BRUNO BAUER


A cura di Alessandro Sangalli




LA QUESTIONE EBRAICA E LA SOCIETA' DI MASSA



In La questione ebraica e La capacità degli ebrei e dei cristiani di oggigiorno di ottenere la libertà, due testi scritti a cavallo tra il 1842 e il 1843, Bauer si dedica alla critica della coscienza religiosa e del riformismo politico. La principale conseguenza della pubblicazione di questi scritti fu che l’autore entrò in aperto contrasto con gli altri critici della sinistra hegeliana, per aver attaccato uno dei punti cardine di questo movimento. La questione era se uno Stato dichiaratamente cristiano come la Prussia potesse abolire le restrizioni riguardo la partecipazione degli ebrei alla istituzioni civili. Mentre i liberali e i repubblicani invocavano l’emancipazione, i politici conservatori difendevano l’esclusività della confessione religiosa statale.

Nei suoi interventi, Bauer attaccò la palese difesa dei propri privilegi portata avanti dallo Stato prussiano, sostenendo che esso stava usando la religione per mascherare altri interessi, in particolare l’intenzione di mantenere con gli ebrei le relazioni di subordinazione già esistenti. Tuttavia, il nostro criticò anche gli ebrei e i loro sostenitori poiché, a suo avviso, reclamavano la libertà sulla base di un’identità particolare: la libertà sociale e politica richiede, infatti, la rinuncia ad ogni particolaristico vincolo col passato e con la tradizione. Si tratta dunque di emancipare non l’ebreo in quanto ebreo, ma l’ebreo in quanto uomo: il che rimanda alla più generale emancipazione dell’uomo in quanto tale. Come condizione necessaria per l’equità giuridica, gli ebrei, e i cristiani, devono rinunciare alla loro obbedienza religiosa. Il cristianesimo, secondo Bauer, ha comunque fatto sfoggio di una coscienza storica di grado più elevato, dal momento che, nell’incarnazione di Cristo, ha superato l’assoluta trascendenza della divinità.

Queste tesi furono rifiutate da Marx (che costruì la propria Questione ebraica in opposizione a Bauer) e da tutti i principali esponenti del movimento della sinistra hegeliana: ciononostante, Bauer rimase convinto dell’orientamento progressista delle sue posizioni.

Nei suoi studi sulla Rivoluzione Francese e sulle influenze di questa sulla Germania, Bauer traccia l’emergere della società di massa, fondata sul conformismo e su un particolarismo incipiente. La dissoluzione del sistema feudale seguita alla Rivoluzione aveva prodotto una società puramente atomistica, caratterizzata dall’affermazione del diritto di proprietà privata. Fu proprio l’attaccamento all’interesse economico individuale a rendere impossibile un’opposizione comune ai privilegi e all’ordine esistente ed a causare il definitivo fallimento della rivoluzione che lo aveva generato. Il giacobinismo, che il nostro in più occasioni sostiene, si era schierato contro questa tendenza individualistica, ma non era riuscito a superarla: e ora eccola minacciare anche il movimento repubblicano del Vormärz. La società di massa, infatti, dà vita ad una stagnante inerzia politica, ecosistema ideale per il mantenimento dello status quo: il liberalismo, pur senza rendersene conto, non fa altro che catalizzare il processo di sviluppo di questa società. Bauer critica il costituzionalismo liberale, considerandolo una sorta di regime feudale: anche nella sua forma più avanzata, sostenuta da Hegel, questo si configura come la semplice giustapposizione di due principi di sovranità diametralmente opposti, uno popolare e uno monarchico, i quali determinano una tensione che il costituzionalismo stesso di dimostra incapace di risolvere. Nei lavori di Bauer di questa prima fase rivive il classico tema repubblicano del contrasto tra commercio e virtù, sebbene in una forma nuova, coerente con le dottrine hegeliane.

Tra il ’42 e il ’43, Bauer si dimostrò convinto dell’imminente trionfo delle istituzioni e dei principi repubblicani, e nei suoi discorsi politici del ’48 difese la sovranità popolare e sostenne il diritto alla rivoluzione, pretendendo che la nuova costituzione fosse promulgata come un atto del volere rivoluzionario, e non come una paternalistica concessione del re.

 

 




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