RICOEUR: Riflession fatta. Autobiografia intellettuale

Recensione di Marcello Neri

Il libro di Ricoeur è composto da due contributi che il filosofo francese ha steso in occasioni e contesti diversi. L'"Autobiografia intellettuale" (originariamente in lingua inglese) scritta a introduzione dell'opera collettanea The Philosophy of Paul Ricoeur (Chicago and Lasalle, Open Court 1995); e il saggio "Dalla metafisica alla morale" pubblicato in occasione del centenario della Revue de métaphisyque et de morale (1994), riprendendo il titolo dato da F. Ravaisson al suo articolo per il primo numero della rivista fondata da E. Halévy e X. Leon. Entrambi ripercorrono l'opera filosofica di Ricoeur. Il primo in maniera più complessiva, offrendo una traccia che ne attraversa tutti gli snodi maggiori; il secondo si sofferma più puntualmente sui temi di Sé come un altro (Jaca Book, Milano 1993; originale francese del 1990 presso Seuil, Parigi). Il legame tra i due testi non è di ordine biografico, bensì strettamente teoretico: "La collocazione di questo studio dopo l'Autobiografia intellettuale è sembrata giustificata nella misura in cui vi si è riflettuto su alcune categorie di rango superiore - il Medesimo e l'Altro, la Potenza e l'Atto - che strutturano il discorso di Sé come un altro. Questa riflessione di secondo grado, portando la riflessione su un precedente percorso di pensiero, si dà il compito di mostrare che una speculazione, che verta sul ruolo tenuto dalla funzione meta- nel discorso filosofico, tiene aperta la via che conduce ‘dalla metafisica alla morale', quale è indagata nell'ultima parte di Sé come un altro" (p. 18).

Siamo così introdotti, dallo stesso Ricoeur, al principio metodologico, da un lato, e alla ragione filosofica, dall'altro, che innervano tutta la sua opera, offerta a uno sguardo sintetico e d'insieme al lettore dell'"Autobiografia intellettuale". Il metodo, mentre assume l'analisi fenomenologica husserliana come unica adeguata relazione prima del pensiero con la realtà, la dichiara non esaustiva. Infatti, si afferma la necessità di un ritorno della riflessione sul dato acquisito fenomenologicamente, per guadagnare così quegli elementi di ordine superiore che eccedono la mera determinazione del fenomenologico, in quanto mai propriamente riducibili in via definitiva. Tenendo conto di tutta la produzione di Ricoeur si può affermare che tale questione superiore, mai completamente esaurita dalla riduzione fenomenologica (e che la riflessione di ritorno, dopo aver divagato per gli innumerevoli spazi del sapere filosofico che hanno cercato di eliderne l'eccedenza sostenendone la non praticabilità o finanche la non esistenza, può cogliere solo nella sua inoggettivabile irriducibilità) sia esattamente la questione del senso: "L'ermeneutica, pertanto, invita a risalire nell'opera di Husserl dalle Ideen e dalle Cartesianische Meditationen alle Logische Untersuchungen, vale a dire a uno stato della fenomenologia in cui la tesi della intenzionalità rivela una coscienza diretta fuori di se stessa, rivolta verso il senso, prima di essere per sé nella riflessione" (p. 72). Il tema del metodo lascia così emergere la qualità della ragione filosofica messa in campo da Ricoeur. Da un lato, essa vuole liberare la metafisica da un cattivo essenzialismo scolastico (che finisce col fare della categoria meta- semplicemente una proiezione del dato fenomenologico in un ordine superiore); dall'altro, mira a elaborare una teoria compiuta della trasversalità dell'etico all'ontologico (esattamente attraverso l'indagine del significato della funzione meta- e l'utilizzo di categorie di ordine superiore: Potenza e Atto, Medesimo e Altro).

Il metodo si sporge immediatamente sul momento materiale della riflessione, che è a sua volta direttamente vincolato al metodologico. Mi sembra che quest'intreccio sia presente fin dall'inizio nella filosofia di Ricoeur, sebbene il rigore con cui egli affronta la questione metodologica lo costringa a una quasi interminabile divagazione rispetto al merito immediato della "cosa" di cui ne va nella filosofia (che inizia con la Philosophie de la volonté e termina alle soglie del decimo studio di Sé come un altro - dal carattere ancora chiaramente provvisorio, come lascia intendere la titolazione "Verso quale ontologia?"). Il punto di partenza è la critica alla deriva ideologica del metodo (fenomenologico) e alla paradossale produttività fenomenica della riduzione: "Alla traduzione propriamente detta [delle Ideen I di Husserl], aggiunsi un commento perpetuo e una introduzione sostanziale, nella quale cercai di dissociare quello che mi appariva come il nucleo descrittivo della fenomenologia dall'interpretazione idealistica di cui tale nucleo si trovava investito [...] La riduzione rendeva possibile la produzione quasi fichteana della fenomenalità ad opera della coscienza pura, la quale veniva ad erigersi a scaturigine più originaria di qualsiasi esteriorità ricevuta" (pp. 32-33).

La costruzione del progetto filosofico di Ricoeur nasce dall'intento di offrire "una controparte, nell'ordine pratico, alla Fenomenologia della percezione di Merleau-Ponty" (p. 33). Questa scelta del pratico impone il tema del soggetto che agisce e patisce, e l'elaborazione di un'"ontologia della volontà finita" intesa come "ontologia della sproporzione": "La fragilità dell'uomo, la sua vulnerabilità morale, non sarebbe altro che una sproporzione costitutiva fra un polo di infinitudine e un polo di finitudine" (p. 39). L'applicazione dell'analisi eidetica alle sfere affettive e volitive del soggetto approda non solo alla qualità problematica della sua ontologia, che chiede un'amplificazione semantica del dato fenomenologico, ma comporta anche il riscontro di una sorta di opacità fenomenologica dell'io a se stesso: "Il soggetto, affermavo, non conosce se stesso in maniera diretta, ma soltanto attraverso i segni depositati nella sua memoria e nel suo immaginario dalle grandi culture. Questa opacità del Cogito non concerneva, in linea di principio, la sola esperienza della volontà cattiva, ma tutta la vita intenzionale del soggetto" (p. 41). Ma questa condizione del Cogito nella problematicità/sproporzione, e nell'opacità, è esattamente l'oggetto dell'aggressione mossa contro l'io-soggetto dagli strutturalismi (intesi a decostruirne qualsiasi possibilità di posizione riflessiva) e dalle filosofie del linguaggio (che ne impoveriscono la portata semantica riducendone la sua funzione grammaticale a mero sistema di segni deprivato di qualsiasi legame soggettuale).

Questi due spettri della filosofia contemporanea rappresentano gli ambiti delle più ampie divagazioni dell'opera di Ricoeur: il confronto con alcune elaborazioni strutturali di matrice francese e quello con alcuni esponenti della scuola anglosassone della filosofia del linguaggio. Non senza qualche preoccupazione di ordine critico, Ricoeur pone l'analisi strutturale come limite minore della sua indagine sul soggetto nella problematicità o Cogito lacerato: "Da una parte, ho sempre avuto gran cura di dissociare lo strutturalismo, in quanto modello universale di spiegazione, dalle analisi strutturali legittime e fruttuose [...] D'altra parte, mi adoperavo ad eliminare dalla mia concezione del soggetto pensante, agente e senziente, tutto ciò che avrebbe potuto rendere impossibile incorporare una fase di analisi strutturale all'operazione riflessiva" (p. 45). La sponda offerta dallo strutturalismo, mediata da un lungo attraversamento della tematica psicoanalitica e dal confronto con Freud, apre lo spazio per assumere la filosofia del linguaggio quale limite maggiore dell'indagine sul soggetto-nello-scarto da sé: "Ora, lo strutturalismo non mi sembrava mettere in questione la nozione di soggetto a titolo di ermeneutica del sospetto, bensì in quanto astrazione oggettivante, attraverso cui il linguaggio si troverebbe ridotto al funzionamento di un sistema di segni senza ancoraggio soggettivo [...] I limiti mi sembravano quelli stessi della nozione di segno... Mi sembrava che, in questo modo, si perdesse di vista ciò che Emile Benveniste aveva, di contro, perfettamente riconosciuto, e cioè il fatto che la prima unità di senso del linguaggio non è il segno lessicale ma la frase, che egli chiama istanza di discorso [...] La frase, insegnava Benveniste, contiene quanto meno l'atto sintetico della predicazione. Appoggiandomi parimenti su Roman Jakobson, proponevo allora la seguente definizione del discorso: qualcuno dice qualcosa a qualcuno su qualche cosa secondo delle regole" (p. 51). In tal modo si recuperano e mettono in luce "la dimensione intersoggettiva" e l'"ambizione referenziale" del linguaggio (p. 52).

Questo intreccio dell'ordine linguistico porta Ricoeur all'individuazione del "fenomeno dell'innovazione semantica", ossia di quella "produzione di un senso nuovo attraverso procedure del linguaggio" (p. 58). La qualità regolata di quest'atto creativo del linguaggio riaggancia l'analisi sul piano strutturale al livello più elementare della questione etica. D'altro lato, la sua applicazione porta ad ampliare l'unità semantica fondamentale dalla frase al testo. Il primo punto sarà svolto da Ricoeur in Sé come un altro, il secondo rappresenta l'asse portante di Tempo e racconto. Il raccordo fra le due opere è dato dalla ricaduta ontologica dell'incremento semantico mediante l'analisi della referenza metaforica, svolta nella costruzione di una teoria pratica del testo in Tempo e racconto: "Spiegavo l'operazione veritativa della metafora nel modo seguente: nello stesso modo in cui il senso metaforico risulta dall'emergenza di una nuova pertinenza semantica sulle rovine della pertinenza semantica letterale, la referenza metaforica procede dal crollo della referenza letterale. Al fine di sottolineare bene la portata ontologica della tesi, proponevo di far corrispondere al ‘vedere-come' dell'enunciato metaforico un ‘essere-come' di ordine extralinguistico rivelato dal linguaggio poetico" (p. 61). L'atto che media questa qualità ontologica dell'incremento semantico nello spazio del testo è "l'atto di lettura" (p. 61). La riconfigurazione del mondo come possibile più proprio del soggetto, regolata dalla configurazione del testo, apre quindi a un'ontologia che non sia più semplicemente irrelata e a latere della stessa configurazione del soggetto: "Il mondo del lettore offre il sito ontologico delle operazioni di senso e di referenza che una concezione puramente immanentistica del linguaggio vorrebbe ignorare" (p. 62).

Il medio autonomo del testo istruisce la trasversalità non meramente formale tra l'etico e l'ontologico. Questo è il tema svolto da Ricoeur in Sé come un altro, termine di quell'excursus del soggetto durato quasi l'opera di una vita: "Si potrebbe dire che, con l'ultima opera, la riflessione rientra presso di sé grazie al movimento stesso che l'ha in un primo tempo proiettata fuori di sé, e in secondo tempo l'ha in qualche modo ritardata, a forza di deviazioni, di giri e di mediazioni" (p. 77). A questo libro sono dedicate le pagine del secondo saggio "Dalla metafisica alla morale". Esso è posto "sotto l'egida della nozione di essere in quanto atto [...] e poi sotto l'egida della dialettica del medesimo e dell'altro, più visibilmente implicata dalla transizione dalla metafisica alla morale" (p. 109). Sul lato del soggetto questa dialettica si polarizza nel riferimento all'idem e all'ipse come lo stesso del soggetto "precisamente in quanto altro da sé medesimo" (p. 121). Si apre così lo spazio di una fondamentale (e originaria?) esperienza di passività/esteriorità del sé a se stesso che trova nella "carne", nell'"estraneo" e nel "foro interiore" i tre referenti propri di quest'alterità/estraneità del soggetto. In tutti tre i casi Ricoeur vigila attentamente affinché non si produca un immediato slittamento della trattazione verso l'ambito etico. Di particolare interesse la sospensione momentanea nel pre-etico per quanto riguarda il terzo referente, che permette, "in quanto forum del colloquio fra sé e sé stessi", di non perdere quella "metafora della voce" che è necessaria per "serbare l'idea di una passività senza pari, che sia a un tempo a me interiore e superiore" (p. 123). Il passaggio all'etico, e l'apertura verso una possibile (ma problematica) ontologia, avviene mediante il tema dell'attestazione: il "foro interiore non è altro che l'attestazione attraverso la quale il sé affetta se stesso [...] Certo, se si vuol rendere esattamente conto del fenomeno dell'attestazione, è difficile non congiungere la meta-categoria dell'essere vero con quella dell'essere come atto e potenza. La coscienza-attestazione sembra proprio inscriversi nella problematica della verità, in quanto fiducia e fidanza" (p. 124). Qui però Ricoeur pone quell'interdetto dell'"aporia dell'Altro" dell'attestazione (p. 98), che interrompe la riflessione e sospende la ragione da qualsiasi possibile percezione (valutativa) dell'originarietà di quest'alterità. Si tratta del punto più promettente e più criticamente esposto dell'approdo ontologico dell'opera di P. Ricoeur. Non è questa la sede per uno scavo maggiore del problema, basti averne fatto cenno indicandone l'importanza.

Nell'"Avvertenza" introduttiva a Riflession fatta, Ricoeur invita esplicitamente a non pensare questo testo come la conclusione del tragitto della ragione filosofica: "La riflessione, sia pur raddoppiata, non si esaurisce in un bilancio" (p. 18). Il percorso memoriale attraverso la sua opera ha infatti lasciato emergere una sorta di dimenticanza che attraversa i volumi di Tempo e racconto e Sé come un altro, che ha portato alla pubblicazione dell'ultimo testo di P. Ricoeur: La mémoire, l'histoire, l'oubli (Seuil, Paris, 2000 - per ora disponibile solo nella versione francese), cui è affidato il compito "di ritornare su alcune lacune nella problematica di Tempo e Racconto e in Sé come un altro, dove l'esperienza temporale e l'operazione narrativa sono messe in relazione diretta, al prezzo però di un'impasse sulla memoria e, peggio ancora, su quel livello mediano tra tempo e racconto che è l'oblio" (p. I).

La ricognizione critica lungo i percorsi complessi della propria opera ha spinto, in un movimento consustanziale a tutta la sua produzione, l'anziano filosofo francese a riprendere i fili della riflessione proprio là dove essa aveva patito la sua più marcata opacità; ripresa paradossalmente messa sotto il segno della persona che più di ogni altra ha illuminato la vita e la ricerca indomita di quest'uomo inquieto e profondo - appunto, dans la mémoire de Simone Ricoeur.

Indice

Dopo la riflessione. Autobiografia e memoria in Paul Ricoeur (di Daniella Iannotta).
Avvertenza.
I. Autobiografia intellettuale.
II. Dalla metafisica alla morale.

 

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