Yourcenar, Sul progresso

Marguerite Yourcenar (1903-1987), scrittrice di fama internazionale, pensatrice profonda e sensibile alle tematiche filosofiche, ha espresso l’esigenza di un pensiero concreto, ma aperto al sacro e all’irrazionale. Della sua scarsa propensione a seguire le mode del momento è indicativa la sua affermazione: “la retroguardia di oggi è l’avanguardia di domani”.

In questa lettura la Yourcenar afferma che il progresso è una fede e il progressista è un uomo di fede come i primi cristiani che attendevano la parusía. Il progresso è un sogno che appartiene al passato. Bisogna ricominciare ad amare la condizione umana cosí com’è.

 

M.  Yourcenar, Les yeuex ouverts [Ad occhi aperti]

 

L’uomo di sinistra, conformemente al suo credo, manifesta la sua fede non in un certo progresso, ma in un progresso certo, il che è piú grave, e lo fa assomigliare ai primi cristiani che credevano a un prossimo ritorno del Signore in terra, alla parusía. In questa nostra epoca, in cui il progresso tecnologico si è costantemente accompagnato a catastrofiche calamità, sarebbe un atteggiamento fideistico alquanto ingenuo. Ma in che cosa è diverso l’uomo di sinistra, ottimista a ogni costo, dal capitalista di destra che anche lui sogna il progresso, o quanto meno lo sognava fino a ieri? Ogni volta che vado in un supermarket, cosa che del resto mi succede di rado, mi sembra d’essere in Russia. È lo stesso cibo imposto dall’alto, assolutamente uguale in ambedue i sistemi, con la sola differenza che qui i prodotti sono imposti dalle multinazionali e là da degli organismi statali. In un certo senso, gli Stati Uniti sono altrettanto totalitari dell’URSS, e in ambedue i paesi, come del resto dappertutto, il progresso (vale a dire l’incremento del benessere umano immediato), o semplicemente il mantenimento dello statu quo presente, dipende da strutture sempre piú complesse e sempre piú fragili. Come il beato umanesimo del borghese del 1900, il progresso a getto continuo è un sogno che appartiene al passato. Bisogna imparare di nuovo ad amare la condizione umana qual è, accettare i suoi limiti e i suoi rischi, avere un rapporto diretto con le cose, rinunciare ai nostri dogmi di partito, di patria, di classe, di religione, tutti intransigenti e dunque tutti forieri di morte. Quando faccio il pane, penso alla gente che ha fatto spuntare il grano, penso ai profittatori che ne gonfiano artificialmente il prezzo, ai tecnocrati che ne hanno guastata la qualità – non che le tecniche recenti siano necessariamente un male, ma il fatto è che si sono messe al servizio dell’avidità che è certamente un male, e che la maggior parte di esse sussiste solo in virtú di grandi concentrazioni di forze che sono piene di potenziali pericoli. Penso a chi non ha pane, e a chi ne ha troppo, penso alla terra e al sole che fanno crescere le piante. Mi sento idealista e materialista al tempo stesso. Il cosiddetto idealista non vede il pane, né il prezzo del pane, e il materialista, per un curioso paradosso, ignora che cosa significhi quella cosa immensa e divina che chiamiamo “la materia”.

 

M.  Yourcenar, Ad occhi aperti, Bompiani, Milano, 1990, pagg. 200-201