LE RANE
di Aristòfane
traduzione di Ettore Romagnoli


PERSONAGGI DELLA COMMEDIA:

ROSSO, servo di Dioniso
DIONISO
ERCOLE
Un MORTO
CARONTE
CORO di RANE
CORO di INIZIATI
PORTIERE, di Plutone
FANTESCA, di Persefone
Un'OSTESSA
SCODELLA, fantesca dell'Ostessa
EURIPIDE
ESCHILO
PLUTONE


PROLOGO
In fondo due case: quella d'Ercole a destra, quella di Plutone
a sinistra. Dalla párodos destra giunge Diòniso. calzato di coturni
orientali, con in dosso una veste muliebre color zafferano, su la
quale è gittata una pelle di leone. Lo segue Rosso sopra un somarello,
reggenda su la spalla destra una forca alla cui estremità è legato un
grosso pacco.

ROSSO:
   Devo dirne qualcuna delle solite,
   padrone mio, che fanno sempre ridere
   gli spettatori?
DIONISO:
   Sí, quella che vuoi,
   tranne: mi schiaccia! Questa te la puoi
   risparmiare: oramai fa proprio rabbia.
ROSSO:
   Neppure un'altra fine fine...
DIONISO:
   Tranne:
   mi stritola!
ROSSO (Dopo un breve silenzio):
   Di' un po': ne dico una
   proprio tutta da ridere?
DIONISO:
   Coraggio!
   Basta che poi non dica...
ROSSO:
   Che?
DIONISO:
   Mutando
   spalla alla forca, che te la fai sotto.
ROSSO:
   E neppur, che, portando sul groppone
   questo po' po' di peso, se qualcuno
   non se lo piglia, finisce a scorregge?
DIONISO:
   Ti prego! La dirai quando ho da recere.
ROSSO:
   Oh, allora, perché porto questo carico,
   se poi non posso far nulla di ciò
   che fanno sempre Amipsia, Lupo e Frínico?
DIONISO:
   Non ne far nulla, via! Quando a teatro
   vedo alcuna di queste squisitezze,
   torno a casa invecchiato piú d'un anno!
ROSSO:
   Oh tre volte infelice mia collottola!
   Sei spiaccicata, e la spiritosaggine
   non la puoi dire!
DIONISO (Agli spettatori):
   È una vergogna o no?
   È una gran poltronaggine? Io, Dïòniso,
   figliuolo di Boccale, m'arrapino
   e mi spedo, e l'amico te lo mando
   sul ciuco, per non farlo tribolare
   né portar peso!
ROSSO:
   Oh, non lo porto, il peso?
DIONISO:
   Come lo porti, tu, se sei portato?
ROSSO:
   Portando questa roba.
DIONISO:
   E in che maniera?
ROSSO:
   Con tanta pena!
DIONISO:
   Oh, allora, questo carico
   ch'ai su le spalle, non lo porta il ciuco?
ROSSO:
   No, perdio, quello che sostengo io!
DIONISO:
   Lo sostieni? Se tu sei sostenuto
   da un altro!
ROSSO:
   Non lo so! Ma questa spalla
   l'ho tutta pesta.
DIONISO:
   E allora, via, giacché tu dici
   che non ti serve, il ciuco, fate il cambio:
   alza tu il ciuco, e portalo!
ROSSO:
   Ahi, me misero,
   ché non mi son trovato alla battaglia
   di mare! Allora, sí, ti manderei
   a quel paese!
DIONISO:
   Pezzo di birbante,
   giú!
   (Rosso scende: l'asino durante la scena seguente
   è trascinato dentro)
   Cammina, cammina, eccomi infine
   giunto vicino a questa porta, dove
   m'è d'uopo far la prima tappa.
   (Picchia e grida)
   Ehi là
   di casa! Ehi là di casa! Gente bella!
ERCOLE (Dal di dentro):
   Chi ha picchiato alla porta? Da centauro
   scalcia, chiunque ei sia!
   (Esce, vede i sopravvenuti, fa un gesto di sorpresa)
   Oh, che rob'è?
DIONISO (A Rosso):
   Giovanotto!
ROSSO:
   Che c'è?
DIONISO:
   Non ti sei accorto?
ROSSO:
   Di che?
DIONISO:
   Che po' po' di paura ha avuto
   per me?
ROSSO:
   Paura, sí, che uscissi pazzo.
ERCOLE (sbuffando per trattenere le risa):
   Perdio, non ci riesco a stare serio!
   Mi mordo il labbro, sí, ma tanto rido!
DIONISO (Con sussiego):
   Accòstati, buon uomo. T'ho da chiedere
   un favore!
ERCOLE (Senza badargli):
   Non so proprio tenermi,
   a vedere una pelle di leone
   su la zafferanina.
   (Con piglio tragico)
   Or tu che brami?
   Perché scarpine e clava insiem qui giungono?
   A qual parte del mondo il pie' rivolgi?
DIONISO:
   Feci vela con Clístene...
ERCOLE:
   E pugnasti?
DIONISO:
   E da dodici a tredici vascelli
   affondammo ai nemici!
ERCOLE:
   Chi? Voi due?
DIONISO:
   Sí, per Apollo!
ROSSO:
   E allora mi svegliai!
DIONISO:
   Dunque, mentre io, fra me e me, leggevo
   su la tolda l'«Andromeda», di schianto
   il cuor mi punse un desiderio, quale
   nol sai pensar!
ERCOLE:
   Che desiderio? E come
   grosso?
DIONISO:
   Piccolo! Immagina Molone!
ERCOLE:
   Di donna?
DIONISO:
   No davvero!
ERCOLE:
   Di ragazzo?
DIONISO:
   Non sia mai!
ERCOLE:
   D'uomo?
DIONISO:
   Alla larga!
ERCOLE:
   Hai fottuto
   Clístene, allora?
DIONISO:
   Non burlar, fratello!
   Non credere, ci soffro! La passione
   mi strugge!
ERCOLE:
   Fratelluccio! E che passione?
DIONISO:
   Non te lo saprei dire. Te lo spiego
   con un confronto. T'è mai presa voglia,
   all'improvviso, d'un purè di ceci?
ERCOLE:
   D'un purè? Cospettoni! Mille e mille
   volte, da sí che vivo!
DIONISO:
   Parlo chiaro,
   o te lo dico in altro modo?
ERCOLE:
   Quanto
   al purè, no: capisco a meraviglia.
DIONISO:
   Tale mi rode il cuor desio d'Euripide!
ERCOLE:
   Desiderio d'un morto?
DIONISO:
   E nessun uomo
   saprebbe indurmi a non andarne in cerca!
ERCOLE:
   Che? Forse giú nell'Orco?
DIONISO:
   E se magari
   c'è da scender piú giú, piú giú, per Giove!
ERCOLE:
   A fare che?
DIONISO:
   Mi serve un buon poeta:
   Son morti i buoni, e i vivi sono tristi!
ERCOLE:
   E che? Iofonte non è vivo?
DIONISO:
   Questo
   solo di buono c'è rimasto: se
   pure lui... già, ci vedo poco chiaro,
   anche in questa faccenda!
ERCOLE:
   E dal momento
   che laggiú, l'hai da prendere, perché
   non condurre su Sofocle, che vale
   piú d'Euripide?
DIONISO:
   Punto! Voglio prima
   sperimentare che farà Iofonte
   da solo, senza Sofocle. Del resto,
   Euripide è un furbone, e mi darà
   man forte a venir via. L'altro era qui
   un bonaccione, e un bonaccione è lí.
ERCOLE:
   E Agatone dov'è?
DIONISO:
   Dov'è? Se n'è
   andato, m'ha piantato. Buon poeta,
   quello, e caro agli amici!
ERCOLE:
   Poveraccio!
   E in che paese?
DIONISO:
   Al desco dei Beati!
ERCOLE:
   Oh Sènocle?
DIONISO:
   Il malanno che lo pigli!
ERCOLE:
   Pitàngelo?
ROSSO:
   E di me non se ne parla,
   che l'ho già stritolata, questa spalla!
ERCOLE:
   Non c'è costí quell'altra ragazzaglia
   che fa tragedie, diecimila e passa,
   che per chiacchiera superano Euripide
   le mille miglia?
DIONISO:
   Raspollini sono,
   chiacchierini, assemblee di rondinelle,
   guastamestieri. Appena hanno ottenuto
   un po' di coro, appena scompisciata
   una mezza tragedia, eccoli a secco.
   Cercalo pure, non lo trovi mica
   un poeta di razza, che ti butti
   là qualche frase poderosa!
ERCOLE:
   Come
   poderosa?
DIONISO:
   Cosí, che gridi alcuna
   di simili arditezze: «Etra, casupola
   di Giove!» - «Oh pie' del tempo!» - «Per le sante
   cose giurò la mente, e non spergiura:
   la lingua spergiurò, né il sa la mente!»
ERCOLE:
   E questa roba ti soddisfa?
DIONISO:
   Io?
   Ne vado piú che pazzo!
ERCOLE:
   Eppure, sono
   buffonate, lo vedi anche da te!
DIONISO:
   Hai casa: nel pensier mio non intruderti.
ERCOLE:
   Ma mi pare che sia roba da chiodi!
DIONISO:
   Fammi il maestro a tavola!
ROSSO:
   E di me
   non se ne parla.
DIONISO:
   Oh, senti perché vengo
   con questi impicci addosso, e camuffato
   da te. Vorrei che mi dicessi gli ospiti,
   se mai n'avrò bisogno, che t'accolsero
   quella volta che tu scendesti a Cerbero,
   e i porti, i lupanari, i crocevia,
   le vie, le tappe, le fontane, i forni,
   le stanze, le città, gli alberghi dove
   ci sono meno cimici.
ROSSO:
   E di me
   non se ne parla.
ERCOLE:
   Ed oserai discendere
   laggiú, tapino?
DIONISO:
   E non aggiunger motto!
   Dimmi per quale via potremo giungere
   piú presto all'Orco; e fa' di dirne una
   né troppo calda né troppo ghiacciata.
ERCOLE:
   E quale ti dirò per prima?... Quale?
   (Pensa)
   C'è la via della fune e lo sgabello:
   appíccati!
DIONISO:
   Sta, sta, ché mozza il fiato!
ERCOLE:
   Poi c'è una scorciatoia assai battuta:
   via del mortaio.
DIONISO:
   La cicuta, dici?
ERCOLE:
   Appunto.
DIONISO:
   È troppo male esposta e gelida:
   gli stinchi, appena tu ci sei, ti assidera.
ERCOLE:
   Ne vuoi sapere una in declivio e spiccia?
DIONISO:
   Sí, perdio, che non son camminatore.
ERCOLE:
   Trascínati al Ceramico...
DIONISO:
   E poi, che?
ERCOLE:
   Sali in vetta alla torre.
DIONISO:
   A fare che?
ERCOLE:
   Guarda di lí la corsa delle fiaccole;
   e appena dànno il: via!, via pure tu.
DIONISO:
   Via pure io? Dove?
ERCOLE:
   Giú basso!
DIONISO:
   Addio,
   mie due polpette di cervello! Questa
   non me ta sento, sai, di farla.
ERCOLE:
   Oh allora?
DIONISO:
   Quella che tu facesti quella volta!
ERCOLE:
   C'è cammino di molto! Arriverai
   prima ad una palude grande grande,
   senza fondo.
DIONISO:
   E in che modo la traverso?
ERCOLE:
   Per due oboli un vecchio barcaiuolo,
   in una barchettina grossa tanto,
   ti tragitterà!
DIONISO:
   Capperi, quei due
   oboli, che influenza han dappertutto!
   Anche lí, sono giunti? E come?
ERCOLE:
   Tèseo,
   ce li portò! Dopo, vedrai serpenti,
   e mille e mille fiere orribilissime!
DIONISO:
   Non sgomentarmi, non farmi paura:
   tanto, non mi rimuovi!
ERCOLE:
   E dopo, tanto
   fango, e sterco perenne: e, immersi in quello,
   chi fece oltraggio all'ospite, o fotté
   un ragazzetto, e poi non lo pagò,
   o malmenò la madre, o su la guancia
   percosse il padre, o franse un giuramento...
DIONISO:
   E ci dovrebbe stare, oltre a codesti,
   chi una pirrica apprese di Cinesia,
   o una tirata ricopiò di Mòrsimo.
ERCOLE:
   Avanti, poi, t'avvolgerà di flauti
   un sospirare, e, come qui, vedrai
   una luce bellissima, e boschetti
   di mortella, e drappelli avventurati
   d'uomini e donne, e un gran picchiar di palme.
DIONISO:
   Senti! E che gente è?
ERCOLE:
   Gl'inizïati!
ROSSO:
   Io, poi, fo proprio l'asino ai Misteri!
   Ma non la duro piú!
   (Si leva di spalla la forca, e depone il fardello al suolo)
ERCOLE:
   Saprai da loro
   ciò che ti serve, per filo e per segno:
   ché stan di casa giusto in quella via,
   davanti all'uscio di Plutone. - E tanti
   saluti, fratel mio!
DIONISO:
   Grazie, sta sano.
   (Ercole entra in casa, e serra l'uscio.
   Diòniso si volge a Rosso)
   Andiamo, tu ripiglia quel fagotto.
ROSSO:
   Se ancor non l'ho deposto!
DIONISO:
   E svelto, dico!
ROSSO:
   Di grazia, no: piglia qualcuno a nolo!
DIONISO:
   E se poi non lo trovo?
ROSSO:
   Son qua io.
DIONISO:
   Non hai poi tutti i torti!
(Dalla párodos destra sbucano quattro becchini che portano
un morto sopra un cataletto)
   E giusto, vedi
   che trasportan quel morto. - Ehi, coso! A te
   dico, a te, morto! - Amico, vuoi portare
   giú all'Orco questo pacchettino?
(I becchini si arrestano)
MORTO (Levandosi a sedere):
   Quale?
DIONISO:
   Questo.
MORTO:
   Paghi due dramme?
DIONISO:
   Affé di Giove,
   caliamo un po'!
MORTO (Ai becchini):
   Tirate dritto, voi!
DIONISO:
   Resta, brav'òmo, forse ci s'aggiusta!
MORTO:
   Dammi due dramme, o non sciupare il fiato!
DIONISO:
   Nove oboli li vuoi?
MORTO:
   Vorrei piuttosto
   tornare al mondo!
(Si ributta giú: i becchini compiono il giro dell'orchestra,
ed escono dalla párodos di sinistra)
ROSSO:
   Se ne dà dell'aria,
   furfante maledetto! Oh, vada al diavolo!
   Trotterò io!
DIONISO:
   Sei proprio un buon figliuolo:
   buono e bravo! Oh, cerchiam questo battello!
(Si rimettono in via)
(La scena muta. Si vede una palude, verso la cui sponda
Caronte spinge il suo battello)
CARONTE:
   Ohop, approda!
DIONISO (Impaurito):
   Oh, che rob'è, codesta?
ROSSO:
   Codesta? Una palude.
DIONISO:
   È, perdio, quella
   che ci ha detto l'amico! E vedo pure
   il battello.
ROSSO:
   Sicuro, per il Dio
   del mare! E vedi lí Caronte!
DIONISO (Con voce normale):
   Salve,
   Caronte!
ROSSO (Con voce piú alta):
   Salve, Caronte!
DIONISO E ROSSO (Urlando):
   Caronte,
   salve!
CARONTE:
   Chi dai malanni e dalle brighe
   viene all'eterna pace? Chi di Lete
   alla pianura, alla Tosa dell'asino,
   al Tenaro, ai Cerberî, a Quelpaese?
DIONISO:
   Io!
CARONTE:
   Sali, svelto!
DIONISO:
   Dove vuoi condurmi?
   Davvero a quel paese?
CARONTE:
   Sí, perdio,
   perché sei tu! Sali!
DIONISO:
   Ragazzo, qui!
CARONTE:
   Non lo traghetto, un servo, se non ha
   combattuto sul mare, per la pelle.
ROSSO:
   Ero malato d'occhi, non potei.
CARONTE:
   E allora, fa' di corsa il giro della
   palude.
ROSSO:
   E dove aspetto?
CARONTE:
   Al sasso degli
   Allampanati, accanto ai Sonneterni.
DIONISO:
   Intendi?
ROSSO:
   Altro se intendo! Oh poveretto
   me, chi ho incontrato, quando uscii di casa?
(Rosso esce: Diòniso entra nel battello)
CARONTE (A Diòniso):
   Via, sotto al remo! Se c'è altri che
   deve imbarcarsi, faccia presto!
   (Diòniso, intanto, s'è accovacciato sotto il remo)
   Ehi, coso,
   che fai?
DIONISO:
   Che faccio? E che ho da fare? Siedo,
   come m'hai detto, sotto al remo.
CARONTE:
   Siedi
   costí, pancione?
DIONISO (Siede su la panca):
   Ecco!
CARONTE:
   Vuoi tirare
   fuori le mani, e stenderle?
DIONISO (Tira le mani di sotto la tunica e le protende)
   Ecco!
CARONTE:
   Vuoi
   smetter la burla, vuoi puntare i piedi,
   e vogare di lena?
DIONISO (Costernato):
   Io non ho pratica,
   non son di mare, non di Salamina:
   e come vuoi che remi?
CARONTE:
   A meraviglia!
   Ché bellissimi canti al primo colpo
   di remo udrai.
DIONISO:
   Di chi?
CARONTE:
   Di ranecigni,
   meravigliosi!
DIONISO:
   Oh, dà, dunque, l'aire!
CARONTE:
   Oòp, òp, oòp, òp...
(Il battello s'allontana lentamente dalla riva)
CORETTO DI RANE (Invisibile):
   Brechechechè, coà, coà,
   brechechechè, coà, coà!
   O palustre progenie
   dei fonti, alziamo a coro
   fra suon di flauti il nostro inno canoro,
   coà, coà, coà,
   che ad onorar Dïòniso
   Nisèo, figlio di Giove,
   cantare usiam nelle Paludi, quando
   nella sacra dei pentoli
   cerimonia, esultando,
   al santuario mio la turba muove.
   Brechechechè, coà coà!
DIONISO (Su l'aria del loro ritornello, con caricatura):
   Il coderizzo mi duol già;
   ma voialtri, coà, coà,
   non vi fate né in qua né in là!
RANE:
   Brechechechè, coà, coà!
DIONISO:
   Oh, crepate, con quel coà!
   Non sapete che far coà!
RANE:
   Si capisce, gran ficchíno!
   Le dolci Muse m'amano, e Pan dal pie' caprino,
   che in gambi armonïosi intòna la melode.
   E Apollo, de la cetra signore, di me gode,
   ché nel palustre talamo
   io nutro, delle lire
   sostegno, un molle calamo.
   Brechechechè, coà, coà!
DIONISO (Come sopra):
   Io sono già pieno di bolle,
   e il sedere da un pezzo ho in molle;
   a momenti si sporge e fa...
RANE (Interrompendolo bruscamente):
   Brechechechè, coà, coà!
DIONISO (Come sopra):
   Della musica amica prole,
   smetti?
RANE:
   Di piú si strillerà,
   se nei giorni di gran sole,
   saltellando in mezzo ai biodi
   ed ai ciperi, ci piacque
   mescer mai tuffi e melodi:
   se, fuggendo la celeste
   piova, ascose in fondo all'acque,
   s'intonò l'aria, che a leste
   acquee danze il segno dà,
   fra gorgogli di gallozzole...
DIONISO (Interrompendo e picchiando forte il remo nell'acqua):
   Brechechechè, coà, coà!
   Voglio battermi al vostro giuoco!
RANE:
   Brutta, dunque, ce la vedremo!
DIONISO:
   Io piú brutta, se scoppio al remo!
RANE:
   Brechechechè, coà, coà!
DIONISO:
   Brechechechè, coà, coà!
   E scoppiate! M'importa poco!
RANE (Fitto fitto):
   Seguitare il gracidío
   tuttodí vo', sin che il mio
   gorgozzul ne capirà:
   Brechechechè, coà, coà!
DIONISO:
   Brechechechè, coà, coà!
   Di superarmi in ciò dispera!
RANE:
   Non ci vinci nemmen per sogno!
DIONISO:
   Né voi me: da mattina a sera
   strillerò, se ce n'è bisogno,
   Brechechechè, coà, coà!
   sinché non v'abbia fatto smettere quel coà!
   Brechechechè, coà, coà,
   brechechechè, coà, coà!
   (Le rane ammutoliscono)
   L'avevate a finir, con quel coà!
(Giungono all'altra riva)
CARONTE:
   Ehi, smetti, smetti! Appunta il remo, e approda.
   Scendi, paga il pedaggio.
DIONISO:
   Ecco i due soldi.
   (Scende. Caronte s'allontana)
   Ehi, Rosso! Rosso dove sia? Qui, Rosso!
ROSSO:
   Ehi!
DIONISO:
   Vieni qui!
ROSSO:
   Buon dí, padrone mio!
DIONISO:
   Che cosa c'è, costí?
ROSSO:
   Buio e motriglio.
DIONISO:
   Li hai visti, i parricidi e gli spergiuri
   che disse quello, costaggiú?
ROSSO:
   Tu no?
DIONISO:
   Altro!
   (Si rivolge a guardare gli spettatori)
   E ne vedo ancora, affé di Dio!
   Via, che si fa?
ROSSO:
   Tiriamo dritto, è il meglio;
   ché questo è il luogo ove l'amico ha detto
   che son le belve spaventose...
DIONISO:
   Il fistolo
   che se lo porti! Piantava carote
   per mettermi paura. Ingelosí,
   nel vedermi cosí spericolato.
   Già, non ce n'è, piú fanfaroni d'Ercole!
   Io son pronto a pagarlo, un brutto incontro,
   qualche avventura degna del viaggio!
ROSSO:
   Perdio, sento rumore!
DIONISO (Sbigottito):
   Dove, dove?
ROSSO:
   Dietro!
DIONISO:
   E tu passa dietro.
ROSSO:
   Adesso è avanti.
DIONISO:
   Passa davanti.
ROSSO:
   E vedo una gran belva,
   affé di Dio!
DIONISO:
   Com'è?
ROSSO:
   Tremenda: e assume
   tutte le forme... Ora è bove... Ora è mulo...
   Ora è donna bellissima...
DIONISO (Con súbita baldanza):
   Dov'è,
   ch'io me le faccia sopra?
ROSSO:
   Non è mica
   piú donna, è cagna, già!
DIONISO:
   Dunque, è l'Empúsa!
ROSSO:
   Tutta la faccia sua sprizza faville!
DIONISO:
   Ha una gamba di bronzo?
ROSSO:
   Per l'appunto;
   e quell'altra di fimo, non c'è dubbio!
DIONISO:
   E allora, dove, dove scappo?
ROSSO:
   E io?
DIONISO (Si lancia verso il sacerdote di Diòniso, che assiste
allo spettacolo in prima fila):
   Salvami, prete mio, ché poi si beve!
ROSSO:
   Ercole re, siam fritti!
DIONISO:
   Non chiamarmi,
   non pronunciarlo questo nome, amico,
   per carità!
ROSSO:
   Dïòniso ho da dire?
DIONISO:
   Meno che meno!
ROSSO (Come se si volgesse all'Empúsa):
   Va' per la tua strada!
   (Rivolgendosi a Diòniso)
   Qui, qui, padrone!
DIONISO:
   Cosa c'è?
ROSSO:
   Coraggio!
   È andato tutto per il meglio; e come
   Egèloco, dirò: «Dopo i marosi,
   a navigare torna il pelag'atto!»
   L'Empúsa non c'è piú!
DIONISO:
   Giuralo!
ROSSO:
   Affé
   di Dio!
DIONISO:
   Giuralo ancora!
ROSSO:
   Affé di Dio!
DIONISO:
   Giuralo!
ROSSO:
   Affé di Dio!
DIONISO:
   Come mi sono,
   ahimè, sbiancato, nel vederlo!
ROSSO (Accennando al vestito su cui si vedono le tracce evidenti
della paura ai Diòniso):
   E questa
   di paura, per te, s'è fatta gialla!
DIONISO:
   Chi me li manda questi mali? A quale
   dei Numi imputerò la mia rovina?
ROSSO:
   Di Giove alla Casuccia, o al Pie' del tempo!
(Arriva da lungi un suono di flauti)
DIONISO:
   Coso?
ROSSO:
   Che c'è?
DIONISO:
   Non hai sentito?
ROSSO:
   Che?
DIONISO:
   Suono di flauti!
ROSSO:
   E come! E a me d'attorno
   spira un odor di fiaccole assai mistiche!
   Tiriamoci da parte, ed ascoltiamo.
(Si ritirano e nascondono nella parte sinistra della scena.
Rosso depone il fardello)
CORO D'INIZIATI (Da lunge, non ancora visibile: le voci giungono velate):
   Iacco, Iacco!
   Iacco, Iacco!
ROSSO:
   O padrone, ci siamo! Qui si spassano
   inizïati che disse l'amico.
   Cantano Iacco; quello che Dïàgora...
DIONISO:
   Anch'io, direi. Però la meglio cosa,
   per vederci piú chiaro, è stare zitti!

PARODOS
(Dalla párodos sinistra incominciano ad entrare i coreuti, coronati
di mirto, tenendo in mano fiaccole accese. Il corifeo indossa
una veste di porpora. Insieme con essi sono danzatrici)

CORO:                                  Strofe
   O tu che alberghi in questa sacra sede,
   o Iacco, Iacco,
   muovi su questo prato a danza il piede,
   fra i tuoi santi seguaci.
   Squassa il mirto che, folto
   di bacche, ombra il tuo volto
   di florida ghirlanda: segna con passi audaci
   in mezzo ai cori mistici
   la mia giocosa danza,
   pura, d'ogni fren libera,
   cui largiron le Grazie ogni eleganza!
ROSSO:
   O di Demètra santa e onoratissima
   figlia, che dolce odor m'aleggia intorno
   di ciccia di maiale!
DIONISO:
   E zitto! Forse
   ci buschi pure un pezzo di budello.
CORO:                                  Antistrofe
   Scuoti le faci, e la fiamma ridesta,
   o Iacco, Iacco,
   astro che irraggi la notturna festa.
   Il prato arde di fuochi:
   fremono dei vegliardi
   già le ginocchia; e i tardi
   anni, e le cure scosse, corrono ai sacri giuochi.
   Al lume delle fiaccole,
   or qui avanti, o Beato,
   i carolanti giovani
   guida tu sul fiorito umido prato.
(I coreuti sono oramai entrati tutti quanti, e si sono disposti
in giro intorno all'altare di Diòniso)
CORIFEO:
   Taccia, e resti dal Coro lungi chi stranïero
   è a questo rito, o impuro tuttor serba il pensiero,
   né vide o danzò l'orge delle nobili Muse,
   né alle bacchiche furie nell'idïoma infuse
   di Cratino taurofago s'iniziò; chi a sceda
   goffa ed impronta gode, né civil gara seda,
   ai suoi concittadini cuor mostrando benigno,
   ma l'aizza e fomenta, pur d'empire il suo scrigno;
   chi reggendo il timone dello Sato in burrasca
   navi al nemico e forti consegna, e ingoffi intasca;
   o al par di Toricione, di vigesime infame
   esattore, a Epidauro manda pece, coiame
   e vele, in contrabbando, da Egina; o altrui consiglia
   che fornisca denaro all'ostile flottiglia:
   o scrive cori ciclici, e poi di piscio allaga
   d'Ecate l'erme: o un rabula, che rifilò la paga
   ai poeti, per essere stato messo in burletta
   nelle bacchiche patrie feste. Diamo disdetta,
   la diamo una seconda volta, a tutti costoro,
   e una terza, che lunge stian dal mistico Coro.
   (Agli iniziati)
   E voialtri, alla veglia preparatevi; e desta
   sia la canzon che addicesi a questa sacra festa.

PRIMO SEMICORO:                            Strofe
   Sovra i floridi seni
   dei prati, ognuno a tessere
   carole il pie' disfreni;
   e beffe mesca e giuochi e scede: omai
   s'è banchettato assai.
(Evoluzione del Coro)
SECONDO SEMICORO:                           Antistrofe
   Avanza! E sia tua cura
   d'inneggiare a Persefone,
   che di far salvo giura
   ora e sempre il paese; e a lei s'oppone
   invan Toricïone.
(Grida di giubilo in onore di Persefone. Nuove evoluzioni)
CORIFEO:
   Con nuova forma d'inni, con sacri canti onora
   Demètra omai, la Diva delle biade signora.
PRIMO SEMICORO:                            Strofe
   Demètra, che dài leggi
   alle pure orge, avanza,
   e il Coro tuo proteggi.
   Fa' tu che in gioco e danza,
   senza noie dattorno
   io varchi intero il giorno.
SECONDO SEMICORO:                           Antistrofe
   E assai baie, e non pochi
   concetti esprima serî;
   e dopo beffe e giochi
   degni dei tuoi Misteri,
   vittorïoso infine
   stringa la benda al crine.
CORIFEO:
   Su dunque! Gl'inni invochino anche il florido Nume,
   Iacco, che ai balli nostri prender parte ha costume.
CORO:                                  Strofe prima
   O Iacco onorato, che un rito
   trovasti su ogni altro gradito,
   qui presso l'Iddia
   mi segui: dimostra che agevole
   t'è compier lunghissima via.
   Iacco, di balli amico, accompagnati a me.

                                       Strofe seconda
   Per chiasso, od a vile tenendoli,
   volesti che andassero a sbrendoli
   i panni e il calzare;
   sicché senza impaccio potessimo
   scherzare, carole intrecciare.
   Iacco, di balli amico, accompagnati a me.

                                       Strofe terza
   Or ora sbirciavo di volo,
   compagna ai miei giuochi, un bocciuolo
   di giovanettina:
   s'è fatto uno sdrucio alla tunica,
   affacciata s'è la poppina...
   Iacco, di balli amico, accompagnati a me.
ROSSO:
   Io sono sempre compagnone, e voglio
   folleggiare e danzare.
DIONISO:
   Ed io ti seguo.
(Con lazzi mimici prendono parte alla danza divenuta animatissima.
Dopo qualche evoluzione, i coreuti tornano al posto)
CORO:                                  Epirrema prima
   Si beffa insieme Archèdemo,
   che a sett'anni suonati
   non gli erano spuntati - colleghi di tribú?
   Or fa l'arruffapopolo
   fra i morti di lassú;
   e in ogni sozza briga
   lo trovi in prima riga.

                                       Epirrema seconda
   E sento dir che Clístene,
   alle Fosse, si strappa
   i peli della chiappa - si lacera le gote;
   e invoca, mentre lagrima
   carponi, e si percuote,
   Fottino di Segonia - con lunga querimonia.

                                       Epirrema terza
   E Callia, dice, il figlio
   d'Ippochiavone, a lotta
   venne, avvolto in un vello di leon, con la potta...
DIONISO (Interrompendo):
   Sapreste di Plutone
   dirmi ov'è la magione?
   Ignari siam del loco - giunti qui siam da poco.
CORO:
   È proprio qui vicino:
   ch'io t'indichi il cammino
   non serve: giusto appunto - all'uscio tu sei giunto.
DIONISO:
   Tu ripiglia il fardello!
ROSSO:
   Oh, che affare è codesto?
   Il «Corinto di Giove?» Un ritornello!
CORIFEO:
   Presto!
   All'altar della Diva sacro, al bosco fiorito
   movete, o voi partecipi di questo santo rito.
   (Gli iniziati incominciano il giro dell'orchestra)
   Con sacra fede io guido le fanciulle e le donne
   che ad onorar la Diva passan la notte insonne.
(Escono con le donne)
CORO (Compiendo a lento passo il giro dell'orchestra):
                                       Strofe
   Al prato che florido
   si vela di rose,
   si corra, s'intreccino
   le nostre scherzose
   carole, guidate
   dall'Ore beate.
   Per noi lieti brillano
   gli etèrei lumi,
   per noi che partecipi
   dei riti, costumi
   serbiamo ai nostrani
   benigni e agli estrani.
(Compiuto il giro dell'orchestra, i coreuti tornano ad aggrupparsi
intorno all'altare di Diòniso. Rosso e Diòniso s'accostano
all'uscio di Plutone)
DIONISO (Con esitazione paurosa):
   In che maniera ho da picchiare all'uscio?
   In che maniera? Come picchierà
   la gente, qui?
ROSSO:
   Non starmi a cincischiare!
   Abbi cuore e cipiglio degni d'Ercole,
   e picchia sodo.
DIONISO (Picchia):
   Ehi di casa! Ehi di casa!
PORTIERE DI PLUTONE (Si affaccia e guarda):
   E quel coso, chi è?
DIONISO:
   Ercole il forte!
PORTIERE DI PLUTONE (Con voce terribile):
   Ah, lezzone, sfrontato, temerario
   che sei, canaglia, pezzo di canaglia,
   fior di canaglia, il can di casa, Cerbero,
   che custodivo io, tu l'hai cacciato
   fuori dell'uscio, e a furia te la sei
   svignata poi, te la sei data a gambe,
   tirandolo pel collo! Ora ci sei.
   Come di Stige i negri flutti, come
   la rupe acherontèa sangue grondante
   ti terran custodito, e di Cocito
   le vagabonde cagne! A te i budelli
   già squarcia Echidna dalle cento teste:
   la murena tartesia ai tuoi polmoni
   s'aggranfa: i reni, con la rete e tutto
   sanguinolenti a te strappan le Gòrgoni
   titrasie: ad esse il pie' veloce io spingo!
(Si ritira e sbatte l'uscio con immane fracasso: intanto
Diòniso s'è accoccolato, e ha dato evidentissimi segni
d'incoercibile paura)
ROSSO (Guardando il padrone):
   Coso, che fai?
DIONISO:
   L'ho fatta. Invoca il Nume!
ROSSO:
   Oh coso buffo! Sú, rízzati, prima
   che qualcuno ti veda.
DIONISO:
   Adesso svengo!
   Dammi una spugna, che sul cuor la ponga.
ROSSO (Estraendone una dal fardello):
   To', metticela!
DIONISO:
   Ov'è
   (La piglia e ci si netta)
ROSSO:
   Dei d'oro! Il cuore
   tu l'hai costí?
DIONISO:
   Lo vedi? Per paura
   m'è scivolato in fondo alle budella.
ROSSO:
   Oh il piú vigliacco fra i Celesti e gli uomini!
DIONISO:
   A me, vigliacco? E come? Se t'ho chiesta
   la spugna! Un altro non l'avrebbe fatto.
ROSSO:
   Ah, no? Che avrebbe fatto?
DIONISO:
   Uno vigliacco
   starebbe ancora ad annusarla. Io
   mi sono alzato, e nettato, per giunta!
ROSSO:
   Pel Dio del mare, che po' po' di fegato!
DIONISO:
   Lo credo! E a te non t'han messo paura
   la romba della voce e le minacce?
ROSSO:
   Perdio, neppure me ne sono accorto!
DIONISO:
   E allora, giacché tu sei tanto bravo
   e tanto prode, tu diventa me,
   piglia randello e pelle di leone,
   giacché hai tanto fegato! Io sarò
   il tuo portafagotti.
ROSSO:
   Dà qua, svelto!
   Tanto, non c'è da rifiutare! E guarda
   se quest'Ercolerosso avrà paura,
   e seguirà l'esempio tuo.
DIONISO:
   Paura!
   Chè! Sembri quel briccone da Melite!
   Dammi il fagotto, via, che me l'incollo!
(S'apre di nuovo la porta. Diòniso si nasconde dietro Rosso, che
alza la clava minaccioso. Ma esce una vezzosissima fanciulla)
FANTESCA DI PERSEFONE:
   Ercole, caro, caro, sei tu? Entra!
   La Dea, come ha saputo ch'eri qui,
   ha impastato del pane, ha cotto due
   o tre pignatte di purè di ceci,
   ha fatto arrosto un bove intero intero,
   ha messo in forno torte e pasticcini.
   Oh, entra!
ROSSO (A malincuore):
   Troppo buona, grazie tante.
FANTESCA:
   No, per Apollo, non ti lascio mica
   andare! Ha messo pure un pollo in pentola,
   ha cotto le frittelle, ed ha spillato
   del vin moscato... Oh, entra insieme a me!
   (Cerca di trascinarlo)
ROSSO (Reluttante, come sopra):
   Grazie e poi grazie!
FANTESCA:
   Ciance! Non ti lascio!
   È dentro, che t'aspetta, anche un amore
   di suonatrice; ed altre due o tre
   ballerine...
ROSSO:
   Che dici? Ballerine?
FANTESCA:
   Di primo pelo! E se lo sono raso
   or ora. Svelto! Il cuoco leva già
   dal fuoco i pesci, e porta già la tavola.
ROSSO (Deciso):
   Va', dunque, di' per prima cosa a quelle
   ballerine che arriva questo tomo!
   (A Diòniso)
   Ragazzo, tu piglia il fagotto, e seguimi!
(La fantesca rientra)
DIONISO:
   Coso, un momento! Oh, che sul serio l'hai
   presa, che io per celia t'ho vestito
   da Ercole? Non fare la burletta,
   Rosso, piglia daccapo il tuo fagotto.
ROSSO:
   E come? Pensi forse a ripigliarmi
   ciò che m'hai dato tu?
DIONISO:
   Non penso: faccio,
   e presto! Giú la pelle!
ROSSO:
   Invoco i Numi
   a testimoni d'un'azione simile!
DIONISO:
   Che Numi? Grulli, scemi s'ha da essere,
   per pensare che tu, mortale e servo,
   sia figliuolo d'Alcmena!
ROSSO:
   Non vuol dire!
   Sta bene: piglia. Forse, se Dio vuole,
   avrai daccapo bisogno di me!
(Fanno di nuovo il cambio. Diòniso si appoggia con aria
di smargiasso alla clava. Il Coro lo ammira, e canta)
CORO:                                  Strofe prima
   Cosí l'uomo ha da procedere
   ch'à talento, ch'à cervello,
   che pel mondo navigò!
   Sempre al fianco ha da rivolgersi
   piú sicuro del battello,
   anziché starsene, a mo'
   d'un'immagine in pittura,
   sempre in una positura.
   Ma buttarsi ove c'è il morbido,
   è da uomo che sa bene
   quel che fa: da Teramène.
DIONISO:                               Strofe seconda
   Anche i polli riderebbero,
   se qui Rosso, alla supina
   sopra un molle canapè
   di Mileto, sbaciucchiandosi
   un amor di ballerina,
   l'orinal chiedesse a me.
   Io lo guardo, e me lo meno.
   Lui mi vede; e in un baleno,
   tanto è pieno di malizia,
   via mi schizza con un pugno
   quanti denti ho a fior di grugno.
(Entrano dalla destra un'ostessa, seguita dalla sua fantesca Scodella)
OSTESSA:
   Oh Scodella, Scodella, corri qui!
   C'è quel briccone che una volta venne
   alla taverna, e sterminò da sedici
   pagnotte.
SCODELLA:
   È lui, perdina, è lui!
ROSSO (Sentenzioso):
   Qualcuno
   finisce male!
OSTESSA:
   E poi, venti porzioni,
   da un soldo e mezzo l'una, di bollito!
ROSSO:
   La pagherà, qualcuno!
OSTESSA:
   E poi tanto aglio!
DIONISO (Fra spaventato e feroce):
   Cianci, e non sai quello che dici, o femmina!
OSTESSA:
   E perché calzi le scarpette, forse
   pensavi ch'io non ti riconoscessi?
   Aspetta! E dove lascio la salacca?
SCODELLA:
   E la caciotta fresca, poverette
   noi, che ingozzò con le fiscelle e tutto?
OSTESSA:
   E quando poi gli dissi di pagarmi,
   fece gli occhiacci, e cominciò a mugghiare!
ROSSO:
   Lo riconosco al tratto! Fa cosí
   dove si trova.
OSTESSA:
   E sguainò la spada,
   come un pazzo furioso!
ROSSO:
   Oh poverina!
OSTESSA:
   Dalla paura, ci si arrampicò
   presto e lesto in soffitta. E lui si prese
   pure le stuoie, spiccò un salto, e via!
ROSSO:
   Le sue prodezze solite!
SCODELLA:
   Si piglia
   qualche partito?
OSTESSA (A Scodella):
   Va', chiama Cleone,
   il mio ministro.
ROSSO:
   E a me, chiamami Iperbolo,
   se lo trovi.
OSTESSA:
   E si stritola!
   (A Diòniso)
   Che gusto,
   gola, cavarti con un sasso quei
   denti che maciullata han la mia roba!
SCODELLA:
   Io ti vorrei scaraventar nel baratro!
OSTESSA:
   Io ti vorrei segare con la falce
   quel gozzo che insaccò tanta busecchia.
SCODELLA:
   Ma fammi andare da Cleone. Quello
   oggi lo cita, e sbroglia la matassa.
(Escono minacciando. Rimangono soli Rosso e Diòniso.
Momento di silenzio)
DIONISO (Insinuante):
   Se non ti voglio bene, Rosso mio,
   mi venga un tiro secco.
ROSSO:
   Ho inteso, ho inteso!
   Non sciupare piú fiato. Tanto, Ercole
   non ci divento piú.
DIONISO:
   No, no, Rossuccio!
ROSSO (Con caricatura, scimmiottando il padrone):
   Io divenir figlio d'Alcmena? Io, servo
   e mortale?
DIONISO:
   Lo so, lo so, che sei
   in collera con me. Troppo di giusto.
   E se pure mi picchi, non rifiato.
   Ma se d'ora in avanti ti rispoglio,
   possa crepar d'un accidente a secco
   io, mia moglie, i miei bimbi, e sino Archèdemo
   il caccoloso.
ROSSO:
   Accetto questa clausola,
   e il giuramento annesso. A me la pelle.
(Si camuffa di nuovo da Ercole: durante il nuovo
travestimento il Coro lo esorta)
CORO:
   A te spetta, poi che agli abiti
   nuovamente dài di piglio
   che indossati avevi già,
   ritornar daccapo giovine,
   far daccapo quel cipiglio
   che sfoggiavi poco fa.
   Non scordare di che Nume
   imitar devi il costume.
   Ché se poi ti perdi in chiacchiere,
   da poltron se t'esce un motto,
   ripigliar devi il fagotto.
ROSSO:
   O bravi uomini, il consiglio
   non è tristo: anzi pel capo
   anche a me venne testé.
   Una macca che ci càpiti,
   lo so bene, lui daccapo
   vorrà prenderla per sé.
   Pur si vegga dall'aspetto
   se mi trema il cuore in petto.
   Vo' sgranare occhi terribili...
   Ma ci siamo, a quanto pare:
   odo l'uscio cigolare!
(Si spalanca l'uscio, ed esce il portiere
accompagnato da due servi)
PORTIERE (Ai due):
   Alla svelta, legate questo ladro
   di cani, ché la sconti! Su.
DIONISO (Scimmiottando il tòno di Rosso):
   Qualcuno
   finisce male!
ROSSO (Roteando minaccioso la clava):
   Andate a quel paese!
   Guai chi s'accosta!
PORTIERE:
   Eh! Ti ribelli pure?
   Qui, Bisgobba, Parduccio, Parabene,
   affrontatelo voi.
DIONISO:
   Fare man bassa
   su l'altrui roba, e poi menar le mani!
   Che prepotenza!
PORTIERE:
   Mai sentita!
DIONISO:
   Proprio
   un fior di porcheria!
ROSSO:
   E io, se mai
   sono venuto qui, voglio crepare,
   se ho mai rubato della roba tua
   il valor d'un capello. E poi, ti tratto
   da gentiluomo. Prendi questo servo,
   e mettilo alla prova. E se tu trovi
   che t'ho nociuto mai, pigliami e ammazzami.
PORTIERE:
   Eh, metterlo alla prova! In che maniera?
ROSSO:
   Come ti pare! Appendilo alla scala,
   sferzalo a sangue, legalo alla ruota,
   dàgli la fune, versagli l'aceto
   nelle narici, scorticalo, mettigli
   tegoli su la pancia, fagli tutto,
   meno che bòtte d'aglio fresco o porri.
PORTIERE:
   L'offerta è onesta. E caso mai ti stroppio
   lo schiavo a bòtte, ti rifaccio il prezzo.
ROSSO:
   Ma che rifare! Portalo e torturalo.
PORTIERE:
   Portarlo? Qui, che parli avanti a te.
   (A Diòniso)
   Svelto, posa il fagotto, e bada bene
   a non dire bugie.
DIONISO:
   Guai chi s'accosta!
   Chi mi tocca, la paga: io sono un Dio.
PORTIERE:
   Che cosa dici?
DIONISO:
   Ch'io sono Dïòniso
   figlio di Giove, e Nume: e questo è un servo!
PORTIERE (A Rosso):
   Senti?
ROSSO:
   Lo credo! E tanto piú bisogna
   frustarlo, dunque! È un Dio? Non sentirà!
DIONISO:
   Perché, se dici d'esser Dio tu pure,
   non buschi insieme a me le stesse bòtte?
ROSSO:
   È froppo giusto! - E chi di noi vedrai
   piangere primo, o dar segno che sente
   le busse, non è Dio, facci pur conto!
PORTIERE:
   Non c'è che dire, gran brav'uomo sei!
   Ti piace la giustizia. Su, spogliatevi.
(Rosso e Diòniso depongono le vesti, e si mettono uno di qua
uno di là, pronti a ricevere le percosse)
ROSSO:
   Come farai, per regolarti bene?
PORTIERE:
   Toh! Dò una botta a uno, e una all'altro!
ROSSO:
   Sta bene!
PORTIERE (Vibrandogli un colpo):
   Piglia!
ROSSO (Come se non l'avesse ancor ricevuto):
   Guarda se mi faccio
   in qua né in là!
PORTIERE:
   Ma pure, t'ho picchiato!
ROSSO:
   Non mi pare, per Giove!
PORTIERE:
   Anch'io ne dubito!
   Picchiamo questo, adesso, via!
   (Colpisce Diòniso)
DIONISO (Come non avesse sentito il colpo):
   Ti sbrighi?
PORTIERE:
   Ma se t'ho già picchiato!
DIONISO:
   E come mai
   neppure ho starnutato?
PORTIERE:
   E chi lo sa?
   Riproverò con questo qui!
   (Alza il randello)
ROSSO:
   Ti sbrighi?...
   (Il colpo cade)
   Ahi, ahi!
PORTIERE:
   Ahi, ahi? Che c'è? T'ho fatto male?
ROSSO:
   Ma che! Pensavo a quando rivedremo
   le feste a Dïomea!
PORTIERE:
   Che devozione!
   Andiamo qui daccapo!
   (Picchia Diòniso)
DIONISO:
   Ih, ih!
PORTIERE:
   Che c'è?
DIONISO:
   Vengono i cavalieri!
PORTIERE:
   E quelle lagrime?
DIONISO:
   Sento odor di cipolla!
PORTIERE:
   E delle bòtte,
   non te n'accorgi, già!
DIONISO:
   Nemmen per sogno!
PORTIERE:
   Dunque, torniamo un'altra volta a questo!
   (Picchia Rosso)
ROSSO:
   Ahimè!
PORTIERE:
   Che c'è?
ROSSO (Indicando il proprio piede):
   Mi cavi questa spina?
PORTIERE:
   Ma che succede? Ritorniamo qui!
   (Picchia Diòniso)
DIONISO:
   Apollo!... che proteggi e Pito e Delo...
ROSSO:
   Gli hai fatto male, l'hai sentito?
DIONISO:
   A me?
   Se ripetevo un giambo d'Ipponatte!
ROSSO:
   Non la spunti cosí! Picchia le pance!
PORTIERE:
   Giusto, per Giove! Via, para la pancia!
   (Picchia Rosso sul ventre)
ROSSO:
   Dio del mare!...
DIONISO:
   Qualcuno s'è lagnato!
ROSSO (Come continuando una declamazione):
   Re delle coste egee, delle azzurrine
   profondità marine!
PORTIERE:
   Non mi ci raccapezzo, affé di Dèmetra!
   Chi di voi sarà Nume? Entrate un po'.
   Il padrone e Persèfone, che sono
   Numi anche loro, vi sapran distinguere.
DIONISO:
   Felice idea! Cosí l'avessi avuta
   prima che a me toccassero le busse!
(Entrano tutti)

PARABASI

CORO:                                  Strofe
   Al santo mio Coro t'appressa,
   o Musa, lusinga soave nel canto ch'io levo tu infondi:
   del popol contempla la ressa
   innumera, in cui mille e mille si annidano ingegni profondi.
   Ad essi perfin Cleofonte
   la cede, in vaghezza di grido.
   A lui su le labbra, che impronte
   cicalan, la rondine tracia,
   che in alberi barbari ha nido,
   stride aspra; e con flebile nenia
   la fa da usignuolo. Speriamo che schiatti,
   quand'anche nei voti l'impatti!
CORIFEO:                               Epirrema
   Insegnare il Coro sacro deve ciò che rechi frutto
   ad Atene, ed ammonirla. Or convien che innanzi tutto
   nei diritti i cittadini si ragguaglino, e si scacci
   il terrore; e se di Frínico preso alcuno un dí nei lacci,
   sdrucciolava, purché adesso riconosca il proprio torto,
   l'amnistia dei vecchi errori oggi ottenga: a ciò v'esorto.
   E nessuno piú in Atene s'interdica. Oh turpe fatto!
   Quei che in mare a un solo scontro si trovarono, ad un tratto
   Plateesi diventarono, fûr padroni e non piú schiavi:
   e di questo biasimarvi non vo' già: vi dico bravi,
   che giudizio dimostraste, solo in ciò; ma si suggelli
   sí bel tràtto, perdonando la sciagura unica a quelli
   che con voi spesso pugnarono, essi e i babbi, che vi sono
   per origine fratelli, che vi chieggono perdono.
   Su via, l'ira in bando vada, oh voi d'indole sí savi;
   e stimiam quanti pugnarono con noialtri su le navi,
   cittadini, a noi per sangue stretti, e degni d'onoranza.
   Ché, se invece alla superbia ci atterremo e alla burbanza,
   mentre ancora fra le strette dei marosi è la città,
   certo noi l'età ventura dire accorti non potrà.
CORO:                                  Antistrofe
   Se io ben conosco la vita,
   se fiuto qual uom sta per esser conciato pel dí delle feste,
   fra poco l'avremo finita
   con questo scimiotto ficchíno di Clígene il nano, la peste
   di quanti bagnini non fanno
   che falsificare la terra
   cimòlia con cenere e ranno.
   L'amico, che intende la musica,
   sta sempre sul piede di guerra.
   A volte, lui dice, alza il gomito:
   se in giro la notte va senza randello,
   qualcuno gli ruba il mantello!
CORIFEO:                               Antepirrema
   Agio avemmo spesse volte d'osservare come Atene
   a quel modo coi piú onesti cittadini si contiene
   ch'usa pur con le monete vecchie e il nuovo princisbecche.
   Tutti sanno che fra quante mai n'usciron dalle zecche,
   vuoi d'Ellèni, vuoi di barbari, dappertutto, quelle sono,
   e non altre, le piú belle: quelle rendono buon suono,
   hanno quelle buona impronta, sono prive di mondiglia.
   Pure, Atene non le adopera, e ai bronzini oggi s'appiglia,
   dalla zecca usciti appena ieri, perfidi nel conio.
   E cosí pei cittadini. Quelli ch'ànno comprendonio,
   nati bene, equi, modelli d'onestà, cresciuti in mezzo
   a palestre, a danze e musiche, non riscuoton che disprezzo:
   servi, poi, facce di bronzo, vagabondi, paltonieri,
   e figliuol' di paltonieri, tutta roba intrusa ieri,
   li ficchiamo dappertutto! Quei che avrebbe disdegnati
   un dí Atene come vittime a espiare i suoi peccati!
   Tempo è dunque che si cambi tal sistema, o gente stolta,
   e s'adoprin galantuomini, come l'uso era una volta.
   La va bene? È vostro il merito. La sbagliate, e nasce un danno?
   Che patiste a nobil croce quei che intendono diranno.

PARTE SECONDA

(Escono il portiere e Rosso, che ha di nuovo indossato
l'abito da servo)
PORTIERE:
   Giove m'assista, buona pasta d'uomo,
   quel tuo padrone!
ROSSO:
   E come no? Trincare
   e fottere: altro non sa fare.
PORTIERE:
   E dire
   che quando t'han convinto ch'eri tu
   il servo, e ti spacciavi per padrone,
   non t'ha picchiato!
ROSSO:
   Eh! Gli tornava conto!
PORTIERE:
   Proprio un tiro da servo, è stato, come
   piacciono tanto a me!
ROSSO:
   Tanto, ti piacciono?
PORTIERE:
   Ah! Se posso mandare un accidente
   di nascosto al padrone, io vado in estasi!
ROSSO:
   Oh, borbottare, quando te n'ha date
   di molte, appena fuor dell'uscio?
PORTIERE:
   È un gusto
   matto, anche questo.
ROSSO:
   Oh, fare il ficcanaso?
PORTIERE:
   Oh che delizia! Non so dirlo!
ROSSO:
   Oh anima
   gemella! Ed origliar quando i padroni
   cianciano?
PORTIERE:
   Dal piacere allora impazzo!
ROSSO:
   Oh, rifischiare tutto fuor di casa?
PORTIERE:
   Io? Perdio, se fo tanto, allora sborro!
ROSSO:
   O Febo Apollo, porgimi la destra,
   e ch'io ti baci, e tu baciami!
   (Si abbracciano e baciano: si odono, dentro, grandi clamori)
   Oh dimmi,
   per Giove, di nerbate a noi fratello,
   che è questo gridío, questo frastuono,
   questa lite lí dentro?
PORTIERE:
   Eschilo e Euripide.
ROSSO:
   Sarebbe a dire?
PORTIERE:
   È una faccenda grossa
   grossa! Fra i morti è gran rivoluzione!
ROSSO:
   Per che motivo?
PORTIERE:
   C'è un regolamento,
   quaggiú, per l'arti liberali e belle,
   che quando alcuno eccelle sui colleghi,
   nel Pritanèo riceve il vitto, e ottiene
   un trono accanto a quello di Plutone...
ROSSO:
   Intendo.
PORTIERE:
   Sin che arrivi uno piú bravo
   di lui nell'arte: allora deve cedergli
   il posto.
ROSSO:
   E questo ha impensierito Eschilo?
PORTIERE:
   Sul trono egli sedea della tragedia,
   come il piú grande autore.
ROSSO:
   E adesso?
PORTIERE:
   Euripide,
   appena sceso qui, diede una recita
   ai grassatori, ai borsaiuoli, ai ladri,
   ai parricidi, gente che nell'Orco
   ce n'è a bizzeffe. E quelli, come intesero
   gli scambietti, i rimbecchi, i girigogoli,
   ci persero la testa, e te lo presero
   per un'arca di scienza. E lui, rizzata
   la cresta, si piantò sul trono dove
   sedeva Eschilo.
ROSSO:
   E sassi, non ce n'erano?
PORTIERE:
   Che vuoi? La folla prese a strepitare
   che per vedere chi fosse piú artista
   si facesse una sfida.
ROSSO:
   I farabutti?
PORTIERE:
   Già, perdio! Gli urli arrivavano al cielo!
ROSSO:
   E non aveva partigiani, Eschilo?
PORTIERE:
   Il buono è poco...
   (Indicando il pubblico)
   Come qui!
ROSSO:
   Plutone
   che vuol fare?
PORTIERE:
   Una gara indire súbito
   dell'arte loro, e far prova e giudizio.
ROSSO:
   E come mai non accampò pretese
   Sofocle?
PORTIERE:
   Quello? Appena giunto, strinse
   ad Eschilo la mano, e lo baciò!
   Adesso poi, per dirla con Cledímide,
   farà il terzo nel giuoco. Se vince Eschilo,
   si ritira, in buon ordine; se no,
   contenderà pel trono con Euripide.
ROSSO:
   E andrà avanti, la cosa?
PORTIERE:
   Altro, perdio!
   E al bel veder c'è poco. E sarà qui.
   E ne vedremo delle belle: immagina
   che l'arte delle Muse andrà in bilancia.
ROSSO:
   Ah! La tragedia vogliono pesarla,
   per giudicarla?
PORTIERE:
   E porteranno squadre,
   canne, forme di quadro...
ROSSO:
   A far mattoni?
PORTIERE (Continuando):
   cunei, sesti. Euripide ha promesso
   che vuol saggiare tutte le tragedie,
   verso per verso.
ROSSO:
   Eschilo, m'immagino,
   la manderà giú male.
PORTIERE:
   Occhiate, dava,
   da toro, a testa sotto!
ROSSO:
   E chi fa il giudice?
PORTIERE
   Il busilli fu qui! D'uomini esperti
   ce n'era carestia. Di quei d'Atene
   Eschilo poco si fidava.
ROSSO:
   Forse
   li reputava, in maggioranza, ladri.
PORTIERE:
   E gli altri poi, stimava che valessero
   meno che nulla a intender poesia.
   Si son rivolti allora al tuo padrone,
   ch'è vecchio del mestiere... E dunque, entriamo!
   Quando i padroni han fretta, i guai son nostri.

INTERMEZZO CORALE

PRIMO SEMICORO:
   Certo bile terribile accoglierà nel seno
   l'Altifremente, quando l'avversario vedrà
   che arrota il dente stridulo nel cicalare; e pieno
   di furore indicibile, gli occhi strabuzzerà.
SECONDO SEMICORO:
   Qui, parole cozzanti come creste d'elmetti,
   lí trucioletti, schegge, gran lavorío di lima,
   onde un povero diavolo, di sommo artiere i detti,
   corsieri impetuosi, tenere a freno estima.
PRIMO SEMICORO:
   Scotendo della giubba natía le folte chiome,
   rotando orrido il ciglio, dal labbro digrignante
   l'uno, avventa compagini ferree di motti, come
   tavole una tempesta, con soffio da gigante.
SECONDO SEMICORO:
   E di qui, girigogoli di lingua ben aguzza,
   che alle sillabe, destra nel cicalar, s'attacca,
   e dell'invidia il morso mal rodendo, sminuzza,
   sottilizzando, l'alto dir che i polmoni fiacca.

CONTRASTO

(Entrano Diòniso, Eschilo ed Euripide)
EURIPIDE (A Diòniso):
   Non ci pensare, non lo lascio, il trono.
   In arte, valgo piú di lui, ti dico.
DIONISO:
   Eschilo, e tu stai zitto? Oh, non lo senti?
EURIPIDE:
   Si dà dell'arie, sulle prime, come
   nelle tragedie, per ciarlatanata.
DIONISO:
   Non andar troppo in là, benedett'uomo!
EURIPIDE:
   Lo conosco, l'amico, da un bel pezzo
   lo tengo d'occhio, questo creaselvatici,
   questa lingua arrogante, questa bocca
   senza freno, senz'uscio, senza briglia,
   ciabona, legaparoloniafascio!
ESCHILO (Prorompendo):
   Davvero, o figlio della Dea dei campi?
   Tu questo a me dire osi, accozzaciance,
   accattacenci, fabbricapezzenti?
   Ma tutto avrai da ricacciarti in gola.
DIONISO:
   Eschilo, calma! Non scaldarti il fegato.
ESCHILO:
   No, prima vo' mostrar che uomo è questo
   fabbricazoppi ch'ora insolentisce.
DIONISO:
   Un agnello, ragazzi, qua un agnello
   nero: a momenti scoppia il temporale!
ESCHILO:
   Tu che raccatti monodie cretesi,
   tu che trascini nozze incestuose
   sopra la scena...
DIONISO:
   Venerando amico,
   Eschilo, calma! E tu, povero Euripide,
   abbi giudizio, lèvati dai piedi,
   scansa codesta grandine; ché a volte
   t'avesse ad azzeccare inferocito
   sopra la tempia una parola grossa
   come una zucca, e fartene schizzare...
   il Tèlefo! Tu poi, smettila, Eschilo,
   codesta furia. Critica con calma,
   làsciati criticare. Non conviene
   che i poeti si lancin contumelie
   come fornaie. Tu súbito strilli
   come un leccio bruciato!
EURIPIDE:
   Io son qui pronto,
   e non mi tiro indietro, a dar di morso
   primo, o a lasciarmi mordere, a sua scelta,
   le parole, la musica, lo scheletro
   delle tragedie. E pigli pure il Pèleo,
   l'Eolo, il Meleagro... e meglio il Tèlefo!
DIONISO:
   Tu che cosa decidi? Eschilo, parla!
ESCHILO:
   Avrei voluto non contender qui.
   Non uguale è il cimento!
DIONISO:
   E perché, poi?
ESCHILO:
   Perché l'opera mia non morí meco,
   ma la sua l'ha seguito nella tomba,
   sicché l'ha sotto mano. Ad ogni modo,
   se a te piace cosí, bisogna starci.
DIONISO:
   Su, mi porga qualcuno incenso e fuoco,
   ch'io preghi, pria della sottile gara,
   per giudicare saggiamente.
   (Al coro)
   E voi
   levate, a fregio delle Muse, un canto.
CORO:
   O nove caste Muse, venerande figliuole
   di Giove, che leggete nelle sottili menti
   sveltissime dei fabbri
   di sentenze, se vengono a lotta di parole,
   d'acute idee con fitti avvolgimenti,
   qui venite a sentir di questi labbri
   la gagliardia secura,
   ben destri ad ammannire gran travi e segatura.
   Ché già già si prepara - di saggezza alta gara.
DIONISO (Ad Eschilo ed Euripide):
   Ditele due parole di preghiera,
   prima di cominciare, anche voialtri.
ESCHILO (Versa incenso su l'ara):
   Dèmetra, tu che il pensier mio nutristi,
   dei tuoi misteri fa' che degno io sia!
DIONISO (Ad Euripide):
   Anche tu brucia un po' d'incenso.
EURIPIDE:
   Pronto!
   Ma son altri gl'Iddii che invoco io.
DIONISO:
   Di tua specialità, nuovi di zecca?
EURIPIDE:
   Certo!
DIONISO:
   Sentiamo la specialità.
EURIPIDE:
   Aria, pascolo mio, Giro di lingua,
   Sagacia, Naso fine, oh, ch'io le bucce
   rivegga ad ogni frase a cui m'appiccichi!
CORO:                                  Strofe
   Gran desiderio, o saggi, n'empie il seno
   di veder su qual terreno
   questo agon di versi e musiche
   fra voi due s'impegnerà.
   Già le lingue ardor selvaggio
   spinge: uguale hanno il coraggio,
   del pensier l'agilità.
   Naturale è ben ch'esprima
   questo un'opera di lima
   fine, tutta urbanità;
   l'altro invece, con lo scoppio
   di loquela originaria,
   i suoi mille girigogoli
   di versucci mandi all'aria.
DIONISO:                               Invito
   Su, che c'e fretta! Cose gustose dite, dunque,
   non enigmi, né quanto direbbe un uom qualunque.
EURIPIDE:
   Dirò poi qual valore abbia l'opera mia.
   Ma vo' pria smascherare la ciarlataneria,
   la furberia di questo, come metteva in mezzo
   il pubblico, a grullaggine già da Frínico avvezzo.
   Prima, piantava un tòmo imbacuccato e assiso,
   un Achille, una Niobe, un fantoccio che il viso
   celava e non diceva nulla...
DIONISO:
   Nemmeno un ette!
EURIPIDE:
   Il Coro ci appoggiava via via quattro strofette,
   e quelli zitti!
DIONISO:
   Eppure non m'era men trastullo
   quel tacer che le chiacchiere d'ora!
EURIPIDE:
   Gli è ch'eri grullo,
   contaci.
DIONISO:
   Ne convengo. Ma qual n'era l'intento?
EURIPIDE:
   Vendere fumo! Il pubblico aspettava il momento
   che Niobe aprisse bocca: e il dramma andava avanti.
DIONISO:
   Come m'infinocchiava, re di tutti i furfanti!
   (A Eschilo che non sta in sé)
   Ehi, che ti stiri e smanii?
EURIPIDE:
   Gli è che, perdio, l'inchiodo.
   Poi, giunto a mezzo il dramma, con ciance a questo modo,
   lanciava una dozzina di parole da bove,
   babàu da dare i brividi, con cigli e creste, nuove
   di zecca...
ESCHILO (Minaccioso):
   Ahi, me infelice...
DIONISO:
   Sta zitto!
EURIPIDE:
   Ce ne fosse
   stata una chiara!
DIONISO (Ad Eschilo):
   Che digrigni?
EURIPIDE:
   Niente! O fosse,
   o Scamandri, o grifoni scolpiti su brocchieri
   di bronzo, parolone da scosciare corsieri,
   da non capirci nulla...
DIONISO:
   Da non capirci un corno!
   Una volta, ho vegliato, pensando, fino a giorno,
   all'ippogallo rosso. Chi sarà questo uccello?
ESCHILO:
   Era quella, balordo, l'insegna d'un vascello.
DIONISO:
   Erissi, io, di Filòsseno lo credetti il rampollo!
EURIPIDE:
   Dunque in tragedia proprio ci voleva, quel pollo?
ESCHILO:
   E che roba facevi tu, nemico dei Numi?
EURIPIDE:
   Non ippogalli od ircocervi, come costumi
   tu, roba da dipingere su arazzi persïani;
   ma l'arte, come prima l'ebbi dalle tue mani,
   gonfia di rimbombaggini, di paroloni pesi,
   l'alleggerii del grave, piú spedita la resi,
   con giretti, versetti, bietola bianca e ciarla
   in decotto, filtrata da libri. E a ristorarla
   le ammannii pezzi a solo...
DIONISO:
   Misti a Cefisofonte!
EURIPIDE:
   Poi, non cianciavo a vanvera: roba tutta in un monte
   non ne buttavo. Il primo che uscia, dicea di schianto
   l'origine del dramma...
DIONISO:
   Ci guadagnavi un tanto
   che la tua non dicesse!
EURIPIDE:
   Né volli alcun poltrone
   nei drammi, io! Dall'esordio parlavano padrone,
   vecchia, ragazza, servo, femmina, tutti!
ESCHILO:
   E il collo,
   per tale ardir, tagliarti non dovean?
EURIPIDE:
   Per Apollo,
   fu azïon democratica, codesta, anzi!
DIONISO:
   Costà
   non ci restare, amico: l'aria non ti confà!
EURIPIDE:
   Poi questi a usar la chiacchiera resi destri...
ESCHILO:
   A chi parli!
   Cosí fossi scoppiato tu, prima d'addestrarli!
EURIPIDE (Continuando):
   ad adattar sui versi squadre, seste sottili,
   ad osservare, ordire raggiri, tender fili,
   penetrare, inquisire, affinar l'intelletto,
   pensare a mal, scrutare delle cose ogni aspetto...
ESCHILO:
   A chi parli!
EURIPIDE:
   E i miei drammi s'aggiravano intorno
   a fatti di famiglia, che avvengono ogni giorno.
   E cosí m'esponevo: ch'era ognun competente
   a intendere, a far critica. Non levavo la gente
   di senno con parole tonanti o spauracchi,
   Cigni inventando, Mènnoni, sonagliere, pennacchi,
   puledri! Ma poi, guarda che scolari abbiam fatto
   l'uno e l'altro. Ei, Formisio e Megènete il matto,
   troncopicchebarbonicurvapinridamari:
   Clitofònte io, Teràmene tuttogarbo ho scolari!
DIONISO:
   Teràmene! Finissimo, e in tutto piú che franco:
   se uno passa un guaio, ed ei gli siede a fianco,
   per lui súbito il gioco muta dal nero al bianco!
EURIPIDE:                              Stretta
   La maniera fu tale
   ond'io li ammaestrai:
   sottile e razionale
   resi l'arte. Oramai
   di tutto ognun s'intende,
   e si mostra piú sveglio
   in ogni cosa, e meglio
   sa sbrigar le faccende
   di casa che in passato.
   E sta con l'occhio teso:
   «Oh, questo dov'è andato?
   Oh, quello chi l'ha preso?»
DIONISO:
   È proprio vero! Adesso,
   appena in casa ha messo
   un uom d'Atene il piede,
   bercia coi servi, e chiede:
   «Dov'è finito il pentolo?
   Chi ha roso alla sardella
   la testa? La scodella
   dell'anno scorso, vive
   o è già spacciata? L'aglio
   di ieri, ov'è? Le olive
   chi le ha messe a sbaraglio?»
   E prima se ne stavano
   a bocca aperta, grulli,
   pastricciani, citrulli!
CORO:                                  Antistrofe
   Veduto, inclito Achille, or ciò non hai?
   Come, di', risponderai?
   Bada sol che, trascinandoti,
   non ti spinga il tuo furor
   troppo fuor del seminato.
   Gravi accuse ei t'ha lanciato.
   Che risponda non occorre
   mentre d'ira tutto fremi.
   Delle vele i lembi estremi
   ti convien solo disciôrre,
   per adesso; e stare in guardia,
   ed attendere il momento
   che tranquillo e uguale un alito
   possa cogliere del vento.
CORIFEO (Ad Eschilo):
   Oh tu che fastigi d'eccelse parole fra noi primamente
   levasti, ed ornasti le tragiche fole, disfrena il torrente.
ESCHILO:
   Del caso m'irrito, la bile mi rode per tal battibecco;
   ma pure, perch'egli non possa vantarsi che io sono a secco...
   (Volto improvvisamente al rivale)
   Per quali ragioni, rispondimi, un vate ammirare conviene?
EURIPIDE:
   Pel savio giudizio, pel retto consiglio: che volgere al bene
   i concittadini possiamo!
ESCHILO:
   Se dunque tu non riuscisti
   a ciò, ma da nobili e onesti com'eran, li hai resi piú tristi,
   che pena ti sembra d'aver meritato?
DIONISO:
   La morte! Oh, che c'è
   da chiederlo a lui?
ESCHILO (A Diòniso):
   Bene, guarda quali uomini s'ebbe da me
   Atene: se alti sei piedi, se onesti: non fuggidoveri
   né gente di piazza com'ora, non bindoli né paltonieri.
   Ma lance fremendo, ma picche, ma bianchi cimieri d'elmetti
   e caschi e schinieri, cingevan di cuoio settemplice i petti.
EURIPIDE:
   E avanti col solito giuoco! Con questo diluvio di caschi,
   di certo mi stritola! E come facesti, a ridurli sí maschi?
DIONISO (Ad Eschilo, che dà segni evidenti di cruccio per l'interruzione):
   Dillo, Eschilo, doma l'altero sentir che in orgasmo ti mette.
ESCHILO:
   Un dramma io composi spirante guerresco furor.
DIONISO:
   Quale?
ESCHILO:
   I Sette
   a Tebe: chiunque l'udisse, voleva venire alle mani.
DIONISO:
   Un guaio davvero facesti: ché rappresentasti i Tebani
   piú forti di noi nella pugna: bisogna pigliarti a nerbate.
ESCHILO:
   A voi stava fare altrettanto; ma altro pel capo avevate!
   I Persi poi diedi alle scene: cantando sí nobile gesta,
   di vincere sempre il nemico in tutti la brama ebbi desta.
DIONISO:
   Che gusto fu, quando evocare lo spettro di Dario s'udí,
   e il Coro gridava: Ahimè, ahi!, battendo le mani, cosí.
   (Imita il lagno e picchia le mani)
ESCHILO:
   Il compito è tal dei poeti! Dei tempi agli inizi risali,
   e vedi quanto utile agli uomini reser quei vati immortali!
   Orfeo rivelava i misteri, le mani dal sangue aver pure
   prescrisse: Museo fu maestro d'oracoli e mediche cure;
   l'arare, il vangar, del ricogliere Esiodo mostrò le stagioni;
   e Omero, il divino, tal pregio, tal nome non ha pei suoi buoni
   precetti? Schierarsi, esser prode, sfoggiar nell'armarsi bel tratto!
DIONISO:
   Ma in ciò suo cattivo scolaro fu Pàntacle, quell'arfasatto!
   L'altrier, nel corteo, cinto l'elmo, volea poi legarvi il cimiero.
ESCHILO:
   Ma altri eroi molti, fra i quali c'è Làmaco il bravo! E da Omero
   le mille prodezze dei Pàtrocli e i Teucri dal cuor di leone
   ritrasse, plasmò la mia mente; e a quelli d'Atene fui sprone
   che sé con quei forti agguagliassero, udendo ,la tromba guerresca.
   Non già Stenebèe misi in scena, né Fedre sgualdrine; né tresca
   di femmina alcuno può dire ch'io m'abbia introdotta in un dramma.
EURIPIDE:
   E sfido! D'erotica grazia in te mai c'è stata una dramma!
ESCHILO:
   E mai non vi sia! Tu, al contrario, ne avesti di buona misura,
   e in casa: talché poi ne fosti scottato.
DIONISO:
   La cosa è sicura.
   Cascò sul tuo capo la colpa onde altre facevi tu ree.
EURIPIDE:
   Che danno avran fatto ad Atene, briccone, le mie Stenebee?
DIONISO:
   Codesto: che donne bennate, consorti a bennati, veduta
   la scena del Bellerofonte, per l'onta bevean la cicuta!
EURIPIDE:
   Oh, il fatto di Fedra, dal vero pigliato non l'ho tale e quale?
ESCHILO:
   Di certo, perdio! Ma un poeta lo deve nascondere il male,
   non metterlo in mostra e insegnarlo! Che per i bambini ci sono
   maestri, poeti pei grandi: espor noi dobbiam solo il buono.
EURIPIDE:
   Spacciar Licabetti e volate parnasie, gli è questo che nomini
   insegnare il buono? Oh, non devesi parlar come parlano gli uomini?
ESCHILO:
   A esprimere grandi concetti, la frase conviene si crei
   acconcia. E parole piú grandi ci vogliono pe' semidei,
   se han gli abiti pure di tanto piú belli dei nostri! L'esempio
   io pure ne porsi; ma tu ne facesti poi misero scempio.
EURIPIDE:
   Io? Come?
ESCHILO:
   Tu, primo, per mover le viscere al pubblico, i prenci
   ponesti cenciosi in iscena.
EURIPIDE:
   Che male avran fatto quei cenci?
ESCHILO:
   Che niuno allestire, per quanto sia ricco, vuol piú la trireme;
   ma invece, si copre di stracci, protesta ch'è povero, e geme.
DIONISO:
   E sotto ha una veste di lana finissima. E se gli riesce
   di far, con le chiacchiere, il tiro, via, tronfio, al mercato del pesce!
ESCHILO:
   E poi, tu la ciarla insegnasti, tu del battibecco la pratica,
   per cui si vuotâr le palestre, per cui dimagrita è la natica
   a questi ragazzi ciaboni, per cui sin la gente di mare
   discute, risponde ai suoi capi. Null'altro sapevano fare,
   quand'ero fra i vivi, che dir: Voga, voga!, che chieder biscotto!
DIONISO:
   E trarre corregge sul muso a quei della panca di sotto,
   smerdare il compagno, e se a terra scendevan, rubare alla via.
   Chi rema or? Discutono; ed erra la nave dell'onde in balía.
ESCHILO:                               Antistretta
   Di che vituperî gli esempî
   non die'? Non espose ruffiani,
   e donne che sgravan nei tempî,
   che giaccion coi loro germani,
   che dicono che non è vita
   la vita? E per questo gremita
   è Atene di scribi, di scimmie
   buffone, che mai non ristanno
   dal tessere al popolo inganno.
   E intanto, lasciate le ginniche
   palestre, nessuno capace
   è piú di portare la face!
DIONISO:
   Che face! Per poco dal ridere
   scoppiavo alla Panatenèa!
   Un uom bianco, peso, tutto adipe,
   rimasto alla coda, correa,
   a testa giú, molto arrancando.
   E quei del Ceramico, quando
   fu giunto alla porta, giú nespole
   sui fianchi, la pancia, le costole,
   le natiche. A tale diluvio
   di picchi di palme, lui soffia
   sul moccolo,
   e scappa, tirando una loffia!
PRIMO SEMICORO:                            Strofe
   Grosso è l'affare, seria è la gara - cruda la guerra che si prepara!
   Giudicar sarà difficile,
   quando l'un s'avventi fiero,
   l'altro, a colpo rivolgendosi, faccia fronte senza tema.
   Non vi basti un sol sistema!
   Scaramucce di pensiero - ce ne sono altre parecchie.
   Qual che sia la vostra lite,
   su, parlate, v'assalite:
   le tragedie nuove e vecchie
   criticate; e dire osate - cose fini ed assennate.
SECONDO SEMICORO:                           Antistrofe
   Se poi la tema vi fa esitanti - che quei che v'odono siano ignoranti,
   che non v'abbiano ad intendere,
   se sfoggiate troppo acume,
   tale dubbio non v'angustii: la faccenda è proprio un'altra.
   Questa è gente molto scaltra;
   e ciascuno ha un suo volume - donde attinge ogni cultura.
   Per natura hanno ogni dote,
   e l'affilano a tal cote.
   Dunque, via!, niente paura!
   Si può dire, a tale udienza, - tutto! Son pozzi di scienza!
EURIPIDE:
   Voglio senz'altro volgermi ai tuoi prologhi.
   Cosí saggio per primo il primo pezzo
   delle tragedie di quest'artistone!
DIONISO:
   E quale saggerai?
EURIPIDE (Ad Eschilo):
   Tanti e poi tanti!
   Quello dell'Orestèa, dimmi per primo.
DIONISO (Al pubblico e al Coro):
   Ehi! Zitti tutti! La parola ad Eschilo.
ESCHILO:
   Tu che sui patrî regni vegli, inferno
   Ermète, a me salute, a me soccorso
   porgi: ch'io giungo a questo suolo, e riedo.
DIONISO (Ad Euripide):
   Censure, n'hai da fare?
EURIPIDE:
   Una dozzina
   e passa.
DIONISO:
   Se non son tre versi in tutto!
EURIPIDE:
   Già, ma con venti sfarfalloni l'uno!
ESCHILO:
   Sbalestri, vedi!
EURIPIDE:
   E lascia che sbalestri.
DIONISO:
   Dà retta a me, sta zitto, Eschilo: oppure
   dovrai rifargli il resto, oltre i tre versi.
ESCHILO:
   Tacer di fronte a lui?
DIONISO:
   Se vuoi sentirmi!
EURIPIDE:
   Una, n'ha detta, che non sta né in cielo
   né in terra.
ESCHILO:
   E quale?
EURIPIDE:
   Recita daccapo!
ESCHILO:
   Tu che sui patrî regni vegli, inferno
   Ermète...
DIONISO:
   Oh, non la dice su la tomba
   del padre morto, Oreste, questa roba?
ESCHILO:
   E chi dice il contrario?
EURIPIDE:
   Bene assai,
   vegliava Ermète, quando il padre suo
   morí per man di donna, assassinato
   a tradimento!
ESCHILO:
   Oreste qui parlava
   d'Ermes benigno, che sotterra impera;
   e dice che dal padre ebbe quel regno.
EURIPIDE:
   Sproposito di piú ch'io non pensavo:
   s'egli dal padre ebbe quel regno...
DIONISO:
   Eccolo
   beccamorti, bontà di papà suo!
ESCHILO:
   Diòniso mio, che spirito di rapa!
DIONISO:
   Passa agli altri.
   (Ad Euripide)
   E tu, occhio al punto debole.
ESCHILO:
   Ermète, a me salvezza, a me soccorso
   porgi: ch'io giungo a questo suolo, e riedo.
EURIPIDE:
   Eschilo, il sapientone, ce le dice
   a doppio, le sue cose!
DIONISO:
   Oh come a doppio?
EURIPIDE:
   Esamina la frase, e te lo provo.
   Io giungo, dice, a questo suolo, e riedo.
   Riedo e giungo, son zuppa e pan bagnato.
DIONISO:
   Già! Gli è come, perdio, dire al vicino:
   Prestami la pignatta, oppur la pentola.
ESCHILO:
   No, che non è la stessa cosa, lingua
   ribalda! È piú che propria, l'espressione.
DIONISO:
   Come? Che dici? Fammela capire.
ESCHILO:
   Giungere è di colui che serba il dritto
   d'entrare in patria senza alcun pericolo:
   un profugo, all'incontro, e giunge, e riede.
DIONISO:
   Sangue d'Apollo, buona! Che ne dici,
   tu, Euripide?
EURIPIDE:
   Che Oreste non riedeva,
   dico, se venne di soppiatto, e senza
   superiore licenza!
DIONISO:
   E bene, sangue
   d'Ermète! Bravo, poi, chi ti capisce!
EURIPIDE (Ad Eschilo):
   Andiamo, dinne un altro.
DIONISO:
   Andiamo, Eschilo,
   dillo, svelto! E tu, occhio alla magagna.
ESCHILO:
   Di questa tomba in vetta il padre appello,
   che m'oda, che m'ascolti.
EURIPIDE:
   Anche qui dice
   la stessa cosa due volte. Ascoltare
   è lo stesso che udir, mi sembra chiaro.
DIONISO:
   Gli è, disgraziato, che parlava ai morti,
   che a chiamarli anche tre, non ci s'arriva.
ESCHILO:
   E tu, i prologhi, come li facevi?
EURIPIDE:
   Senti! E se io dico le cose a doppio,
   se vedi borra fuori d'argomento,
   sputami in faccia.
DIONISO:
   Andiamo, di': ché, tanto,
   per forza o per amore, ho da sentire
   come stan ritti i versi dei tuoi prologhi.
EURIPIDE:
   Era da prima Edipo un uom felice...
ESCHILO:
   Ah, no davvero! L'infelicità
   l'ebbe nel sangue. Avanti che nascesse,
   Apollo profetò che avrebbe ucciso
   suo padre: avanti che venisse al mondo!
   Oh, come era da prima un uom felice?
EURIPIDE:
   Il piú misero poi fu dei mortali.
ESCHILO:
   Ah, no davvero! Tale egli fu sempre.
   E come no? Venuto appena a luce,
   fu esposto, in pieno inverno, entro una pentola,
   perché da grande non assassinasse
   il genitore. Poi, vagabondando,
   coi piedi gonfî, capitò da Pòlibo.
   Poi s'accollò, lui giovane, una vecchia;
   e la vecchia, per giunta, era sua madre;
   dopo si cavò gli occhi...
DIONISO:
   Gli mancava
   d'essere general con Erasínide.
EURIPIDE:
   Ciance! So il fatto mio, io, quanto a prologhi!
ESCHILO:
   Ma non vo' sminuzzar le tue tirate
   verso per verso: con una boccetta
   distruggerò, se Dio vuole, i tuoi prologhi!
EURIPIDE:
   Tu con una boccetta?
ESCHILO:
   Una di conto.
   Li componi in maniera, da poterci
   adattare ogni cosa, ai versi tuoi:
   sacchettina, boccetta, bisaccina.
   E lo dimostrerò súbito.
EURIPIDE:
   Tu
   dimostrarlo?
ESCHILO:
   Sicuro!
DIONISO:
   Oh, dunque, recita!
EURIPIDE:
   Come la fama ovunque grida, Egitto,
   su cavi pini, con cinquanta figli
   ad Argo giunto...
ESCHILO:
   Ruppe la boccetta.
DIONISO:
   Che c'entra la boccetta? Oh, vada al diavolo!
   Recita un altro prologo, vediamo.
EURIPIDE:
   Dïòniso, che, avvolto nella nèbride,
   fra tirsi e faci, del Parnaso in vetta
   lanciasi e danza...
ESCHILO:
   Ruppe la boccetta.
DIONISO:
   Poveri noi, ce l'ha rïazzeccata,
   la boccetta!
EURIPIDE:
   Non fa: non ce ne appicca
   mica, boccette, su quest'altro prologo!
   (Declama)
   Felice in tutto uomo non v'è. D'illustre
   prosapia uno discese, e non ha pane:
   d'ignota un altro...
ESCHILO:
   Ruppe la boccetta.
DIONISO:
   Euripide!
EURIPIDE:
   Che c'è?
DIONISO:
   Dà retta, ammàina!
   Vuole uscire gran vento di tempesta
   dalla boccetta!
EURIPIDE:
   Chè! Neppur mi passa
   pel capo! Adesso gli si spezza in mano!
DIONISO:
   Via, dinne un altro. E attento alla boccetta.
EURIPIDE:
   Cadmo, figlio d'Agènore, lasciato
   il suol Sidonio...
ESCHILO:
   Ruppe la boccetta.
DIONISO:
   Compragliela, brav'òmo, la boccetta,
   o addio, prologhi nostri!
EURIPIDE:
   Che? Comprarla
   io da lui?
DIONISO:
   Mi parrebbe!
EURIPIDE:
   Non sia mai!
   Ce n'ho tanti, dei prologhi, da dire,
   dove non ce l'adatta, la boccetta!
   (Declama)
   Su corsier' pronti Pelope tantàlide,
   venendo a Pisa...
ESCHILO:
   Ruppe la boccetta.
DIONISO:
   Vedi? Ce l'ha daccapo rificcata,
   la boccetta!
   (Ad Eschilo)
   Brav'òmo, glie la devi
   vendere ad ogni costo. Per tre soldi,
   tanto, ne puoi comprare un'altra nuova.
EURIPIDE:
   No, perdio, ce n'ho ancora tanti e tanti!
   (Declama)
   Enèo, pei campi...
ESCHILO:
   Ruppe la boccetta.
EURIPIDE:
   Lasciami dire tutto il verso, almeno!
   (Declama)
   Enèo pei campi, colte molte spighe,
   primizie offrendo...
ESCHILO:
   Ruppe la boccetta.
DIONISO:
   Durante il sacrifizio? E chi la prese?
EURIPIDE:
   Lascialo dire! L'appiccichi a questo!
   (Declama)
   Giove, per quel che vera fama narra...
DIONISO:
   Sei bell'e fritto! Ruppe la boccetta,
   dirà lui! La boccetta sui tuoi prologhi
   ci fa come su gli occhi gli orzaroli!
   Ma passa, se Dio vuole, ai pezzi in musica!
EURIPIDE:
   Ho tanto in mano da mostrar ch'è pessimo
   compositore, e non fa che ripetersi.
CORO:
   Che sarà mai? Qual taccia
   creder possiam ch'ei faccia
   all'uomo che forní
   piú numero di canti,
   e i piú belli, fra quanti
   compongono oggidí?
EURIPIDE:
   Che portenti di canti! Si vedrà
   súbito! Glie li vo' tagliare a fette,
   e ammannirne un cibrèo!
DIONISO:
   E io raccolgo
   dei sassolini per contar le fette.
EURIPIDE (Canta con caricatura buffonesca, accompagnato dal flauto):
   Come, Ftïota Achille, udendo la gara omicida,
   ahimè, travaglio, al soccorso non voli?
   Ermes progenitore, palustre progenie, onoriamo,
   ahimè, travaglio, e al soccorso non voli?
DIONISO:
   Son due travagli, Eschilo mio, con questo!
EURIPIDE (Come sopra):
   D'Atreo figliuolo illustre dall'ampio dominio, m'intendi,
   ahimè, travaglio, e al soccorso non voli?
DIONISO:
   Eschilo, è il terzo, dei travagli, questo!
EURIPIDE (Come sopra):
   Silenzio! Apron d'Artèmide il tempio le sacerdotesse,
   ahimè, travaglio, e al soccorso non voli?
   Posso cantar la giusta impresa possente d'eroi,
   ahimè, travaglio, e al soccorso non voli?
DIONISO:
   Giove mio, che subisso di travagli!
   Io per me voglio andare a fare un bagno,
   ché di travagli n'ho pieni i coglioni!
EURIPIDE:
   Aspetta! Senti prima un'altra filza
   di canti, scritti in stile citarèdico!
DIONISO:
   Avanti! E non ci mettere travagli.
EURIPIDE (Canta accompagnato dalla cetera):
   Qual degli Achei la possa dal duplice soglio, il fior d'Ellade,
   tralleratralleratralleralà,
   invia la Sfinge, cagna di giorni funesti datrice,
   tralleratralleratralleralà,
   impetuoso augello con lancia e man vendicatrice,
   tralleratralleratralleralà,
   lasciandola in balía d'eteree cagne proterve,
   tralleratralleratralleralà,
   sopra Aiace proclive,
   tralleratralleratralleralà...
DIONISO:
   E che rob'è questo tralleralà?
   Codesti canti lunghi come gòmene,
   a Maratona, li hai pigliati? O dove?
ESCHILO:
   Attinsi a puro fonte, e a degno fine
   i miei canti rivolsi; e delle Muse
   sdegnai falciare il sacro prato dietro
   le vestigia di Frínico! Ma lui
   prende quel che gli càpita: canzoni
   da brïaconi, scolî di Melèto,
   arie di flauti carî, danze, nenie
   da funerale: e lo vedremo súbito.
   Chi mi porta una lira? E già, che serve
   la lira, forse, per accompagnare
   certa roba? Dov'è la suonatrice
   di cocci? Vieni qui, Musa d'Euripide,
   degna d'accompagnar simili canti.
(S'avanza una donna con due crotali)
DIONISO:
   Non lo sa, questa Musa, il modo lesbico!
ESCHILO (Con esagerati sdilinquimenti,
accompagnato dal suono dei crotali):
   Alcïoni, che sopra la perenne
   mobilità dei mari,
   d'umide stille roride
   umettate le penne!
   Ragni, che agli angoli dei lacunari
   su pronti diti
   fifífifífifífifífilate,
   sottili orditi,
   cura della spola querula,
   ove balza il delfino
   vago di flauti
   presso la prora cerula!
   Stadî, responsi, datrice di vino
   florida vigna! Spira del grappolo
   ove s'annega il duolo!
   Gittami le braccia al collo, figliuolo!
   (A Diòniso)
   Lo vedi questo verso?
DIONISO:
   Eh, sí, lo vedo!
ESCHILO (Ad Euripide):
   Tu che pérpetri simili
   sconci, ai miei versi apponi?
   Tu che, quando componi,
   come Cirene, adoperi
   dodici posizioni!
   Questo per i tuoi canti. Ora vediamo
   che stile adotta per i pezzi a solo.
   (Preludia e canta)
   Oh della notte languida
   tènebra, quale
   visïone fatale
   dall'invisibile
   Ade mi mandi, nuncia
   di morte, animata
   d'anima inanimata,
   figlia di livida
   notte, onde il core abbrivida,
   tremenda,
   di negra cinta funerea benda,
   strage spirante, strage dal ciglio,
   dal lungo artiglio?
   Súbito, ancelle, s'accenda il lume,
   con l'urne dal rorido fiume
   s'attinga, e riscaldisi l'onda,
   ch'io dal fatidico sogno sia monda!
   (Preludia e canta)
   Oh del pelago Iddio,
   ci siamo! Il gran prodigio
   mirate, oh casigliani!
   Glice sul gallo mio
   gittò le mani,
   qui non è piú!
   Voi Ninfe, dell'Alpi progenie,
   Folletta, soccorrimi tu!
   Sul mio lavoro, oh misera,
   tenevo il viso chino,
   le mani intese a svolgegegegegere
   colmo un fuso di lino,
   per comporne un gomitolo
   e al mercato portarlo in su l'aurora!
   Ed ei per l'ôra
   sopra il vigor di lievissime penne
   lanciossi a volo a volo,
   lasciommi al duolo al duolo,
   e pianto perenne perenne
   stillan, tapina, i miei cigli, i miei cigli!
   Orsú, Cretesi, dell'Ida figli,
   al mio soccorso stringete l'arco,
   il piede lanciate, d'intorno alla casa sbarrate ogni varco!
   E tu, Dittinna vergine, bella Artèmide, avanza,
   e con le tue cagnuole fruga per ogni stanza!
   E leva tu, figlia di Giove, oh Ecate,
   la face duplice riscintillante,
   qui vieni da Glice: ch'io pizzichi
   la ladra in flagrante!
DIONISO:
   Basta, con questa musica!
ESCHILO:
   Ancor io
   n'ho d'avanzo! Lo voglio alla bilancia,
   che basta sola a giudicar la mia
   arte e la sua, dal peso dei vocaboli!
DIONISO:
   E andiamo, dunque! Anche questa, mi tocca:
   pesar l'arte dei vati come il cacio.
CORO:
   I saggi sono scaltri!
   Codesta fantasia
   nuova, strana, chi altri
   la poteva inventar?
   Se detto alcun, trovandomi,
   me l'avesse per via,
   non gli avrei dato retta:
   creduto avrei che detta
   l'avesse per burlar.
(Durante questo canto, i servi di scena hanno portato
una grossa bilancia)
DIONISO:
   Uno qua, uno là, dinanzi ai gusci
   della bilancia, voi due, svelti!
ESCHILO ed EURIPIDE:
   Ecco!
DIONISO:
   Tenete ognuno un guscio, e dite un verso;
   e non lasciate se non fo cuccú!
ESCHILO ed EURIPIDE (Tenendo fermo ciascuno un guscio,
per romper la tratta):
   Ci siamo!
DIONISO:
   Dite un verso dentro il guscio!
EURIPIDE:
   D'Argo volato mai non fosse il legno...
ESCHILO:
   Fiume Sperchèo, di bovi altrici ambagi...
DIONISO:
   Cuccú, lasciate! - Va molto piu giú
   da questa parte.
   (Accenna a quella d'Eschilo)
EURIPIDE:
   E come mai può essere?
DIONISO:
   Per renderlo piú peso, l'ha inzuppato
   col fiume, il verso: come fosse lana.
   Tu ce n'hai messo uno con le penne!
ESCHILO:
   Ne dica un altro, e si ripesi!
DIONISO:
   Avanti,
   rïafferrate i gusci!
ESCHILO ed EURIPIDE:
   Eccoci!
DIONISO:
   Dite!
EURIPIDE:
   Di Suada sol tempio è la parola.
ESCHILO:
   Sol Morte, fra gli Dei, doni non brama.
DIONISO:
   Giú, giú... Tracolla ancora qui. La morte,
   ci ha buttato, il piú grave dei malanni!
EURIPIDE:
   Io Suada, mirabile parola!
DIONISO:
   Sí, ma leggera e priva di midollo.
   Cercane un altro, di quelli che spiombano,
   nerboruto, marchiano.
EURIPIDE:
   Dimmi un po',
   dove lo pesco? Dove?
DIONISO:
   Eccolo qua:
   (Declama)
   Gittava Achille ai dadi quattro e due!
   (Riprendendo)
   Dite, su via: l'ultima prova è questa!
EURIPIDE:
   L'asta grave di ferro in pugno strinse...
ESCHILO:
   Cocchio su cocchio, e morto sopra morto...
(Lasciano, e la bilancia tracolla ancora dalla parte d'Eschilo)
DIONISO:
   Te l'ha fatta anche adesso!
EURIPIDE:
   E come mai?
DIONISO:
   Ci ha buttati due cocchi e due cadaveri
   da non tirarli su cento Egiziani!
ESCHILO:
   Ma che si va verso per verso! Segga
   su la bilancia lui, sua moglie, i figli,
   Cefisofonte, e tutti quanti i libri;
   e io dirò due soli dei miei versi!
(Portano via la bilancia. Entra Plutone)
DIONISO:
   Amici miei, giudizi io non ne do!
   Non vo' nemico né l'uno né l'altro!
   (Indica Euripide)
   Questo lo credo un sapientone, e questo
   (Indicando Eschilo)
   mi dà gusto!
PLUTONE:
   E cosí, non ne fai nulla
   di ciò per cui sei venuto?
DIONISO:
   E se giudico?
PLUTONE:
   Conduci via quello ch'ài scelto. Almeno
   non avrai fatta tanta strada a ufo!
DIONISO:
   Dio te ne renda merito!
   (Ai due poeti)
   Sentite
   qua: d'un poeta io son venuto in cerca.
EURIPIDE:
   Per che motivo?
DIONISO:
   Perché Atene, tratta
   a salvamento, abbia i suoi cori. Chi
   mi sa dare il consiglio piú proficuo
   per la città, condurrò meco. Primo,
   a voi: che ne pensate d'Alcibiade?
   Atene, già, non ha molta fortuna
   coi figliuoli!
EURIPIDE:
   E di questo, che ne pensa?
DIONISO:
   Che ne pensa? Lo aborre, lo desidera,
   lo vuol con sé... ma dite voi la vostra.
EURIPIDE:
   Il cittadino aborro che si mostra
   lento al soccorso della patria, e pronto
   a farle danno, ed ha per sé dovizia
   di spedïenti, e per la patria è inetto!
DIONISO:
   Per Posídone, bene! E tu che dici?
ESCHILO:
   In città non si nutra un lioncello,
   ma chi nutrialo, ai modi suoi s'adatti!
DIONISO:
   M'assista Iddio, non so che pesci prendere!
   Questo parla da dotto,
   (Indica Euripide)
   e quello,
   (Indica Eschilo)
   chiaro. -
   Ditemi ancora come la pensate
   intorno al modo di salvare Atene.
EURIPIDE:
   Io ce n'ho uno, e posso dirlo.
DIONISO:
   E dillo.
EURIPIDE:
   Quando fido per noi fia quel che infido
   ora si stima, e quel che fido infido...
DIONISO:
   Come? Non la capisco! Me la dici
   un po' meno da dotto, e un po' piú chiara?
EURIPIDE:
   Se noi dei cittadini in cui fidiamo
   diffideremo, e adopreremo quelli
   che non adoperiam, salvi saremo!
   Se la baracca adesso non cammina,
   non andrà meglio, a far tutto il contrario?
DIONISO:
   Bene, oh pozzo di scienza, oh Palamede!
   (Ad Eschilo)
   E tu, che dici?
ESCHILO:
   Dimmi, innanzi tutto:
   di chi si serve la città? Dei probi?
DIONISO:
   Dove mai? Se li aborre!
ESCHILO:
   E si compiace
   dei furfanti?
DIONISO:
   No, no, li adopra a forza!
ESCHILO:
   E chi salvare una città potrebbe
   a cui né saio né mantel s'adatta?
PLUTONE:
   Ora puoi dar giudizio!
DIONISO:
   Ecco il giudizio:
   quello che l'alma brama eleggerò!
EURIPIDE:
   Non scordare gli Dei per cui giurasti
   di ricondurmi su! Scegli i tuoi fidi!
DIONISO:
   Giurò la lingua! Ed io mi piglio Eschilo!
EURIPIDE:
   Uomo sacrileghissimo, che fai?
DIONISO:
   Io? Dò la palma ad Eschilo! E con questo?
EURIPIDE:
   Compiuta opra sí turpe, osi fisarmi?
DIONISO:
   Perché turpe, se tal non sembra al pubblico?
EURIPIDE:
   Di lasciarmi fra i morti hai cuore, oh crudo?
DIONISO:
   E chi sa se non è morte la vita?
PLUTONE:
   Oh Dïòniso, entrate, ora!
DIONISO:
   A che fare?
PLUTONE:
   Uno spuntino, prima di tornare
   sopra la terra.
DIONISO:
   Non la pensi male!
   Io codeste faccende non l'ho a noia.
(Escono tutti)
CORO:                                  Strofe
   Fortunati gli uomini
   ch'ànno menti acute!
   I fatti lo provano!
   Perché belle vedute
   egli ha, fa ritorno
   alla luce del giorno,
   per il ben dei cittadini,
   per il bene degli affini,
   degli amici suoi; perché
   savio mostrato s'è!

                                       Antistrofe
   Di buon gusto è a Socrate
   non seder cianciando
   a fianco, la musica
   lasciata, e messa in bando
   della tragic'arte
   ogni piú nobil parte!
   Consumare fra saccenti
   cicalii, sparnazzamenti
   di parole, in ozio il dí,
   è da uomo che impazzí.
(Rientrano Plutone, Eschilo, Diòniso)
PLUTONE:
   Eschilo, or dunque con lieta fronte
   muovi a salvare la tua città,
   coi tuoi consigli savî; e gli stolti
   fa' rinsavire: ce n'è di molti!
   To' questo stile per Cleofonte,
   offri ad Archènomo questa cicuta,
   questi capestri
   uno a Nicòmaco, l'altro a Formícola,
   di trar balzelli grandi maestri.
   E di' che presto meco qui scendano,
   che non indugino la lor venuta.
   Ché, se qui súbito non son, li bollo,
   sangue d'Apollo,
   li lego a fascio con Adimante,
   l'uom cui fu padre Biancopennacchio,
   poi, su l'istante,
   in qualche baratro giú li sbatacchio!
ESCHILO:
   Sarai servito. Tu questo seggio
   consegna a Sofocle, che n'abbia cura,
   e me lo serbi, se mai discendere
   qui ancor dovessi per avventura:
   ché lui nell'arte stimo secondo.
   Ma tieni d'occhio quel gabbamondo,
   buffone, mastro d'ogni armeggío,
   che mai, neppure ce lo volessero
   per forza, segga sul trono mio!
PLUTONE (Al Coro):
   Or con le sacre fiaccole al vate
   la via si schiari: con i suoi cantici,
   le sue melodi, lo accompagnate.
CORO:
   Pria concedete, o Demoni d'abisso, buon viaggio
   al vate che, lasciandone, torna del sole al raggio;
   e alla città consigli che rechin buoni frutti.
   Fine avranno in tal modo le grandi ambasce e i lutti
   delle guerresche imprese; e faccia pur la guerra
   Cleofonte o chi brama n'ha, nella propria terra.
(Diòniso esce recando con sé Eschilo: tutti i coreuti
gli fanno corteo trionfale)



INDIETRO