IL PROCESSO DI ACCUMULAZIONE DEL CAPITALE (SEZ. VII)

E' curioso vedere come in Marx l'origine del capitalismo venga fatta risalire al momento della "circolazione" del capitale e non al momento della "separazione" dell'individuo dalla comunità, contestualmente alla rivoluzione tecnico-scientifica (anche nel servaggio e infinitamente di più nello schiavismo c'è "separazione", ma non si può certo parlare di "rivoluzione" tecnologica, poiché questa presuppone una rielaborazione culturale anticristiana).

Dice Marx: "La trasformazione di una somma di denaro in mezzi di produzione e in forza lavorativa è il primo movimento effettuato dalla quantità di valore che deve fungere da capitale. Esso si verifica sul mercato, nella sfera della circolazione"(p. 742 Ed. Newton Compton, 1976, I).

Cioè l'esigenza o la necessità o l'inevitabilità di tale trasformazione non viene spiegata ma accettata come un dato di fatto. Il capitalismo, in un certo senso, si pone come un evento del destino: il tempo e il luogo, poste quelle premesse relative alla circolazione dei capitali, possono essere considerati casuali o comunque molto relativi.

Di fronte a sé Marx ha l'immagine di un individuo singolo, dedito al commercio di qualche bene di scambio che, ad un certo punto, decide di investire il proprio denaro nell'acquisto della forza-lavoro da impiegare in un'attività produttiva finalizzata all'accumulo di capitali.

A differenza degli economisti borghesi Marx capì perfettamente che la nascita del plusvalore (il cuore dello sfruttamento capitalistico) è strettamente connessa all'impiego di manodopera salariata, ma non riuscì a spiegare le ragioni culturali (storiche, se riferite a una classe sociale; esistenziali, se riferite a un individuo) che ad un certo punto portarono il mercante a trasformarsi in capitalista.

Infatti, finché si parla di "mercante" bisogna dare per scontato il primato dell'agricoltura (il commercio è solo un addentellato di un sistema di vita rurale); quando invece si parla di "capitalista" bisogna pensare al primato dell'industria (manifattura ecc.). Qui però è bene subito precisare che non può essere l'industria che di per sé spiega la trasformazione del mercante in capitalista, poiché la presenza stessa di una manifattura implica già una rivoluzione culturale, il protagonista della quale non necessariamente è stato lo stesso mercante o la classe cui egli appartiene.

L'origine del capitalismo va cercata, come motivazione e quindi come elaborazione culturale, nei testi degli intellettuali (filosofi e soprattutto teologi) i quali, a loro volta, non potevano prevedere con chiarezza tutte le possibili conseguenze che avrebbero potuto determinare le loro teorie. Generalmente un intellettuale elabora delle idee allo scopo di migliorare la situazione sociale, culturale ecc. del periodo in cui vive, e ovviamente spera che le generazioni future vogliano continuare a utilizzare, con gli inevitabili correttivi, quelle stesse teorie. Ma nessun intellettuale è mai in grado di prevedere, sino in fondo, che determinate sue idee potranno essere soggette ad un uso opposto o non voluto rispetto a quello immaginato.

La nascita del capitalismo, tanto per fare un esempio, non può essere culturalmente fatta risalire, stricto sensu, alla riscoperta medievale dell'aristotelismo, eppure in quel periodo vennero poste le basi, senza volerlo e senza neppure saperlo, per il superamento del cattolicesimo romano (che avverrà 500 anni dopo con la riforma protestante) e anche per l'affermazione del Cogito cartesiano, che rappresenta la quintessenza della primordiale concezione di vita borghese.

Ponendosi sulla scia del progressivo distacco del mondo latino da quello greco-ortodosso, i teologi cattolici hanno contribuito, senza volerlo e senza neppure esserne consapevoli, al superamento della loro stessa ideologia. E' stato il progressivo imporsi dell'arbitrio del singolo sul collettivo (che per quanto riguarda la chiesa romana si estrinsecò nel primato che si volle concedere al papato rispetto alle esigenze conciliari) che ad un certo punto (per progressive determinazioni quantitative) si arrivò a trasferire questo processo dalla sfera politica (la gerarchia cattolica insieme alla nobiltà feudale) a quella sociale vera e propria, in cui la nuova figura del borghese imprenditore risulterà decisiva per la diffusione mondiale del capitalismo.

Enrico Galavotti galarico@inwind.it http://www.homolaicus.com/