e cosí uguali ai tuoi; che tutte le lievi sfumature distinguenti quegli atomi chiamati uomini, non siano segnacoli di odio e di persecuzione. Che coloro i quali accendono ceri in pieno giorno per celebrarti sopportino coloro che si contentano della luce del tuo Sole; che coloro i quali ricoprono le loro tonache con una tela bianca per significare che bisogna amarti, non odino coloro i quali affermano la stessa cosa ricoperti da un mantello di lana nera; che sia considerata la stessa cosa l’adorarti servendosi di un’antica lingua, o adoperandone una piú recente; che gli uomini rivestiti di abiti rossi o violetti, che dominano su una piccola parte del piccolo ammasso di fango di questo mondo, che posseggono qualche tondeggiante frammento di un certo metallo, godano senza orgoglio di ciò ch’essi chiamano grandezza e ricchezza; e che gli altri uomini li sopportino senza invidia: tu sai infatti che in tali vanità non c’è nulla da invidiare né di cui inorgoglirsi.

Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! Aborrire la tirannia esercitata sulle anime, cosí come hanno in esecrazione il brigantaggio, che sottrae con la violenza il frutto del lavoro e della pacifica industria! Se i flagelli della guerra sono inevitabili, almeno non odiamoci, non straziamoci a vicenda nei tempi di pace, e impieghiamo l’istante della nostra esistenza a benedire ugualmente in mille lingue diverse, dal Siam alla California, la tua bontà che ci ha donato quest’istante!

 

(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XIV, pagg. 558-559)