IL CAMMINO VERSO L'UMANITA'

Prof. MASSIMILIANO BADIALI

 

Il plusvalore nella società
Come nasce l’esigenza di uguaglianza
L’esigenza di uguaglianza nell’Epistula 47 ad Lucilium
Cenni storici fra 700 e 800: la Rivoluzione Francese
Marx: la filosofia del materialismo storico
La letteratura sociale
Il Naturalismo e Zola
Il Verismo e Verga
Maxwell e il campo magnetico
La Comune di Parigi
La nascita del Socialismo in Italia
La lotta sociale nell’iconografia : Pellizza da Volpedo
La rivoluzione russa

L’idea dell’uguaglianza sociale è un problema che ha animato nella storia umana soltanto gli uomini illuminati e ricchi di umanità. Nella storia umana a partire dalla nascita delle società civilizzate, si è determinata una netta separazioni di classi sociali, cioè una gerarchia fra ricchi e poveri, fra nobili e schiavi, fra cittadini e non. Anche nella civilissima e avanzatissima Atene erano cittadini solo gli Ateniesi, e seppur democratica nell’interno, la politica della città era quella di tirannia verso le proprie colonie e i non-ateniesi detti barbari. In Egitto la società era strettamente piramidale con a capo il dio faraone, e alla base gli schiavi la cui vita non contava affatto.

Anche nel periodo dell’Impero Romano, la grandezza di Roma si basava sul lavoro degli schiavi, che erano abitanti delle colonie o bottini di guerra. L’idea di uguaglianza inizia a penetrare nella società con la nascita del Cristianesimo: Seneca infatti è contemporaneo a S. Paolo, e affronta la critica del malcostume etico e sociale della società romana, dal punto di vista pagano. Seneca era uno stoico, animato da una profonda umanità. Questo è testimoniato dall’ampia produzione letteraria, che affronta i problemi dell’animo umano: come vivere felicemente (De vita beata), tranquillamente (De tranquillitate animi), e come essere clementi (De clementia). Nell’Epistola XLVII ad Lucilium Seneca si propone di trattare gli schiavi con umanità: in questo brano traluce una profonda pietà e disdegno verso i padroni che riducono gli schiavi ad automa. Seneca, pur non arrivando a proporre l’abolizione della schiavitù, invita i padroni a fondare il loro rapporto con gli schiavi sull’amore e non sul timore. In brevis, Seneca ammonisce i padroni:

Vive cum servo clementer, comiter quoque, et in sermonem illum admitte, et in consilium et in convictum.(Par. 13)

Seneca sprona il padrone a quello che si risolve nell’insegnamento cristiano : "Non fare agli altri quello che non vorresti che fosse fatto a te".

Haec tamen praecepti mei summa est : sic cum inferiore vivas, quemadmodum tecum superiorem velis vivere.

Fino alla Rivoluzione Francese del 1789, eccetto parzialmente l’Inghilterra, che aveva un sistema già costituzionale, l’intera popolazione povera mondiale soggiaceva agli ordini del padrone, del ricco o del nobile. La rivoluzione francese ha rappresentato nella storia dell'umanità un evento centrale, uno spartiacque tra due società: la società feudale e la società moderna. La rivoluzione francese nella realtà non è stata una "rivoluzione borghese" nel senso che usualmente si intende dare a questa espressione, perché essa non ha condotto alla sostituzione dell'aristocrazia con la borghesia commerciale e industriale in quanto classe sociale dominante tout court. La borghesia tradizionale ha goduto dei vantaggi derivanti dalla distruzione della società feudale, operata dalla classe sociale dominante, che inizialmente aveva le forme della aristocrazia burocratica di Stato e che poi ha acquisito le forme di un nuovo tipo di borghesia - appunto la borghesia di Stato -, ma in nessun momento è stata il motore dei processi rivoluzionari che hanno condotto al superamento della vecchia società e mai, neppure in questa fase, la borghesia commerciale e industriale è diventata la classe sociale dominante. L'unica vera nuova classe sociale dominante nata dalla rivoluzione francese è stata la borghesia di Stato e, già a partire dalla rivoluzione, la lotta di classe tra questa nuova classe sociale dominante e le classi sociali subalterne è scoppiata violentissima. Fu la fine dell'Ancien Régime.

Si può dire, per certi versi, che a scatenare la rivoluzione francese, più che la fame e le guerre, sia stato il tentativo di un re - Luigi XVI - e del suo governo di risollevare la situazione economica e sociale del Paese, in modo tale di salvare la classe sociale dominante, cioè l'aristocrazia burocratica di Stato, che ruotava intorno ad essi, da una sicura ed inevitabile rovina a danno della aristocrazia tradizionale e a tutto vantaggio di quelle soggettività sociali, come la borghesia commerciale ed industriale, che, uniche, avrebbero potuto adempiere ad un simile compito. Questo atteggiamento di assolutismo intransigente contrastava con la diffusione delle idee illuministe che parlavano di filantropia ed uguaglianza, e trovò la sua massima espressione il 14/7/1789 con la presa della Bastiglia.

Ma dopo una prima fase popolare che culmina col periodo del Terrore, la borghesia dal 1794 riprende le redini del potere. Lo sviluppo della borghesia commerciale ed industriale in Francia alla fine del '700, non è stata la causa, ma la conseguenza di una rivoluzione, che ha visto la graduale trasformazione della aristocrazia di Stato in un altro tipo di classe sociale dominante, molto più potente ed assolutista, la borghesia di Stato, che non tollerava la concorrenza di altre classi sociali privilegiate strutturate gerarchicamente al proprio interno: di qui la lotta alla aristocrazia tradizionale e la tendenza a favorire classi sociali, come la borghesia commerciale ed industriale, che raramente hanno la tendenza a darsi una struttura rigidamente gerarchica e burocratica al proprio interno. La centralizzazione dello Stato, iniziata in Francia con la rivoluzione e generalizzata da Napoleone in tutta Europa, è il frutto della nascita di una nuova classe sociale dominante: la borghesia di Stato. La borghesia commerciale ed industriale ne ha tratto vantaggio nel senso che la caduta dell'aristocrazia tradizionale le ha lasciato più spazio per le proprie attività, ma, se lo ricordino bene gli storici, non è stata lei a scatenare la rivoluzione francese né a condurla e a trarne i maggiori benefici. Nel Congresso di Vienna del 1814-1815, secondo il principio di legittimità si riaffermò il totale Assolutismo, restituendo a tutti i sovrani i territori che avevano prima dell’Impero di Napoleone. Si tornò all’Ancien Régime, togliendo ogni diritto al popolo, e credendo di poter spazzar via soffocandolo il trittico rivoluzionario (liberté, fraternité, égalité).

In reazione a questo contesto di estrema repressione politica e ideologica, si pone il pensiero di Karl Marx. Partendo dalla filosofia di Hegel, Marx la rovescia, dicendo che essa è pura ideologia. Marx sferra contro Hegel due accuse principali: quella di subordinare la società civile allo Stato, e quella di invertire il soggetto e il predicato (cioè i soggetti umani diventano predicati dalla "mistica sostanza" universale). Per Marx la dialettica hegeliana è mistificazione, perché in essa l’oggetto in cui l’uomo si aliena viene superato solo nel senso di essere riconosciuto come un suo prodotto necessario, ma non viene realmente soppresso. Secondo Marx non è la coscienza che spiega l’essere sociale, ma l’essere sociale a determinare la coscienza. Non è la religione che crea l’uomo, ma l’uomo che crea la religione (che è oppio dei popoli), così non la costituzione crea il popolo, ma il popolo la costituzione. Marx è critico verso gli economisti classici (Smith e Ricardo), secondo cui il valore deriva dal lavoro. Secondo Marx il valore di ogni merce è determinato dalla quantità di lavoro necessario: alla massima produzione di ricchezza corrisponde l’impoverimento massimo dell’operaio. Il capitale è "la proprietà dei prodotti del lavoro altrui", è il lavoro espropriato. Contro il socialismo utopistico (Proudhon, Babeuf), che sogna una società borghese senza sfruttamento, Marx oppone la lotta di classe. Solo tramite l’abolizione della società capitalista sarà possibile porre fine all’alienazione.

Nella società presente il lavoro, l'attività pratica dell'uomo, è attività estraniata, alienata.

Tale alienazione è, in primo luogo, considerata nel rapporto del lavoratore col prodotto del suo lavoro. Il lavoratore, il proletario (cioè colui che, mancando della proprietà dei mezzi di produzione, è costretto a vendere il proprio lavoro come una merce) produce con la sua attività degli oggetti che non gli appartengono; non solo, ma che gli si contrappongono come una potenza ostile, cui è asservito.

In secondo luogo, l'alienazione viene considerata nel rapporto dei lavoratore con la sua stessa attività produttiva.

L'alienazione, infine, si verifica nel rapporto dell'uomo con l'altro uomo, poiché il prodotto del lavoro e la stessa attività produttiva appartengono, non ad una entità misteriosa, ma ad un altro uomo, che si serve del lavoro altrui.

La concezione del materialismo storico, fulcro ideologico del pensiero di Marx, compare esplicitamente ne "L'ideologia tedesca", in polemica con i rappresentanti della Sinistra hegeliana, rimasti nell'ambito dell'idealismo. Questi concepivano le relazioni tra gli uomini come un prodotto della loro coscienza e presumevano che, modificando le idee della coscienza, si sarebbe modificata anche la vita reale degli uomini nella società.

Per Marx si tratta non di scendere dal cielo alla terra, ma di salire dalla terra al cielo. Si tratta, cioè, di partire dalla vita reale degli uomini, che si esprime in primo luogo nell’attività con cui essi producono la loro vita materiale, per spiegare le forme della loro coscienza.

La prima condizione di ogni esistenza, e quindi di ogni storia umana, è che gli uomini soddisfino anzitutto i bisogni elementari del cibo, dell'abitazione, del vestire, ecc. Per soddisfare questi bisogni, poiché la natura non offre gratuitamente i beni necessari, occorre mettere in opera delle "Forze di produzione". Queste, che si evolvono continuamente, vanno dal rozzo utensile dell’età primitiva, al telaio a mano, alla macchina industriale dei tempi moderni, insieme alle tecniche ed abilità umane secondo cui tali strumenti si adoperano. Le forze di produzione sono solo un aspetto del "mondo di produzione", che è proprio di una certa fase del divenire storico. L'altro aspetto è rappresentato dai "rapporti di produzione", cioè da quei determinati rapporti in cui gli uomini entrano reciprocamente nel corso dell'attività produttiva, che è sempre attività sociale. Anche essi sono soggetti da modificarsi ed evolversi in relazione all'evolversi delle forze di produzione. Ad un determinato stadio di sviluppo delle forze di produzione corrispondono determinati rapporti di produzione.

L'insieme delle forze di produzione e dei rapporti di produzione corrispondenti costituisce la struttura della società, cioè la base reale su cui si elevano, e da cui sono condizionate, tutte le altre forme della vita sociale (cosi il regime politico come il diritto, come le forme ideologiche quali le opinioni morali, le credenze religiose, le idee filosofiche, ecc.), le quali sono dette, perciò, sovrastrutture.

Il fattore economico non è l'unico determinante, perché anche le sovrastrutture, in un complesso gioco di azione e reazione, esercitano la loro influenza sul corso storico. Solo che, nell'intreccio di tutti i fattori possibili, il movimento economico è quello che, in ultima istanza, appare come l'elemento necessario, che può essere fatto oggetto di scienza, in mezzo a tante cose accidentali.

In brevis, secondo Marx, "la storia di ogni società esistita finora, é storia di lotte di classe".

In pratica la ricchezza del borghese si basa sul lavoro del proletario. Più precisamente, ciò che il lavoratore vende é la sua forza-lavoro o capacità lavorativa, che egli mette a disposizione del capitalista per un certo tempo.

Ora, come per ogni altra merce, il valore della forza-lavoro è determinato dalla quantità di lavoro occorrente per la sua produzione. Per mantenersi in vita e recuperare le energie consumate, nonché per soddisfare i bisogni della sua famiglia, il lavoratore ha bisogno di un certo numero di oggetti. In questi è incorporata una certa quantità di lavoro, che ne determina il valore. A questo valore corrisponde il salario, che è il prezzo della forza-lavoro, ovvero il valore di essa espresso in denaro.

Un conto é il valore della forza-lavoro e un conto è l'uso che di questa forza-lavoro viene fatto dal capitalista. Se la giornata lavorativa durasse per il tempo necessario a produrre il valore per il quale è stata acquistata la forza-lavoro e non più, il lavoratore sarebbe interamente remunerato dal salario, ma il capitalista non trarrebbe alcun profitto.

In realtà, il capitalista usa della forza-lavoro al di là di quel limite, per un certo altro tempo, durante il quale il lavoratore avrà prodotto altro valore, per il quale però non viene remunerato. Questo valore prodotto in più si chiama plusvalore (o salario non pagato).

Per la legge della dialettica, per Marx, come la borghesia è la contraddizione interna del feudalesimo, così il proletariato è la contraddizione interna della borghesia. Il feudalesimo ha prodotto la borghesia, la borghesia per esistere e svilupparsi deve produrre nel suo seno chi la porterà alla morte cioè il proletariato, che è la sua antitesi. Lungo la via crucis della dialettica, il proletariato porta sulle sue spalle la croce dell’umanità intera. L’alba della rivoluzione è un giorno inevitabile, in cui trionferà il proletariato. La rivoluzione sarà il mezzo e il passaggio ad un società privata senza classi, senza divisione del lavoro, e senza stato.

La naissance de la pensée marxiste répond aux exigences qui sont nées dans la société et au nouveau interêt pour les humbles. En France, les romans de George Sand témoignent une nouvelle ferveur pour la cause du peuple. A travers elle, il naît un nouveau type de roman : le rustique, qui est encore trop philanthropique.

Emile Zola, en ayant connu les Goncourt et en étant séduit par les idées de Taine, selon lequel la société doit être étudiée à travers l’analyse de race, de milieu, et de moment, il évolue vers le réalisme et même vers le naturalisme, qui se manifeste dejà en Thérèse Raquin (1867). Ce qui intéresse Zola c’est la réalité sociale elle-même : ses romans semblent être un enquête sociologique. Il croit à la subordination de la phychologie à la physiologie. Les personnages de ses romans sont des êtres composés d’organes et qui habitent dans un milieu qui les conditionne. Zola souligne l’importance des milieux et des circumstances, qui, selon lui, détermine la personne humaine. Les idées du naturalisme s’unissent aux doctrines socialistes, auxquels Zola consacre ses oeuves de propagande sociale et humanitaire. En 1868, Zola a l’idée de réunir tous ses roman par la réapparition des personnages : l’ensemble de son oeuvre sera intitulé Les Rougon-Macquart, histoire naturelle et sociale d’une famille sous le Second Empire.

Comme écrivain, je ne fréquente que Flaubert, Goncourt et Alphonse Daudet. Je me suis éloigné de tout, exprès, pour travailler le plus tranquillement possible. Je travaille de la manière la plus bourgeoise. Mes heures sont fixées : le matin, je m'assieds à ma table, comme un marchand à son comptoir, j'écris tout doucement, en moyenne trois pages par jour, sans recopier : imaginez-vous une femme qui brode de la laine point par point ; naturellement je fais des fautes, quelques fois je rature, mais, je ne mets ma phrase sur le papier que lorsqu'elle est parfaitement disposée dans ma tête. Que vous dire encore ? Mes Rougon-Macquart auront vingt tomes et actuellement je travaille sur le septième, un roman qui embrassera le monde des ouvriers parisiens. J'ai déjà beaucoup travaillé et j'ai encore devant moi beaucoup de travail. Pour moi, la vie toute entière se résume dans le travail. Je ne compte pas, même dans dix ou quinze ans, être compris et reconnu en France. On répand sur mon compte des absurdités de toute sorte. De plus, la haine des écoles littéraires est trop forte pour qu'on me rende justice et la politique fait maintenant chez nous tellement de bruit que les livres passent tout à fait inaperçus. Ca ne fait rien ! Il faut seulement produire. Quand je suis content de ma journée, le soir, je joue aux dominos avec ma femme et ma mère. J'attends ainsi plus facilement le succès. (Lettre à Daudet).

Dans Les Rougon-Macquart on peut bien noter que les êtres sont prédestinés par des lois, puisqu’ils ont des tares héréditaires qui se répercutent l’une sur l’autre. Zola donne la préminence aux instincts, à la bête humaine : c’est-à-dire l’étude de la prostitution et de l’alcoolisme. En 1877, L’assommoir, un roman qui se déroule dans le monde ouvrier et qui peint avec un relief cruel la déchéance de l’homme par l’alcool, est accueilli avec enthousiasme.

Dans la Préface a L’assommoir, Zola explique ses intentions : "j’ai voulu peindre la déchéance fatale d’une famille ouvrière, dans le milieu empesté de nos faubourgs. Au bout de l’ivrognerie et de la fainéantise, il y a le relâchement des liens de la famille, les ordures de la promiscuité, l’oubli progressif des sentiments honnêtes, puis comme dénoûment la honte et la mort. C’est de la morale en action, simplement"(Préface L’assommoir). In brevis, la Préface nous montre les deux buts de Zola : décrire la réalité de la société, et expérimenter les lois sociales a travers l’observation des phénomènes.

"Je n'ai qu'une passion, celle de la lumière, au nom de l'humanité qui a tant souffert et qui a droit au bonheur."(Lettre à Cézanne).

Con il Naturalismo abbiamo una legittimazione artistica del brutto e del patologico. Questa scelta sociale di indagare i processi di devianza umana è una via significativa che contrasta con l’ideologia della borghesia. Alla base del nuovo romanzo ed ai suoi risvolti, sta la nascita del Positivismo, con la fiducia nelle scienze, nel progresso e nel determinismo. Così di qui deriva l'idea, che il metodo scientifico sperimentale possa essere applicato alla letteratura, in modo che essa divenga una scienza capace di possedere il meccanismo dei fenomeni umani. Flaubert, come dice in Madame Bovary, deve, come Dio nel mondo, tessere le fila di tutti gli eventi narrativi, senza mai manifestarsi apertamente. Dal momento che il narratore diviene un Dio nascosto nella diegesi, scompaiono i suoi interventi, e scompare anche il suo punto di vista, in direzione dell’oggettività ed impersonalità narrativa fondata sul narratore esterno onnisciente, che racconta una storia in cui non è coinvolto e segue le vicende dei svariati personaggi, adottandone liberamente il punto di vista. Se in Francia il Naturalismo si sviluppa intorno alla realtà cittadina, in Italia il Verismo nasce con un’impronta strettamente regionalista e paesana. Il Verismo è il movimento letterario manifestatosi in Italia nell'ultimo trentennio del XIX secolo. Il termine viene impiegato specificamente per indicare la nuova narrativa orientata verso il modello del naturalismo francese, anche se si fa riferimento, come affermava Luigi Capuana, più al metodo e ai principi del narrare che non alla materia trattata. Il termine aveva avuto corso in Italia, a partire dagli anni Sessanta, per indicare le esperienze

narrative degli anni Cinquanta, posteriori ad Alessandro Manzoni, che si collocavano nella prospettiva del realismo, e accentuare l'intenzione degli scrittori di accostarsi al "vero" cogliendolo nelle forme più evidenti e dirette. Fu il caso della letteratura "campagnola", di cui il maggiore rappresentante fu Ippolito Nievo (si pensi alla Georges Sand in Francia), e fu il caso, ricco di ragioni polemiche e non senza qualche tentativo sperimentale, della scapigliatura. Un salto di qualità, nel progetto di offrire una rappresentazione non convenzionale del "vero", si verificò a partire dagli anni Settanta, con la ripresa del modello narrativo francese e con la poetica del naturalismo nutrita dei principi del sociologismo estetico. A questa ripresa si aggiunse una nuova attenzione (dopo la proclamazione dello Stato unitario) per la realtà regionale, soprattutto meridionale, i cui caratteri culturali si erano imposti come estranei e stranianti. Proprio dalla combinazione di questi due interessi (naturalismo e realtà regionale) derivarono i risultati maggiori del verismo italiano, che raggiunse il suo momento più alto negli anni Ottanta con l'opera di Giovanni Verga e di Luigi Capuana. Questi autori rappresentano un mondo immobile, fuori dalla storia, in cui i personaggi vivono sentimenti elementari e radicali, con pervicacia autodistruttiva entro un contesto di ingiustizie e sofferenze collettive, senza speranza di riscatto e senza capacità di elaborare un progetto di redenzione. Sono scrittori (soprattutto Verga) che raccontano in modo distaccato, senza attivare processi di identificazione tra il lettore e la materia narrata, e quindi senza giocare sul transfert narrativo. È questo uno dei modi di applicare il principio dell'impersonalità. Un altro modo di garantire il distacco da parte dall'autore (ma, in prospettiva, anche del lettore) è quello di non proporre il mondo narrato come un modello o come carico di valori, bensì di presentarlo come se si trattasse di un reperto scientifico. L'applicazione del canone dell'impersonalità favorì l'elaborazione di alcune tecniche espressive come il dialogo o il discorso indiretto libero (Verga) e l'impiego di registri espressivi più bassi fino, in qualche caso (ma certamente non in Verga), al ricorso al dialetto. Una delle ambizioni di questi narratori era quella di elaborare una lingua adatta a tutta l'Italia borghese. Tuttavia esiste un grande scarto tra i registri linguistici, oltre che tra le tematiche, utilizzati dai vari autori: si va dalla ripresa del modello verghiano nel genovese Remigio Zena (1850-1917), ai toni forti e drammatici del toscano Mario Pratesi (1842-1921), dal recupero della dimensione psicologica pur entro un attento quadro storico da parte di Federico De Roberto al documentarismo di Matilde Serao, dal curioso bozzettismo di Renato Fucini (1843-1921) all'opera di Gaetano Carlo Chelli (1847-1904), che offre uno spaccato della trasformazione della Roma divenuta nuova capitale attraverso la saga di una famiglia di bottegai. Teorico del verismo è considerato Luigi Capuana, che è anche uno scrittore interessante: nell'insieme, la sua opera è un vasto interrogativo sul ruolo determinante giocato dai luoghi, dall'epoca e dalle condizioni sociali e professionali sul carattere dell'individuo, secondo il procedimento del romanzo sperimentale francese.

Per comprendere l'innovazione sul piano formale del Verismo, ci riferiremo ai Malavoglia di Verga. Qui, alla voce del narratore onnisciente, si sostituisce un anonimo autore popolare, che offre un repertorio di situazioni e fatti in cui l'autore non entra mai in scena. I Malavoglia, come dice Russo, è un romanzo polifonico dove ogni personaggio è oggetto della parola del narratore e soggetto della propria parola. Si parla, infatti, di una voce camaleontica. Verga utilizza svariate tecniche innovative: lo straniamento, ad esempio, consiste nella differenza tra il punto di vista del personaggio e quello della voce narrante (nel secondo capitolo il disastro della Provvidenza, non è visto con l'ottica dei Malavoglia, ma con l'ottica degli abitanti del villaggio); oppure consiste nella rappresentazione di ciò che è normale come strano (nel quarto capitolo i Malavoglia chiedono a Don Silvestro come pagargli il debito: egli convince Maruzza a rinunciare all'ipoteca sulla casa); oppure consiste nella rappresentazione di ciò che è strano come normale (nel quindicesimo capitolo, agli occhi dei paesani la decisione di non mandare il nonno all'ospedale, "normale" per l'affetto diventa strana per chi si pone nell'ottica dell'utile). Verga usa anche concatenazioni cioè ripetizioni di una frase tra una sequenza l'altra, creando effetto di circolarità (alla fine del terzo capitolo. "e la barca era piena più di quaranta onze di lupini; all'inizio del quarto cap.. "il peggio era che lupini li avevano presi a credenza").

In un secolo di profonde innovazioni, anche la letteratura assorbe le influenze del pensiero scientifico.

James Clerk Maxwell, con i suoi studi sui moti molecolari, sullo stato gassoso e sulla funzione di distribuzione rientra tra i grandi dell’800; ma i risultati che ottenne nelle ricerche sull’elettromagnetismo portarono mutamenti così netti nella concezione dell’universo e gettarono basi così ampie per la fisica da poterlo ricordare tra coloro che riuscirono a far luce su nodi eccezionali del pensiero, cioè tra scienziati della statura di Copernico, Galileo, Newton ed Einstein. Eppure la sua fama, anche nel suo paese, la Gran Bretagna, non è mai stata e non è pari alla sua statura di scienziato. La ragione fondamentale di questo fatto è che Clerk Maxwell è un autore difficile, e la sua vita è tutta racchiusa nei perimetri disegnati dai suoi contributi scientifici. L'assenza di una vita a tinte forti, nel caso di Clerk Maxwell, ha come contraltare un'attività scientifica che si muove in settori del sapere fisico e matematico che ancora oggi possono essere facilmente compresi solo da un numero limitato di persone. La vita di Maxwell è la sua produzione scientifica. È qui che i colori "tonali" della sua vita si trasformano in colori decisi, che Maxwell distribuisce con pennellate sicure senza perdere mai di vista l'obiettivo di ricostruire un quadro unitario della conoscenza dei fenomeni naturali.
All'inizio del XIX secolo, l'indagine fisica dei fenomeni termici, ottici, elettrici e magnetici è ancora in una fase embrionale. Quando il secolo si conclude questi settori fenomenologici sono già ampiamente sistematizzati, e i limiti dei grandi quadri interpretativi che li racchiudono sono adombrati da una fenomenologia più ricca, che spinge verso teorizzazioni e ricerche che saranno il preludio dei grandi progressi della fisica del XX secolo. Grazie alla vastità degli interessi scientifici, alla sensibilità per le questioni epistemologiche e alla fiducia nella sostanziale unità del sapere, Maxwell è allo stesso tempo lo scienziato che dà il maggiore contributo alla creazione delle teorie ottocentesche e uno dei primi a intravederne quegli aspetti problematici che porteranno alla fisica del Novecento. Il suo pensiero parte da uno spunto arido "le scienze matematiche sono basate su relazioni tra leggi fisiche e leggi dei numeri" e "lo scopo di una scienza esatta è quello di ridurre i problemi della natura alla determinazione di quantità mediante operazioni con i numeri". Eppure nella sua mente quella riduzione matematizzante poté assumere l’aspetto concettuale di una formulazione complessiva della visione dell’universo. Maxwell trasformò le conoscenze acquisite da Faraday e da altri scienziati in una concezione rivoluzionaria della materia, dimostrando che il pensiero, quando si innalza ai livelli superiori dell’astrazione formale, sa cogliere strutture profonde del reale in forme innovatrici e affascinanti. In altre parole, partendo da dati sperimentali apparentemente non corredati, e da elementi teorici parziali, Maxwell elaborò un’unica teoria astratta che tutti li comprende e li descrive e che nuovi ne include e predice, come espressione variegata di un unico fenomeno fisico. Il suo lavoro nel campo dell’elettromagnetismo si può sintetizzare negli studi sul concetto di campo, nella formulazione delle equazioni fondamentali dell’elettromagnetismo e negli studi sulle onde elettromagnetiche. Introduciamo ora un concetto molto importante in fisica, di portata infinitamente maggiore di quella che può sembrare da queste poche righe: il concetto di campo. A questo scopo prendiamo un grosso
magnete, blocchiamolo su di un tavolo di legno ed allontaniamoci.

La domanda che sorge spontanea è: funziona? Se avviciniamo un pezzo di ferro sentiamo la forza che lo attrae e quindi sappiamo che il magnete funziona, ma se allontaniamo il ferro, il magnete continua a funzionare oppure no? In altre parole: se in tutto l’universo rimanesse solo il sole, continuerebbe ad esistere la forza gravitazionale del sole nell’universo? La risposta più ovvia ed anche più giusta è sì. Ma allora che senso ha parlare di forza magnetica se il magnete non la esercita su nessuno? Molto poca. I fisici hanno introdotto, anche per superare questo apparente paradosso, il concetto di campo: il magnete produce intorno a sé un campo (detto campo magnetico) anche se da solo.
Un qualsiasi oggetto inserito in questo campo sente una forza, dove g è una costante, m1 ed m2 sono le "masse magnetiche dei poli", r è la distanza tra i poli ed è la direzione della forza. Allo stesso modo introduciamo il concetto di campo elettrico e di campo gravitazionale. Per la proprietà di essere indipendenti dall’oggetto di prova (il pezzo di ferro per il magnete, i pianeti per il sole e così via) in fisica si usa parlare di campi elettrici magnetici o gravitazionali piuttosto che delle rispettive forze.

Anche sul piano sociale, le ideologie di Marx ed Engels penetrano nella società, già con la Prima Internazionale del 1864, che prepara la Comune di Parigi del 1871, che fu una rivoluzione nata dagli strati popolari e operai della capitale francese contro il governo di Thiers, che dopo la resa alla Germania, per la sconfitta di Napoleone III, aveva tentato di disarmare la Guardia Nazionale. Essa portò a miglioramenti per il proletariato, tramite la confisca delle proprietà ecclesiastiche, con la livellazione degli stipendi e l’aumento dei salari degli operai.

Nel frattempo anche in Italia Andrea Costa si fece propugnatore della Costituzione di un Partito Socialista, che nacque a Genova nel 1893. In Italia, anche a livello storico artistico, a Milano nasce il Divisionismo, movimento che inneggia alla scienza e al progresso. Dei suoi rappresentanti, Gaetano Previati e Giovanni Segantini, soprattutto Giuseppe Pellizza da Volpedo, (1868-1907), scelse di caricare l’arte di un forte messaggio politico e sociale. Vivere lontano dalle capitali artistiche europee di fine Ottocento in un isolamento che rispondeva alla sua necessità di poter riflettere e operare in assoluta indipendenza, porta l'artista a nutrirsi di frequenti viaggi e soprattutto di continui scambi con i più importanti centri italiani, ma anche al bisogno di riflettere sulla condizione umana. E di quest’ultima, egli predilesse l’attenzione ai più sfortunati e ai più poveri : i proletari. Fu l’autore di un grande quadro, Il Quarto Stato (1901), che è il primo documento di un fermo impegno dell’arte, nella lotta politica del proletariato. I grandi temi della giustizia sociale, dell'uguaglianza e della libertà che il quadro rappresentava innescarono infatti una serie di polemiche e crearono un certo sconcerto nella società borghese. E’ evidente che Pellizza non intendeva rappresentare esclusivamente una scena, sia pure molto importante, della vita sociale del proprio tempo, vale a dire un momento di sciopero e di protesta : nel quadro, infatti, compaiono delle figure che avanzano verso la piena luce, mentre sullo sfondo campeggia un tramonto: è chiara l'allegoria sociale del popolo che avanza verso un futuro radioso, lasciandosi alle spalle l'età dell'oppressione. La ricerca formale presente nella tela è di altissima qualità: la composizione è perfettamente calibrata e conchiusa e la massa avanzante non è inerte, ma il gestire delle mani, dei piedi e il gioco delle ombre movimentano la sua rappresentazione. Le linee rette ed ondulate si equilibrano suggerendo l'avanzare lento, calmo e pacato ma ineluttabile di una nuova classe, forte della sicurezza che le deriva dalla consapevolezza del proprio ruolo storico.

La tecnica divisionista con cui la tela è condotta ha raggiunto effetti di estrema sapienza, perfettamente rispondente agli scopi del pittore: nei personaggi è presente quella "atmosfericità" o assoluta mancanza di inerzia della materia. Non è un caso, inoltre, che in quest'opera, un affresco di storia contemporanea, si affacci una serie di suggestioni provenienti dalla tradizione pittorica: ad esempio, la figura dell'uomo con il bambino riprende il tema di Tobia e l'angelo della pittura rinascimentale e l'uomo che regge la cesta si ispira alla Stanza di Eliodoro di Raffaello. Anche la forza e l'eloquenza dei gesti degli altri personaggi rimanda direttamente a Raffaello: la gestualità accentuata, soprattutto delle mani, che Pellizza aveva studiato a fondo fin dagli anni giovanili, si ritrova infatti nelle opere di Raffaello che si collocano tra il 1515 e il 1520. La Rivoluzione Russa continua idealmente quella francese, in quanto essa riproduce un’opposizione rivoluzionaria contro un sistema autocratico, come quello zarista. Essa è iniziata nel marzo del 1917 quando la lotta tra la classe operaia e la borghesia di Stato zarista volgeva ormai al termine con la irrimediabile sconfitta di quest’ultima.

Il crollo della borghesia di Stato zarista ha comportato il passaggio in mano agli operai che vi lavoravano di tutte quelle officine che fino a quel momento erano state di sua esclusiva proprietà.

Il passaggio della gestione di queste officine dalla borghesia di Stato alla classe operaia, a dir la verità, è avvenuta in maniera alquanto rapida ed indolore per via della fuga di tutto il personale amministrativo messo dalla borghesia di Stato a capo di queste aziende.

La stessa situazione si è ben presto creata anche in molte industrie private – si pensi alla fabbrica di tessuti di Novgorod i cui padroni, in attesa di tempi "migliori", avevano deciso di sospendere i lavori delle aziende: anche queste imprese sono passate in autogestione.

Contemporaneamente, a livello politico, si è creata la formazione di un doppio potere: da una parte hanno acquisito importanza le "nuove" istituzioni poliarchiche parlamentari e, quindi, la borghesia politica organica, costituita dall’insieme delle burocrazie politiche dei partiti russi, e dall’altra un sistema di Consigli Politici Operai (i soviet) che conteneva al suo interno allo stesso tempo i germi di una nuova forma di democrazia, la democrazia socialista d’autogoverno, e i germi di un nuovo tipo di regime poliarchico, la poliarchia "consiliare" (Soviet = Consiglio), dovuti questi ultimi alla forte influenza che le burocrazie politiche dei partiti "operai" avevano sui membri di tali consigli.

Nel luglio del 1917, la burocrazia politica bolscevica, approfittando del malcontento crescente tra gli operai ed i soldati, ha organizzato una dimostrazione armata a Pietroburgo che è stata immediatamente repressa. Il progressivo indebolimento della borghesia politica organica ha indotto settori della borghesia di Stato militare, guidati da Kornilov, a tentare nel mese di agosto un colpo di Stato finalizzato ad una "normalizzazione" in senso autoritario del sistema e all’eliminazione dei Soviet e dei Consigli di fabbrica. Il colpo di Stato è stato, però, sconfitto da una rivolta di operai e di soldati a Pietrogrado.

A settembre la burocrazia politica bolscevica metteva le mani sulla maggior parte dei Soviet. Questa situazione ha indotto la burocrazia politica bolscevica a rivendicare il passaggio di tutti i poteri ai Soviet, un passaggio che secondo i suoi piani doveva avvenire in maniera violenta.

La burocrazia politica bolscevica nel corso del mese di ottobre ha organizzato il colpo di Stato, che è stato portato a compimento il 24-X-1917 da quella stessa guarnigione di soldati che lo aveva già tentato a luglio sostenuta dai marinai del Baltico della vicina base di Kronstadt e da alcune migliaia di operai organizzati in milizie dai bolscevichi.

Alle 10 del mattino del 25-10-1917, Lenin poteva dichiarare decaduto il governo controllato dai menscevichi e proclamare il passaggio dei poteri al comitato militare-rivoluzionario. La sera del 25-X-1917 il colpo di Stato si è concluso con l’occupazione da parte dei militari e dei marinai del Palazzo d’Inverno, sede del governo provvisorio. Contemporaneamente si è riunito il II° Congresso dei Soviet a cui Lunacarskj ha consegnato formalmente il potere.

Questi Soviet, però, non erano più gli stessi organismi sorti dalla Rivoluzione di Febbraio: si trattava ormai di istituzioni largamente poliarchizzate e sottoposte al controllo della borghesia politica bolscevica i cui quadri in larga misura si fondevano con esse. Il II° Congresso dei Soviet ha nominato una nuova oligarchia tecnocratica di governo guidata da uno dei promotori del colpo di Stato, V. I. Lenin.

La nuova oligarchia tecnocratica di governo ha però confermato per il 12/11/1917 le elezioni per l’Assemblea Costituente, che, contrariamente alle aspettative, per la borghesia politica bolscevica si sono rivelate un autentico disastro. E’, quindi, evidente, che nelle settimane immediatamente successive al 24/10/1917, la burocrazia politica bolscevica ha incontrato tutta una serie di pericolosissimi ostacoli lungo la strada che l’avrebbe portata a diventare la classe sociale dominante in Russia. E’ in questo contesto di profonda instabilità, che, in vista delle elezioni dell’Assemblea Costituente, la borghesia politica bolscevica ha tentato la mossa demagogica – perché non realmente voluta come dimostreranno gli avvenimenti successivi – della pubblicazione, in data 3/11/17 di una prima bozza del decreto sul controllo operaio. Questo documento prevedeva l’assegnazione di grandissimi poteri ai consigli di fabbrica, le cui decisioni avrebbero avuto valore di legge nei confronti dei proprietari delle aziende. Il carattere demagogico della pubblicazione di questa bozza di decreto è stato dimostrato dal fatto che appena due giorni dopo le elezioni dell’Assemblea Costituente, il 14/11/1917, è stato emanato un decreto sul controllo operaio, sostanzialmente diverso da quello pubblicato il 3/11/1917, che riduceva drasticamente i poteri da conferire ai consigli di fabbrica. Non solo, ma questi decreti possedevano anche una forte carica controrivoluzionaria perché affermavano il diritto dei collettivi di lavoro a controllare la gestione delle loro aziende, ma non a gestire le imprese in questione, cosa che in un numero rilevante di aziende era già una realtà. Questo fatto nei mesi successivi permetterà alla borghesia politica di scatenare una battaglia a tutto campo contro quei consigli di fabbrica che prima, durante e dopo la "Rivoluzione" di Ottobre si erano assunti la gestione delle aziende in cui erano stati istituiti. In ogni caso, il primo vero attacco scagliato dalla borghesia politica bolscevica al controllo operaio si è avuto solo al 1° Congresso Sindacale quando i consigli di fabbrica sono stati messi sotto il controllo della borghesia burocratica sindacale; la seconda mossa della borghesia politica è stato il varo di un vasto piano di nazionalizzazioni: infatti, secondo il decreto del 3/3/1918 i rappresentanti degli operai nel consiglio economico d’amministrazione delle aziende di Stato dovevano sempre e comunque essere meno della metà dei membri del consiglio e con decreto del 30/8/1918 venivano fortemente ridimensionati i poteri dei consigli di fabbrica sempre delle aziende di Stato. L’attacco ai consigli di fabbrica si è concluso con un decreto del febbraio 1920 pubblicato dalla Izvestia, organo ufficiale del Congresso dei Soviet.

In tale decreto si affermava, infatti, che: "…i consigli di fabbrica ed i comitati operai, costituiti con lo scopo di mantenere la disciplina nei centri industriali, erano diventati, contrariamente all’intenzione, sorgenti di danno all’industria nazionale ed avevano demoralizzato le masse operaie spingendole alla distruzione degli utensili delle fabbriche" – si noti il disprezzo tipicamente borghese verso gli operai contenuto in queste parole – "In conseguenza, i consigli di fabbrica e i prenominati consigli operai sono dichiarati sciolti." In questo momento si è concluso il processo, iniziato sin dalla primavera del 1918, che ha portato al passaggio al modo di produzione capitalistico di Stato e alla formazione di una nuova classe sociale dominante, la borghesia burocratica del "Partito Comunista".

Il cammino verso l’umanità che il Socialismo ha portato avanti nella società è quello che consente e ha consentito parità e uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Contro lo strapotere delle classi abbienti, il popolo si è sollevato per la ricerca degli stessi diritti e condizioni di vita, che spettano e devono essere di ogni uomo.

BIBLIOGRAFIA CRITICA

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