FRANZ BRENTANO

 

LA VITA

BRENTANOFranz Brentano fu un filosofo tedesco che tra i primi si interessò alla psicologia, invitando i ricercatori del tempo a concentrarsi non tanto sui contenuti della mente, ma sugli atti o processi mentali (da cui la corrente dell'intenzionalismo). Discendente da un’antica e nobile famiglia di origine italiana, Franz Brentano nacque a Marienberg sul Reno nel 1838. Studiò filosofia a Berlino, dove entrò in stretto contatto con Friedrich Adolf Trendelenburg, profondo studioso di Aristotele, e poi a Monaco e a Tubinga, laureandovisi nel 1862. Nel 1864 fu ordinato prete cattolico e nel 1866 divenne libero docente all’università di Würzburg. Quando, nel 1869, fu preannunciato il dogma dell’infallibilità del papa, la crisi vocazionale del filosofo, già in atto da diverso tempo, raggiunse il culmine. Brentano, assieme ad altri esponenti del cattolicesimo tedesco, si oppose strenuamente al nuovo dogma, fino a decidere di lasciare la veste talare nel 1872. Come logica conseguenza, nel 1873 anche la posizione universitaria di professore straordinario che aveva ottenuto come ecclesiastico a Würzburg, dovette essere abbandonata. Nel 1874 Brentano divenne però nuovamente professore a Vienna,. Era infatti un oratore particolarmente brillante, e le signore distinte di Vienna affollavano le sue lezioni; tra i suoi allievi vi furono le migliori personalità del tempo, quali il filosofo Edmund Husserl, il politico cecoslovacco Thomas Masaryk, lo scrittore Franz Kafka, lo psicologo Carl Stumpf, oltre al fondatore della psicoanalisi, Sigmund Freud. Dora Stockert Meynert lo descrisse come somigliante a un Cristo bizantino, dalla voce dolce, che costellava la sua eloquenza con gesti di grazia inimitabile, "figura di un profeta con lo spirtito di un uomo di mondo ". Brentano era dotato di un prodigioso talento linguistico, e oltre alla fama di erudito e di filosofo originale, egli era noto per la sua improvvisazione di elaborati giochi di parole. Egli creò un nuovo genere di indovinello chiamato dal- dal- dal che divenne popolarissimo nei salotti viennesi e fu molto imitato; altri indovinelli furono pubblicati in forma anonima. Non sparirono però dalla letteratura, né dalla scienza: infatti Freud li citò in una nota nel libro: Motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio. Da figura eminente nella vita sociale viennese del tempo però, ancora una volta Brentano finì nella polvere. Nel 1880 infatti dovette di nuovo dimettersi: questa volta per motivi personali, continuando a tenere lezioni solo come libero docente. Quali erano questi motivi personali ? L'amore, naturalmente. Franz, nel 1880, aveva deciso di sposarsi con una donna cattolica, ma in Austria il matrimonio con un ex prete era proibito, per cui Brentano prese la cittadinanza sassone e si sposò a Lipsia. L'immediata conseguenza fu, come detto, la perdita della carica di professore ordinario a Vienna. La vita coniugale durò solo 14 anni: infatti nel 1894, Brentano restò vedovo. Lasciò Vienna e, dopo aver vissuto in varie città, si stabilì a Firenze nel 1896. La permanenza di Brentano a Firenze fu molto importante per lo sviluppo della filosofia e della psicologia italiana di inizio secolo. Brentano fu infatti in stretto contatto con Francesco De Santis ed ebbe una fitta corrispondenza con il filosofo pragmatista Giovanni Vailati, che aveva tenuto anche un’importante relazione sulla " classifica degli stati di coscienza" proposta da Franz Brentano al IV congresso internazionale di psicologia a Parigi, nel 1900. Nel 1913 fu tradotta da Mario Puglisi la seconda parte della Psicologia dal punto di vista empirico ( l’opera principale di Brentano) con il titolo La classifica delle attività psichiche. Oltre a numerose opere di filosofia, Brentano si interessò moltissimo alla psicologia, in particolare approfondì le teorie psicologiche del De anima di Aristotele. Nel 1897, a quasi sessant’anni, si sposò per la seconda volta con una donna viennese, suscitando i commenti pungenti di molti suoi colleghi. Nel 1915, a causa dello scoppio della guerra, si trasferì a Zurigo dove morì nel 1917. Nella storia della psicologia si ricordano di Brentano lo studio dei processi mentali, o atti. Egli chiamò questa visione delle cose, "obiettività immanente". Nei fenomeni fisici, sosteneva, vi è una direzione della mente verso un oggetto, come quando osserviamo qualcosa. L'oggetto che vediamo è 'inesistente' fino a che non si compie l'atto di 'guardarlo'. Le sue idee divennero punto di partenza per moltissimi filosofi e psicologi del tempo.

OPERE PRINCIPALI

Le principali opere di Brentano sono: Psicologia dal punto di vista empirico (1874), L’origine della conoscenza morale (1889), Il futuro della filosofia (1893), Le quattro fasi della filosofia e il suo momento presente (1895), Ricerche sulla psicologia dei sensi (1907), e – dedicate ad Aristotele - Sui molti significati dell’esistente in Aristotele (1862), La psicologia di Aristotele (1867), Il creazionismo di Aristotele (1882), Aristotele e la sua visione del mondo (1911), La dottrina di Aristotele sull’origine dello spirito umano (1911).

IL PENSIERO

Franz Brentano (Marienberg, Austria, 1838 - Zurigo 1917) fu un grande psicologo e filosofo; prete cattolico, si allontanò poi dalla Chiesa; fu docente all'Università di Vienna, ma fu costretto a lasciare l'incarico per motivi di salute. Si stabilì a Firenze e negli ultimi anni in Svizzera, a Zurigo, dove terminò la sua esistenza. Secondo Brentano, alla base dei fenomeni psichici c'è l'intenzionalità, termine che traduce l'intentio del filosofo tardoscolastico Guglielmo da Ockham. L'intenzionalità indica la tensione verso l'oggetto, sempre reale, cui si riferiscono i fatti mentali, che Brentano riduce a tre tipi: rappresentazioni, giudizi e sentimenti. La teoria dell'intenzionalità è molto importante perché, grazie alla mediazione del fenomenologo Husserl e dell'empirista Russell, troverà grande sviluppo nella filosofia della mente e nella scienza cognitiva novecentesca, specialmente dalla fine degli anni Sessanta, quando si sviluppò l'intelligenza artificiale e cominciò a farsi strada un modello di intenzionalità differente. Molto inciderà (con la mediazione di Husserl) sulla formazione filosofica dello stesso Heidegger. Esaminiamo ora più nello specifico il pensiero di Brentano e la nozione che ne sta al cuore: l’intenzionalità. Per Ockham gli universali non sono puri suoni, ma segni naturali prodotti nell'anima delle cose stesse di cui essi sono segno, cosicché l'universale è segno nel modo in cui il fumo è segno del fuoco o il lamento è segno di dolore o di malattia. Esso ha una natura intenzionale, nel senso che "tende verso" (in latino intendit) l'oggetto di cui è segno: in ciò sta per Ockham l’intentio, per cui il termine universale "uomo" è segno non di una presunta entità universale uomo o umanità, bensì di Socrate, di Platone e dei singoli individui umani. Secondo Brentano, l’intenzionalità è il carattere specifico dei fenomeni psichici in quanto si riferiscono tutti ad un oggetto immanente. Sulle diverse forme di intenzionalità, egli fonda la classificazione dei fenomeni psichici. La rappresentazione, il giudizio e il sentimento – che sono per l’appunto le tre classi fondamentali di tali fenomeni – si distinguono tra loro per la natura dell’atto intenzionale che li costituisce. Nella rappresentazione, l’oggetto è semplicemente presente, nel giudizio viene affermato o negato, nel sentimento viene amato oppure odiato. Tutti questi atti si riferiscono ad un "oggetto immanente" e sono dunque intenzionali. Ma la loro intenzionalità – ossia il loro riferimento all’oggetto – è diverso per ciascuno di essi. L’oggetto dell’atto intenzionale è immanente in quanto cade nell’ambito dell’atto stesso, cioè nell’ambito della stessa esperienza psichica. In un primo tempo (nella Psicologia dal punto di vista empirico), Brentano ritenne dunque che l’oggetto dell’intenzionalità potesse essere indifferentemente reale o irreale: a questa fase del suo pensiero si riallacciano Husserl e Meinong. In seguito su questo punto il suo parere mutò. Nella Classificazione dei fenomeni psichici (1911), Brentano afferma che l’oggetto dell’intenzionalità è sempre un oggetto reale e che il riferimento ad un oggetto irreale è sempre un riferimento indiretto, ossia fatto per il tramite di un soggetto che affermi o neghi l’oggetto stesso. Il riferimento all’oggetto è soltanto la relazione primaria dello spirito, che poi ha nello stesso atto una relazione secondaria con se stesso. Ciò comporta che nell’unica attività psichica vi sia una molteplicità di relazioni ed una molteplicità di oggetti. Per Brentano il compito della filosofia è l'analisi dei fenomeni psichici in quanto modo efficace per mostrare e spiegare la verità e la falsità del conoscere. Tuttavia egli si differenzia in modo decisivo dagli psicologi, in particolare da Wundt e da Fechner, che annettevano una importanza esclusiva allo studio dei fenomeni fisici e dunque fondavano la loro scienza psicologica unicamente sull'osservazione e l'esperimento.
Brentano distingue tra fenomeni psichici e fenomeni fisici ed afferma che oltre ad una psicologia fisiologica, esiste una psicologia descrittiva o "psicognosia", intesa soprattutto come disciplina filosofica. I fenomeni psichici, o atti psichici, si differenziano da quelli fisici per il fatto che sono "intenzionali", cioè diretti ad uno scopo consapevole. Ogni atto volto a rappresentare, a giudicare, esprimente attrazione o repulsione emotiva, è caratterizzato dal fatto che nello stesso mentale del soggetto è presente l'oggetto, ricordato od intuito. Questa autonomia della sfera psichica da quella fisica, che non dovrebbe tuttavia portare ad una netta separazione, ebbe sicuramente una profonda influenza su Sigmund Freud, che seguì le lezioni di Brentano. Contrariamente a quanto potrebbe apparire da questa rivendicazione di autonomia degli elementi psichici e mentali, Brentano non fu un idealista, ma fu anzi fortemente critico nei confronti delle posizioni speculative dell'idealismo tedesco.
Iniziò la sua attività filosofica muovendo dalle posizioni di Trendelenburg, e quindi da un rinnovato interesse per la filosofia di Aristotele, e su questa base si orientò per un lavoro di rifondazione della filosofia come scienza rigorosa, fondata sull'analisi dell'esperienza e sullo studio del linguaggio con il quale la descriviamo. Brentano è in questo senso ed a buon diritto da considerarsi come un precursore della fenomenologia di Husserl e della psicoanalisi di Freud.

 

BRANI ANTOLOGICI

Sull’accusa di psicologismo

In questa lettura Brentano afferma di non proporre teorie psicologistiche e respinge le accuse che a questo proposito gli vengono rivolte. Egli conclude ricordando che però la conoscenza è un giudizio e che come tale essa appartiene inevitabilmente al campo psichico.

 

La mia teoria della conoscenza è stata accusata di psicologismo, una parola venuta in uso recentemente, a udir la quale qualche pio filosofo, come qualche cattolico ortodosso al nome "modernismo", si fa il segno della croce, come se questo nome contenesse Satana in persona. Per discolparmi di una cosí grave accusa, devo domandare che cosa poi s’intende propriamente con questo, perché a ogni momento si ha sempre pronto quel nome, a mo’ di spauracchio, anche dove si tratta di cose assai diverse. Quando per avere una spiegazione pregai personalmente Husserl e alcuni che seguono fedelmente le sue vedute, mi si disse che con ciò s’intende una teoria la quale combatte la validità universale della conoscenza, una teoria secondo la quale altri esseri, che non siano uomini, possono avere conoscenze che sono addirittura opposte alle nostre. Intesa in questo senso, non solo non sono psicologista, ma sempre ho rigettato e combattuto, nella maniera piú decisa, un tale assurdo soggettivismo. Però sento rispondere che tuttavia sono psicologista e abolisco l’unità della verità per tutti, poiché questa consiste soltanto in quanto al vero giudizio corrisponde qualcosa fuori dello spirito, qualcosa che è una e la stessa per tutti coloro che giudicano. Ma nei giudizi negativi e in quelli che indicano qualcosa come possibile, impossibile, passata o futura, questa qual cosa non può essere un reale, e con ciò, non ammettendo io come qualcosa che sia insieme a reali anche certi non reali, come non essere, possibilità, impossibilità, esser passato, esser nel futuro e simili, abolirei qui secondo loro l’unità della verità per tutti. Rispondo che se anche da quella negazione seguisse l’abolizione della validità universale della conoscenza, tuttavia non va bene di screditarmi come psicologista, giacché io stesso non traggo queste conseguenze. Si potrebbe forse dire soltanto che io pongo proposizioni che, nelle loro conseguenze, devono condurre allo psicologismo. Ma neanche questo è giusto, infatti anche senza premettere tali non reali, perché non dovrebbe essere evidente che due giudizi, dei quali uno afferma in un certo modo ciò che l’altro nega nello stesso modo, non possono essere giusti, tanto se vengono dati da due diverse persone, quanto se li dà una stessa persona? Perché nessuno dirà, spero, che se anche esiste quel non reale, la percezione di questo e il suo confronto col nostro giudizio precedono per farci riconoscere, nell’armonia dell’una con l’altra, e nella loro disarmonia, la verità o falsità dei nostri giudizi. Sono sempre invece percezioni di reali, immediatamente evidenti, e negazioni di composizioni, in cui esse sono entrate nelle nostre rappresentazioni, che ci offrono l’ultimo sostegno nella critica dei propri e degli altrui pensieri. Tanto, in breve, per difendermi da false e odiose dicerie, le quali non credo che possano provenire dalla bocca di antichi discepoli. Ma, se cosí fosse, devono apparire come un segno di estrema debolezza di memoria. Però vi è anche una terza ipotesi. Si conosce ciò che avviene, e che, negli uomini, inavvertitamente, i concetti si spostano, e che essi stessi poi, in seguito alle equivocazioni che ne sono scaturite, non sanno bene che cosa dicono. Cosí qualcuno, che sarà cascato in tale debolezza umana, mi chiama psicologista. E infatti non solo il soggettivista, ma anche colui che crede che la psicologia ha da dire qualcosa nella teoria della conoscenza e nella logica viene confuso nel psicologismo. Ma per quanto io condanni il soggettivismo, tanto poco mi lascio deviare da ciò alla sconoscenza di quella verità, secondo me cosí decisamente stabilita, che mi sembrerebbe paradossale, anzi assurdo, se qualcuno negasse che la conoscenza è un giudizio, o negasse che il giudizio appartiene al campo psichico. E si può dire perciò che se anche altri esseri fuori di noi partecipano alla conoscenza, essi dovranno partecipare a quella che cade anche nel campo dei fenomeni psichici umani, e soltanto qui sono accessibili direttamente all’indagine nostra. [F. Brentano, La classificazione delle attività psichiche]

 

Sulle attività psichiche

Per Brentano le principali attività psichiche sono riconducibili a tre tipi: la rappresentazione, il giudizio e la relazione affettiva.

Per dir subito la nostra opinione, siamo anche d’avviso che, rispetto alla diversa maniera del loro riferirsi all’oggetto immanente, devono distinguersi tre classi principali di attività psichiche. Ma queste tre specie non sono le stesse di quelle che ordinariamente si pongono e, in mancanza di espressioni piú precise, chiamiamo la prima "rappresentazione", la seconda "giudizio" e la terza "relazione effettiva", "interesse" o "amore". Nessuna di queste denominazioni è di tal sorta che non possa venire malintesa, anzi ciascuna di esse è frequentemente adoperata in un senso piú stretto. Ma la nostra lingua non ci offre migliori espressioni che corrispondano meglio a quei concetti. E sebbene sia malagevole adoperare espressioni che hanno un significato impreciso, come termini per una classificazione cosí importante, e ancor piú di adoperarli forse in un senso insolitamente piú generale, tuttavia, nel nostro caso, mi sembra meglio questo che introdurre delle denominazioni del tutto nuove e sconosciute. Ci siamo già spiegati anche prima su ciò che chiamiamo rappresentazione. Noi parliamo di un rappresentarci quando ci appare qualcosa. Se vediamo qualche cosa ci rappresentiamo un colore, se udiamo qualche cosa ci rappresentiamo un suono, se fantastichiamo intorno a qualche cosa ci rappresentiamo un fantasma. Per mezzo della generalità con cui adoperiamo la parola, potremmo dire impossibile che l’attività psichica si riferisca in qualche modo a qualche cosa che non sia rappresentata. Se ascolto e comprendo un nome mi rappresento ciò che esso significa, e, in generale, è questo lo scopo dei nomi, richiamare rappresentazioni.

Per giudizio intendiamo, in conformità col comune uso filosofico, un accettare (come vero) e respingere (come falso). Ma abbiamo già veduto che un tale accettare e rifiutare avviene anche lí dove molti non adoperano l’espressione giudizio, come per esempio nella percezione di atti psichici e nel ricordo. E naturalmente noi non esiteremo a subordinare anche questi casi alla classe del giudizio. Per la terza classe principale, i di cui fenomeni chiamiamo relazioni affettive, fenomeni di interesse, o fenomeni di amore, manca maggiormente una espressione propria, precisa. Questa classe deve secondo noi, comprendere tutti i fenomeni psichici che non sono contenuti nelle due prime classi. Ma per emozione si comprendono comunemente solo affetti che si associano a una notevole eccitazione fisica. Ognuno indicherà come emozione dell’animo l’ira, la paura, il forte desiderio, ma, nella generalità di cui adoperiamo la parola, essa invece deve essere anche deve essere anche applicata a ogni decisione e a ogni intenzione. [F. Brentano, La classificazione delle attività psichiche]


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