Woytila, Galileo piú perspicace dei suoi avversari teologi

Il 3 luglio 1981 il papa Giovanni Paolo II istituí una “Commissione Pontificia” per lo studio della controversia tolemaico-copernicana e del caso di Galileo. Il 31 ottobre 1992 la relazione conclusiva dei lavori è stata letta dal cardinale Paul Poupard, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, davanti ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze e allo stesso Giovanni Paolo II che ha pronunciato un discorso dal quale è tratto il brano che segue.

 

Giovanni Paolo II, Alla Pontificia Accademia delle Scienze, 31 ottobre 1992, II, 5-6

 

Una doppia questione sta al cuore del dibattito di cui Galileo fu al centro.

La prima è di ordine epistemologico e concerne l'ermeneutica biblica. A tale proposito, sono da rilevare due punti. Anzitutto, come la maggior parte dei suoi avversari, Galileo non fa distinzione tra quello che è l'approccio scientifico ai fenomeni naturali e la riflessione sulla natura, di ordine filosofico, che esso generalmente richiama. È per questo che egli rifiutò il suggerimento che gli era stato dato [da Bellarmino] di presentare come un'ipotesi il sistema di Copernico, fintanto che esso non fosse confermato da prove inconfutabili. Era quella, peraltro, un'esigenza del metodo sperimentale di cui egli fu il geniale iniziatore.

Inoltre la rappresentazione geocentrica era comunemente accettata nella cultura del tempo come pienamente concorde con l'insegnamento della Bibbia, nella quale alcune espressioni, prese alla lettera, sembravano costituire delle affermazioni di geocentrismo. I problemi che si posero dunque i teologi dell'epoca erano quelli della compatibilità dell'eliocentrismo con la Scrittura.

Cosí la scienza nuova, con i suoi metodi e la libertà di ricerca che essi suppongono, obbligava i teologi a interrogarsi sui loro criteri di interpretazione della Scrittura. La maggior parte non seppe farlo. Paradossalmente, Galileo, sincero credente, si mostrò su questo punto piú perspicace dei suoi avversari teologi. “Se bene la Scrittura non può errare” scrive a Benedetto Castelli “potrebbe nondimeno talvolta errare qualcuno de' suoi interpreti ed espositori, in vari modi” (Lettera del 21 dicembre 1613). Si conosce anche la sua lettera a Cristina di Lorena (1615) che è come un piccolo trattato di ermeneutica biblica.

Possiamo già formulare una prima conclusione. L'irruzione di una nuova maniera di affrontare lo studio dei fenomeni naturali impone una chiarificazione dell'insieme delle discipline del sapere: le obbliga a delimitare meglio il loro campo proprio, il loro angolo di approccio, i loro metodi, cosí come l'esatta portata delle loro conclusioni. In altri termini, questa novità obbliga ciascuna delle discipline a prendere una coscienza piú rigorosa della propria natura. Il capovolgimento provocato dal sistema di Copernico ha cosí richiesto uno sforzo di riflessione epistemologica sulle scienze bibliche [...].

 

(“L'Osservatore Romano”, 1 novembre 1992)