AUGUST BOECKH

 

A cura di Diego Fusaro

 

 

 

 

Allievo di Wolf e di Schleiermacher a Halle, August Boeckh (1785-1867) è un filosofo che ha fornito contributi molto importanti per l’ermeneutica. Essa assume, nella sua opera, il ruolo di concettualizzare le maniere in cui l’esegesi può essere svolta. Essa si configura dunque come “interpretazione filologica”, nella quale il “comprendere” (verstehen) di profila come Erkenntnis des Erkannten, ossia “riconoscimento del conosciuto”. Boeckh fu docente di filologia classica: dapprima a Heidelberg, successivamente a Berlino. Egli fu, inoltre, l’autore di una celebre edizione di Pindaro e della Staatshaushaltung der Athener (1817). Il suo lavoro teoricamente più denso e ricco di spunti è indubbiamente la Enciclopedia e metodologia delle scienze filologiche, che apparve solo nel 1877, dieci anni dopo la sua morte. È soprattutto in questo scritto che Boeckh va sviluppando l’ermeneutica a partire dalla filologia, intesa, quest’ultima, come conoscenza dell’antichità in ogni suo settore. L’ermeneutica così intesa ha, quale obiettivo, la conoscenza di tutto “ciò che è stato prodotto dallo spirito” e, sotto questo profilo, essa si configura come “conoscenza del conosciuto”. Il “conosciuto” in questione abbraccia l’insieme della cultura umana, dalla storia all’arte, dalla letteratura alla filosofia. In questo senso, per Boeckh comprendere significa – in termini platonici – riconoscere e, più precisamente, riconoscere le idee che si sono manifestate nel conosciuto. Ad avviso di Boeckh, sono quattro i tipi di interpretazione: 1) grammaticale, 2) storica, 3) individuale, 4) per generi letterari. Il senso delle parole, da un lato, e la situazione storica, dall’altro, rappresentano le condizioni oggettive della comprensione e dell’interpretazione dei testi, che vengono decifrate tramite l’interpretazione grammaticale e l’interpretazione storica. Vi sono poi le condizioni soggettive, date dal fatto che attraverso le parole, gli stilemi narrativi, i testi redatti in una certa lingua l’autore esprime le proprie specifiche idee e i propri sentimenti individuali. È qui che sorge il problema dell’interpretazione individuale: essa ha il difficile compito di interpretare i testi come espressione delle capacità creative del soggetto. Da ultimo, ogni comunicazione mira a un obiettivo, che può essere raggiunto tramite diversi tipi di discorso: da tale varietà traggono origine i generi letterari, con le loro specifiche norme e i loro principi; di essi deve dare conto l’interpretazione per generi letterari. Secondo Boeckh, a questi quattro tipi di interpretazione si accompagnano quattro tipi di critica: grammaticale, storica, individuale e per generi. Egli mira a mantenere vivo il nesso tra “interpretazione” e “critica”, poiché esso permette di porre il problema della fondatezza dei diversi generi di interpretazione: la critica infatti va in cerca di una unità di misura. L’interpretazione e la critica grammaticali rinvengono la loro unità di misura nell’impiego linguistico comune proprio dell’epoca in cui vennero scritti i testi da interpretare. Tuttavia, i singoli testi possono discostarsi dall’uso linguistico comune dell’epoca: l’interprete deve allora criticamente ricostruire il testo nella sua autenticità e nella specificità individuale propria dell’autore che l’ha composto. In modo affine, l’interpretazione storica trova un analogo nella critica storica, la quale deve secondo Boeckh vagliare la convergenza dei testi tramandati con le conoscenze storiche da noi possedute. La critica individuale, dal canto suo, si occupa dell’analisi della compatibilità tra il carattere specifico de un dato scritto e la personalità propria dell’autore che l’ha redatto. In vista di questo obiettivo, essa si serve di tutti i mezzi che già abbiamo esaminato, ossia degli elementi della critica grammaticale e di quella storica: da questo punto di vista, la critica individuale si profila come sintesi delle prime tre forme. Infine, la critica per generi letterari – la più originale di tutte – si occupa direttamente dei contenuti da interpretare, e non tanto della forma: essa guarda alla tradizione letteraria in cui si inserisce lo scritto da interpretare. A differenze delle prime tre, che erano formali, la critica per generi è sostanziale, contenutistica: essa si applica soprattutto alle opere d’arte, e la sua unità di misura, secondo Boeckh, dovrà essere quella della “verità poetica”, ossia – nei termini di Boeckh – “la coincidenza dell’immagine con l’idea artistica”. Nel caso dell’interpretazione di opere scientifiche, e non artistiche, le cose cambieranno radicalmente: qui sarà la verità come coincidenza con il reale a fare da criterio. Analogamente, un’opera storica dovrà essere misurata in base alla sua capacità di esporre i fatti come si sono effettivamente svolti. La critica per generi letterari non fu solo la più innovativa delle quattro prospettate da Boeckh: fu anche la più attaccata dai suoi contemporanei, soprattutto per la “fragilità” teorica su cui si reggeva. Tuttavia, al di là dei limiti, certo non assenti, nella posizione di Boeckh, una delle sue massime acquisizioni – destinate a incidere profondamente nel Novecento – fu l’intreccio, il nesso simbiotico tra ermeneutica e critica.          

 


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