L'ALBA DELLA FILOSOFIA

 

LUCA FARRUGGIO

 

 

 

 

 

Di conseguenza, il nome di <<filosofia>> è stato dato a tutto quel sapere

che si occupa di conoscere la misura stabile e l'Universale nel mare delle

singolarità empiriche, e di rinvenire il Necessario, cioè le leggi, nell'apparente

disordine dell'infinita moltitudine dell'Accidentale.

G.W.F. HEGEL, Enciclopedia delle scienze filosofiche

 

Beh, la strada del paradosso è la strada della verità. Per mettere alla prova la realtà dobbiamo

porla sulla corda del funambolo. Quando le verità si fanno acrobati possiamo giudicarle.

OSCAR WILDE, Il ritratto di Dorian Gray

 

 

 

  

 

Cosa è filosofia? Quali sono le sue origini primordiali? Da dove il domandare filosofico e la domanda in senso lato?

Abitualmente siamo soliti tradurre il termine filosofia con "amore per la saggezza" (filo-sophia). Ma se questa traduzione da un lato ci dà la visione finale del termine, dall'altro lato nasconde alle sue spalle una serie di significati ad essa strettamente collegati. Infatti bisogna tracciare tre tappe fondamentali del pensare filosofico: Meraviglia, Curiosità e Interrogazione (dispiegamento necessario per la  formazione-educazione-paideia del Logos filosofico).

Ogni ricerca, inizia sempre da un evento che ci colpisce in modo particolare, creando in noi il senso dello stupore, la meraviglia (thauma). Proprio per questo Platone e Aristotele non esitano ad affermare che la filosofia nasce dalla meraviglia:<<è proprio del filosofo questo [...] di essere pieno di meraviglia; nè altro cominciamento ha il filosofare che questo>> (Platone, Teeteto, 155d), <<gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porre problemi sempre maggiori, come i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri e i problemi riguardanti l'origine dell'intero universo>> (Aristotele, Metafisica, I,2,982b). Sembrerebbe quindi corretto constatare che, il guardare attentamente e con spirito di discernimento ciò che a noi si manifesta (fenomeno) significa inevitabilmente meravigliar-si. Nel methodos (via,strada,sentiero) filosofico, la meraviglia risuona come Inizio, ma un Inizio che ancora non conosce il suo fine (telos), o meglio il suo fine ultimo (zweck). E' lo thauma che si prova nel nostro rapportarci col mondo, è una meraviglia che ancora non conosce se stessa in quanto ancora inconsapevole del suo profondo manifestarsi. E' lo stupore che ci fa rimanere a bocca aperta di fronte al tremendo darsi delle cose a noi, che ci entusiasma e che rimane chiuso in se stesso. Come fanciulli stupiti e inesperti siamo meravigliati dall'apparire degli enti, ma non siamo ancora in grado di spiegare alcun fenomeno o contenuto.

Ma è pure la meraviglia che si prova nel sentire (aisthesis) la nostra condizione di gettatezza nel mondo, il nostro mero esser-ci. A riguardo, Pascal si esprime in maniera paradigmatica:<<se penso alla breve durata della mia vita consunta dall'eternità che la precede e la segue, se penso al pezzettino di spazio che occupo e persino a quello che vedo inghiottito dall'infinita immensità degli spazi che ignoro e che mi ignorano, allora mi spavento e mi stupisco di esser qui e non là, poichè non esiste una ragione perchè io sia proprio qui e non là, perchè adesso e non allora. Chi mi ha posto qui? Per ordine e volontà di chi mi è stato assegnato questo posto e questa ora?>> (Pascal, Pensieri). Fin dal nostro primo apparire nel kosmos siamo quindi destinati (bestimmung) ad una meraviglia fisica, intellettuale e spirituale.

Però tutto ciò che ci meraviglia e ci stupisce deve in un secondo momento incuriosirci necessariamente. Come potrebbe non interessarci e incuriosirci ciò che ci fa rimanere col fiato sospeso? Non dovrebbero essere la curiosità-cura e la ricerca il leitmotiv di ogni esistenza? Così l'oggetto dello thauma viene esplorato ed indagato dalla Curiosità, la stessa curiositas del viaggiatore (Ulisse) di fronte a nuovi luoghi e nuove usanze. La curiosità ci porta così a farci stranieri, a soffermarci sulle cose (pragma) del mondo per poi ripartire alla conquista di altri luoghi della sophia (in questo amare la sapienza ci facciamo stranieri, proprio come Eros nel Simposio, senza dimora, a-oikos). Ma come potrebbe lo straniero (xénos) incuriosirsi di tutto senza mettere tra parentesi (epochè) le sue certezze, i suoi dogmi e tutta la tradizione tramandata? Avrebbe ancora la curiosità di conoscere l'altro e l'oltre se già avesse trovato ristoro nel pre-giudizio? Sarebbe del tutto impossibile, ed è per questo che il filosofo è costretto a soffermarsi e ripartire più volte , sempre in dia-logo, se vuole avere una visione (theoria) del Kosmos, e di quel particolare e speciale ente del kosmos che è l'uomo (anthropos). Toccherà al "saggio" spiegare  tutti i fenomeni che appaiono di volta in volta, e in questo uscire da se stesso per farne ritorno solo dopo un accurato esame, consiste il suo fascino (affascinato e affascinante). Colui che si è stupito adesso meraviglia, perchè cerca una risposta logica-razionale al suo viaggio causato essenzialmente dala curiosità. E il filosofo nel suo meravigliare non può che essere spaesante e tremendo (deinos), poichè tremendo e spaesante è anche l'oggetto della meraviglia. La sua epochè non sarà distruzione del tramandato, del già dato, ma pura e ferrea Interrogazione. Il filosofo sarà anti-dogmatico nella sua essenza, aurora e tramonto lo rappresentano. Dovrà spiegare alla luce della razionalità l'apparire (phainomai) degli enti, sospendendo ogni discorso mitologico-religioso, interrogandolo sotto l'unica luce del Logos. Per dirla con Wilde, <<il vero mistero del mondo è il visibile, non l'invisibile>>.

Gli stessi oggetti molteplici che ci stupiscono, ora ci incuriosiscono per il loro apparire in maniera molteplice e disordinata. Ed è proprio tale dis-ordine che apre in noi la volontà di domandare. La curiosità deve diventare necessariamente Interrogazione se vuole toccare il senso profondo della domanda, la sua ousia-essentità. La curiositas incalza dentro il Logos xynon (ciò che accomuna, che ordina, che comprende il tutto, colligere). Adesso la meravigliosa curiosità interrogante del  filosofo deve cercare e trovare il Principio primo (archè) che fa essere e apparire tutte le cose come sono. Non si è più nei tanti logoi della curiosità, ma nel Logos unico e originario che è l'Inizio e la fine dell'intero cosmo. Non siamo forse portati necessariamente anche dal punto di vista fenomenologico a risalire sempre da un effetto ad un causa? E l'indagine verte sulla prima causa (fiat e archè) che è comune a tutti gli enti del kosmos-ordine.Bisogna capire che cosa è ciò per cui tutte le cose, che tra loro si differenziano, appartengono allo stesso orizzonte e convengono tutte nell’appartenere al medesimo orizzonte. Si dovrà scoprire l’unità del molteplice, l’identità delle differenze molteplici e oscillanti tra l’essere e il nulla. Solo in questo momento possono venire alla luce termini come doxa e alétheia. Solo adesso si edifica il displuvio: sarà sulla via della Verità chi obbedisce all'unico Logos, e sarà nella mera Opinione colui che è ancora disperso negli innumerevoli logoi disarticolati. Quel dis-ordine iniziale si rivela come Ordine sotto il Logos. L'apparire degli enti deve essere spiegato inevitabilmente, perchè altrimenti saremmo eternamente meravigliati o al massimo incuriositi, senza essere mai coscienti e "governanti" (il re-filosofo della Repubblica, demiurgo sulla terra) di ciò che a noi si manifesta. Il filosofo è dunque chiamato a risalire necessariamente dal singolo fenomeno alla Causa Ultima ed Eterna che tutto genera e alla quale tutto ritorna. Con questa novitas musicale-armonizzante la filosofia entra nella storia dell'Occidente.

Tale per-corso non è forse fondamentale nell'intera storia dell'Occidente dal punto di vista filosofico-scientifico-politico-artistico-teologico? Non è forse tale la nostra natura (physis)? Non è tale metodo radicato nella nostra psyché? Potrebbe mai darsi scienza immutabile o conoscenza rigorosa (epistéme/epistamai, ciò che sta sopra, che si impone incontrovertibilmente) senza tale Necessità (ananke)?

Ma dov'è che la filosofia si distacca dalle scienze particolari? Proprio nella sua scommessa sulla ricerca della Causa Suprema del Tutto (holos), e non sulle singole cause dis-articolate e settoriali. Ed è vincendo questa scommessa che il filosofo ritorna a spaesare e a stupire l'intera umanità: risolutore delle aporie che di volta in volta gli bloccano il cammino (il metodo).

Da questo momento una ricerca che non terrà conto delle sue profonde radici sarà solamente una mancata indagine, una illusione della ricerca, un fallimento. Questo diverrà il pro-blema  (ostacolo, ciò che ci sta dinanzi pericolosamente) dell'intero Occidente e del suo Destino.

 

 

 

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