CORNELIUS CASTORIADIS

A cura di Francesca Esposito




CASTORIADIS

1. L’itinerario di Cornelius Castoriadis

Sarebbe certamente un errore definire Cornelius Castoriadis un intellettuale, etichetta che egli stesso giudica qualcosa da evitare. Infatti, egli considera intellettuali filosofi come Sartre e Heidegger, in quanto giustificatori e razionalizzatori dell’ordine stabilito e, rispettivamente, dei regimi stalinisti e del nazismo.

Per Castoriadis il compito del pensatore è quello della critica del già istituito, del pre-stabilito, di ciò che si presuma dato una volta per tutte e, di conseguenza, di ogni ideologia e totalitarismo che minaccino l’autonomia individuale e collettiva. Egli senza dubbio ha incarnato nel corso della sua vita l’ideale di

di pensatore solitario che adotta una posizione impopolare e vi resta aggrappato malgrado lo scherno pubblico e le difficoltà private [1].

Il lavoro critico di Castoriadis ha assunto il significato di una ricerca mai paga, mai definitiva di un pensiero rivoluzionario, di un pensiero altro da quello ereditato, tradizionale, sia nell’ambito della teoria politica che in quello della teoria filosofica, di un pensiero rivolto al progetto di autonomia individuale e collettiva.

Nel proponimento di delucidare i limiti e le aporie di quella che egli ha definito la logica-ontologia ereditata, con cui ha inteso l’intero quadro del pensiero filosofico ereditato, Castoriadis ha sviluppato la categoria di psiche e ha operato, tra il 1965 e il 1968, la rielaborazione della psicoanalisi. Frutto maturo di questo percorso è l’opera intitolata L’istituzione immaginaria della società (1975).

La rielaborazione della psicoanalisi non ha avuto, per Castoriadis, come obiettivo principale un nuovo apporto teorico a questa disciplina specifica, ma il rinnovamento in toto della filosofia tradizionale.

Gli anni dedicati al riesame della teoria psicoanalitica subentrano agli anni di un fervido impegno militante, prima nel PC greco (1941), poi nelle file del partito trotzkista francese, all’indomani del suo trasferimento in Francia nel 1945, e infine, a partire dal 1948, nel gruppo Socialisme ou Barbarie, fondato con Claude Lefort ed esprimentesi nella rivista omonima dal 1949 al 1966.

Gli anni che precedettero la stesura de L’istituzione immaginaria della società, furono per Castoriadis molto fervidi. In una prima fase egli è stato impegnato nella elaborazione del concetto di sociale-storico, contenuta nella prima parte de L’istituzione immaginaria della società, intitolata "Marxismo e teoria rivoluzionaria" (1964-1965); tale elaborazione ha avuto luogo attraverso un’attenta rilettura critica dell’economia e della teoria marxiste. In una seconda fase egli ha compiuto prima, tra il 1968 e il 1971, un’ampia riflessione sul linguaggio, e poi, tra il 1971 e il 1974, un vasto ripensamento della filosofia tradizionale.

Già nella delucidazione della questione del "sociale-storico" – che non è altrimenti se non la questione della società e quella della storia –, come pure nelle osservazioni che vertono sul linguaggio, si fa sempre più prepotente il convincimento, da parte di Castoriadis, di quanto il pensiero ereditato sia adeguato al mondo che l’ha prodotto e, cioè, di quanto esso sia dovuto ad uno determinato modo di intendere l’essere, di un modo consustanziale ad una determinata civiltà: quella greco-occidentale. L’influenza che la società greco-occidentale ha esercitato sugli schemi cognitivi dell’umanità ha fatto sì che venisse disconosciuto, innanzitutto, il ruolo primario che rivestono l’immaginario, nella società, e l’immaginazione, nella psiche individuale. Infatti ciascuno di essi è stato ridotto a mera immagine speculare del reale. In verità, come scrive Castoriadis,

l’immaginario di cui parlo non è immagine di. È creazione incessante ed essenzialmente indeterminata (sociale-storica e psichica) di figure/forme/immagini, a partire da cui soltanto si può parlare di "qualche cosa". [2]

Elaborare la nozione di immaginario radicale, significa, per Castoriadis, riconoscere come fondamento ultimo di individuo e società la "creatività", intesa come capacità di creare forme e figure che non esistevano precedentemente e riconoscere, altresì, nelle istituzioni sociali e in tutti i prodotti del soggetto psichico come dell’individuo sociale, delle creazioni immaginarie.

La nozione di immaginario radicale ritorna in tutta la riflessione filosofica di Castoriadis come un’idea quasi ossessiva, funzionale alla necessità di sottrarla al disconoscimento/occultamento che di essa ha operato la filosofia occidentale nell’affrontare le tematiche che vertono sulla società, sul mutamento o divenire storico, sul linguaggio, sulla psiche, inconscia e conscia.


2. Filosofia e società

Riconoscere il ruolo centrale dell’immaginario sociale nella questione che verte sul sociale-storico, significa per Castoriadis, prendere le distanze dal cosìdetto paradigma funzionalista, che – come egli stesso chiarisce nel capitolo terzo della prima parte de L’istituzione immaginaria della società, apparso per la prima volta in Socialisme ou Barbarie nel 1965 e risalente al periodo di già definitiva rottura con il marxismo – non rende ragione né della reale natura della società e né di quella della storia.

Il paradigma funzionalista parte dalla fissità dei bisogni umani e spiega le più diverse organizzazioni culturali e sociali come l’insieme delle funzioni volte a soddisfarli. In tal modo il funzionalismo chiude gli occhi sul fatto essenziale che tutto ciò che è avvertito come mancanza o bisogno è istituzione sociale, creazione dell’immaginario sociale, anonimo e collettivo, al quale solo si deve l’incarnazione entro i singoli individui sociali delle sue produzioni/istituzioni/creazioni.

Ciò che Marx ha disconosciuto, in ragione della sua adesione al funzionalismo, è proprio il ruolo dell’immaginario sociale, che egli ha ridotto a

elemento ‘non economico’ nella catena ‘economica’. Questo deriva dal fatto che Marx pensava di poterlo ridurre a una deficienza provvisoria della storia, deficienza di tipo economico, connessa alla non-maturità tecnica dell’umanità [3]

Lungi dall’essere mera copertura di una deficienza o di una mancanza propria dell’umanità, l’immaginario radicale ne è l’elemento originariamente "poietico", cui si deve ogni creazione sociale-storica e, quindi, la creazione delle istituzioni sociali in cui si materializzano i significati immaginari posti in essere da una data società.

Ma neppure il paradigma strutturalista rende conto dell’esser-proprio del sociale-storico. Tale paradigma ha ridotto, a detta di Castoriadis, le istituzioni sociali a meri reticoli simbolici, alle possibili combinazioni di un numero finito degli stessi elementi discreti. In tal modo esso ha eluso il problema dell’insorgenza delle differenze e dell’origine del simbolismo istituzionale, che è la società stessa, la società istituente.

Interpretare le istituzioni in termini di simboli, significa dimenticare che il simbolismo istituzionale è creazione della società istituente e che i simboli veicolano significati relativamente indipendenti dai significanti che li sostengono, nonché che tali significati svolgono un ruolo non marginale nella scelta e nell’organizzazione di questi significanti.

L’istituzione della società ha sempre il valore di una creazione immaginaria, il valore, cioè, di autodispiegamento dell’immaginario radicale come società e storia, come il sociale-storico per l’appunto. Sebbene ogni istituzione e creazione sociali si appoggino all’esser-così del mondo o a quello che Castoriadis denomina primo strato naturale – e che corrisponde allo strato effettivamente formalizzabile dell’essere, a quello strato, cioè, che si presta ad una conoscenza logico-scientifica, basata sui principi di non contraddizione e di identità –, esse ne trasfigurano/alterano/deformano le proprietà costitutive e, soprattutto, le dotano di senso attraverso la posizione di punti di vista arbitrari e immotivati solo a partire dai quali è possibile sapere ciò che per una data società è razionale o reale.

In ultima istanza, quindi, del sociale-storico non è possibile alcuna teorizzazione, nell’accezione ereditata del termine, bensì solo una delucidazione.

Ciò che chiamo delucidazione è il lavoro con cui gli uomini tentano di pensare quel che fanno e di sapere quel che pensano. Anch’essa è una creazione sociale-storica.[4]

In altre parole, non esiste alcun punto di vista esterno a società e storia, ad esse logicamente anteriore, che ne possa render conto, ma solo un sapere che già appartiene alla società e alla storia che l’hanno prodotto.

Riconoscere alle origini delle istituzioni sociali o della società istituita la stessa società istituente, significa, per Castoriadis, riconoscere che ogni società è autonoma, all’origine delle proprie istituzioni. Se è essa stessa che crea le proprie istituzioni, allora queste ultime non possono mai essere considerate come date una volta e per tutte, immodificabili, imperiture: anzi, esse si prestano alla loro perpetua riconsiderazione e alterazione.

Ne segue, per Castoriadis, che il contenuto del progetto rivoluzionario:

palesemente non può essere né l’assurdità di una società senza istituzioni, né l’idea di istituzioni buone date una volta e per tutte, giacché qualsiasi insieme di istituzioni, una volta costituito, tende necessariamente ad autonomizzarsi e ad asservire nuovamente la società ai significati immaginari che lo sottendono. Il contenuto del progetto rivoluzionario non può esser che l’idea di una società divenuta capace di una perpetua riconsiderazione delle sue istituzioni. [5]

A che possa realizzarsi il progetto rivoluzionario – che altro non è se non il progetto di autonomia individuale e collettiva – è necessario, sul piano individuale, che si realizzi l’avvento del "soggetto" umano, inteso come istanza riflessiva e deliberante, mentre sul piano della collettività, che si realizzi una fondamentale auto-alterazione dell’istituzione tale da permettere la sua messa in discussione da parte degli individui che vi appartengono e che entrambe si realizzino simultaneamente.

Infatti, nulla è più estraneo al pensiero di Castoriadis che l’opposizione o l’antagonismo tra individuo e società. L’individuo è sempre individuo sociale, fabbricato dalla società istituita: proprio per questo, l’individuo da solo non è in grado di mettere in discussione l’orizzonte sociale di riferimento, né è capace di mettere in discussione se stesso, se non virtualmente come soggetto autonomo.

È necessario, quindi, a che gli individui fabbricati dalla società "investano" affettivamente il valore dell’autonomia, che essa sia già comparsa come significato immaginario sociale, come valore sancito ufficialmente, creato, posto in essere dall’immaginario sociale operante nella società in questione.

Per caricare affettivamente o ‘investire’ la libertà e la verità, occorre che esse siano apparse come significati immaginari sociali. Perché possano emergere individui che tendono all’autonomia, è necessario che il campo sociale-storico si sia già auto-alterato in modo da aprire uno spazio di interrogazione senza limiti (…). [6]

Ma ciò può avvenire solo in una società autenticamente democratica, in cui tutto il corpus sociale è chiamato, di fatto, alla partecipazione alla res publica.

L’effettiva autonomia collettiva e individuale può, dunque realizzarsi solo ove sia vigente un’autentica democrazia o Kratos del demos, autogoverno effettivo di una collettività generalizzata. Le odierne democrazie, in quanto rappresentative, appaiono a Castoriadis, piuttosto delle oligarchie liberali, in cui la partecipazione dei più alla gestione della cosa pubblica, lungi dall’essere incoraggiata, è di fatto espressamente ostacolata.


3. La riflessione sul linguaggio

Anche nella riflessione sul linguaggio ritorna instancabilmente la nozione di immaginario sociale: anche il linguaggio, infatti, è creazione immaginaria, posizione inaugurale di immagini/figure/forme ad opera dell’immaginario istituente, attraverso cui tutto ciò che la società percepisce come reale o razionale, si mostra nel suo esser-proprio istituzione/creazione dal nulla [ex nihilo], non mero riflesso o immagine speculare dell’esser-così del mondo, del primo strato naturale.

Tuttavia, l’istituzione del dire, come anche del fare sociale, comporta sempre due dimensioni: una "identitaria" ed una "immaginaria". La dimensione identitaria del fare sociale è rappresentata dal teuchein, quella del dire sociale dal legein.

Legein e teuchein sono necessariamente implicati nell’istituire sociale-storico, nella misura in cui

il fare/rappresentare sociale sempre presuppone e si riferisce ad oggetti distinti e definiti che possono esser raccolti a formare delle totalità componibili o scomponibili, definibili da proprietà determinate e tali che servano da supporto alle definizioni di esse. [7]

Teuchein e legein sono, cioè, le condizioni strumentali a che vi siano un fare e un dire comuni, medesimi per tutti i membri di una data società. L’istituirsi sociale, sebbene non possa dispiegarsi senza un fare e un dire comuni alla collettività, non ne è esaurito/ricoperto del tutto.

Il sociale-storico è, innanzitutto, il luogo in cui si materializzano i significati immaginari sociali, il cui ambito, costituendo un magma, non è riducibile all’insieme dei significati identitario-insiemistici, all’insieme, cioè, dei significati del linguaggio che soggiacciono ai principi logici di non contraddizione e di identità.

Un magma è ciò da cui si possono estrarre (o in cui si possono costruire) delle organizzazioni insiemistiche di numero indefinito, ma esso non può mai essere ricostituito idealmente per composizione insiemistica (finita o infinita) di queste organizzazioni. [8]

Accanto alla dimensione identitaria del linguaggio come codice o legein, insieme di regole e strutture grammaticali, vi è, quindi, la dimensione del linguaggio come lingua, magma inesauribile di significati, al cui interno è possibile ritagliare l’ambito che pertiene al codice, ma che non è possibile ridurre a quest’ultimo.

L’origine delle significazioni – comprese quelle riferite al reale e al razionale, come, ad es. cane e cerchio, così come all’origine della stessa designazione simbolica, in virtù della quale è messo il segno al posto dell’oggetto – è da rinvenire nell’immaginario radicale, come posizione inaugurale di immagini/figure/phantasmata sociali-storici a partire dai quali ogni relazione segnitiva, ogni legame, di per se stesso già istituito, tra significante e significato, acquistano un senso per la società che li ha posti in essere.

Non sono tanto e non sono solo, questo o quel segno, né ogni segno particolare, ad essere arbitrari, […] ma la relazione segnitiva come tale, il legein come tale e considerato nella sua totalità. [9]

Riconoscere il carattere arbitrario, perché istituito, del legein, presuppone l’abolizione della determinatezza come norma suprema. Infatti, all’istituzione del legein, che per Castoriadis è istituzione specifica di una certa società, quella greco-occidentale, è consustanziale a un certo modo di intendere l’essere in virtù del quale esso è omogeneo alla struttura del pensiero come logos.

Da venticinque secoli il pensiero greco-occidentale si costituisce, si elabora, si amplifica e si affina basandosi su queste tesi: essere significa essere qualcosa di determinato (einai ti); dire significa dire qualcosa di determinato (ti legein); e, beninteso, dire il vero significa determinare il dire e quanto si dice attraverso le determinazioni dell’essere o determinare l’essere attraverso le determinazioni del dire e, infine, constatare che le une e le altre sono la stessa cosa. [10]

Il pensiero filosofico ereditato, il pensiero greco-occidentale, per l’appunto, ha ignorato il significato di creazione umana o ontologica come creazione ex nihilo e come autocreazione, in quanto ha sostenuto l’impossibilità della generazione se non a partire da un che di antecedente. Infatti, osserva Castoriadis che, nel Timeo di Platone,

La creazione del mondo da parte del Demiurgo non è creazione, non è passaggio dal non essere all’essere, ma è regolata su un paradigma pre-esistente, predeterminato dall’eidos, che essa imita, ripete, riproduce. [11]

Il misconoscimento – da parte della logica-ontologia ereditata – del fatto che Caos, Abisso, Senza-Fondo costituiscono l’articolazione interna all’essere stesso, ha determinato l’impossibilità di comprendere l’ambito dell’Alterità e della novità non banale, se non avventurandosi al di là del pensiero ereditato e del suo linguaggio.

Questo ambito è rappresentato proprio dall’immaginario radicale, con cui va intesa la capacità originariamente formante e creatrice, all’opera nella società come immaginario anonimo e collettivo, e nell’individuo come immaginazione radicale.

La centralità dell’immaginario e dell’immagine si spiega in base all’indeterminatezza dell’essere: l’essere, referente ultimo del nostro linguaggio, delle nostre espressioni e finanche dei nostri desideri, è costitutivamente magmatico, stratificato in modo irregolare, e, in quanto tale, incapace di fornire un senso ultimo e definitivo alla nostra esistenza. L’immagine diviene, allora, il medium essenziale attraverso cui rapportarci al non-senso del reale.

Se l’essere è magma, si sottrae ad ogni pretesa di fornirne una comprensione ed una interpretazione esaustive ed implica la necessità di far ricorso ad una rete di significati, sistematicamente e coerentemente connessi tra loro da una determinata società. L’origine dell’ordine simbolico dei significati è, dunque, da rinvenire in una mancanza originaria e primordiale: quella di un accesso immediato e diretto all’essere, che rende vitale l’accesso mediato all’ambito delle significazioni immaginarie sociali per comunicare, agire, vivere in concerto con gli altri individui sociali.


4. La psiche come immaginazione radicale

Al bienno 1964-65 risale non solo l’elaborazione delle idee relative alla storia come creazione ex nihilo, alla società istituente e istituita, all’immaginario sociale, al sociale-storico come modo d’essere misconosciuto dal pensiero ereditato, bensì anche

la constatazione che lo psichismo umano non possa essere spiegato attraverso fattori biologici, né considerato come un automa logico. [12]

Psiche e società rivelano la specificità del loro essere nel fatto stesso di coesistere, pur essendo poli irriducibili l’uno all’altro. Contributo essenziale alla delucidazione critica del rapporto tra psiche e società, in vista del progetto d’autonomia, è apportato dalla rielaborazione dei postulati fondamentali della psicoanalisi ad opera di Castoriadis, all’indomani della decisione di interrompere la pubblicazione di Socialisme ou Barbarie e di dedicarsi ad una ricostruzione teorica che andasse ben al di là del marxismo e che chiamasse in causa tutto il pensiero ereditato.

Peso non secondario, nel passaggio di testimone dalla politica alla filosofia, ha avuto il riconoscimento che psicoanalisi e politica confluiscono sul terreno comune dell’autonomia dell’uomo. Infatti l’avvento del soggetto umano, in quanto soggetto autonomo, è ciò che caratterizza l’obiettivo del progetto psicoanalitico.

Freud proponeva come massima della psicoanalisi: "Dove c’era l’Es, l’Io deve divenire" […]. L’Io è qui, in prima approssimazione, il conscio in generale. L’Es, rigorosamente inteso come origine e luogo delle pulsioni ("istinti"), dev’essere preso in questo contesto come rappresentante dell’inconscio nel senso più ampio. Io, coscienza e volontà devono prendere il posto delle forze oscure che, "in me", dominano e agiscono per me – mi agiscono […]. [13]

Il postulato freudiano indica, quale obiettivo psicoanalitico, l’instaurarsi di un "altro" rapporto del soggetto alle sue istanze psichiche; di un rapporto "diverso" tra coscienza e inconscio, che non veda né il dominio dell'inconscio sulla cosienza né della coscienza sull'inconscio; di un rapporto diverso tra lucidità e funzione immaginaria: in altri termini, l’avvento del soggetto umano, come caratterizzato da riflessività e capacità deliberativa.

Per riflessività Castoriadis intende

la possibilità di rappresentare se stesso come attività rappresentativa e di mettersi come tale in discussione; [14]

per capacità deliberativa di un soggetto umano

la possibilità di far entrare nei circuiti che condizionano i suoi atti i risultati del suo processo di riflessione. [15]

Se, quindi il soggetto umano e il suo avvento costituiscono ciò a cui mira il progetto psicoanalitico, quest’ultimo non è riconducibile al mero adattamento sociale degli individui, alla fabbricazione di individui automaticamente adeguati alla società e alle sue esigenze. Il soggetto umano è altro da un robot e da uno zombie incapace di mettere in discussione se stesso e l’istituzione sociale: piuttosto, esso va considerato come capacità emergente di accogliere il senso dell’interpretazione psicoanalitica, fornitagli dall’analista, e di farne qualcosa per sé riflettendoci.

È proprio nell’accoglienza (o nel rigetto) dell’interpretazione il soggetto si manifesta fonte non determinabile di senso, come capacità (virtuale) di riflessione e (re)azione. [16]

L’obiettivo della "riflessività" e della "capacità deliberativa" non è perseguibile attraverso una sterile teorizzazione dell’oggetto specifico della psicoanalisi, di cui l’attività analitica sarebbe mero riflesso. L’analisi è per Castoriadis attività che fa parlare direttamente l’analizzando, attività che egli definisce pratico-poietica: attività che non deriva da alcun sapere preliminare e che implica l’immissione di analista e di analizzando in un circolo, in cui non sono distinguibili un soggetto che opera l’analisi ed un oggetto che la subisce.

Alla luce di ciò, solo in un’accezione errata potremmo considerare da un lato, la psicoanalisi come scienza del suo oggetto e, dall’altro, il suo oggetto come oggetto.

Tuttavia è accaduto che l’attività psicoanalitica procedesse di pari passo con una volontà di delucidare il suo oggetto in termini universali, finendo nella rete delle aporie che derivano dalla pretesa di formalizzare oggetti-non oggetti, tra i quali la psiche ribelle alle determinazioni della logica dell’identità e dell’insieme, a quelle del pensiero logico-formale.

La psicoanalisi si trova così a dover fare i conti con una sorta di sdoppiamento di sé su due piani: quello dell’analisi, dove l’individuo, il paziente rimane irriducibile e non formalizzabile, e quello della teoria dove non viene riconosciuta questa irriducibilità.

Nonostante queste aporie proprie del modello d’interpretazione psicoanalitica, Castoriadis se ne è servito come di un modello teorico di critica dell’intero quadro del pensiero ereditato, oltre che di "esplorazione" dell’individuo, per quanto riguarda il suo nucleo fondamentale: la monade psichica.

Merito di Freud e della psicoanalisi, in genere, è stato quello di aver riconosciuto il ruolo primario dell’immaginazione, sebbene quest’ultima sia stata colta all’opera solo nel fantasma.

Per fantasma della psiche si intende

lo scenario cui è presente il soggetto e che raffigura, in modo più o meno deformato dai processi difensivi, l’appagamento di un desiderio e in ultima istanza di un desiderio inconscio. [17]

Freud scorge, quindi, tra fantasma e fantasia, da un lato, e desiderio, dall’altro, un rapporto sui generis, in virtù del quale il desiderio drammatizza, mette in scena nel fantasma un vissuto di soddisfacimento, che è stato interrotto dall’insorgenza di un bisogno. Proprio in quanto Freud e i suoi seguaci hanno colto l’immaginazione all’opera unicamente nel fantasma, che è un prodotto derivato, si sono come fissati ad uno stadio precedente dell’elaborazione della questione dell’immaginazione.

Così Freud scriverà che il fantasmare si riduce agli eventi successivi all’instaurazione del principio di realtà, e che precedentemente vi è sempre stata realizzazione "in guisa allucinatoria del pensato (desiderato)", cioè del rappresentato. [18]

In altre parole, Freud ha pensato il problema dell’immaginazione e del fantasma, sul modello del prodotto dell’immaginazione, che pressato dalla pulsione o anche dal bisogno, giunge ad occultare una mancanza col riprodurre la rappresentazione di una scena di soddisfacimento, fornita di un antecedente in una percezione reale.

In questo modo è stata occultata la creatività della psiche, il suo essere capacità originariamente formante a partire da nessun dato naturale. Il carattere originariamente "poietico" dell’immaginazione della psiche è stato appiattito sul modello di un evento di soddisfacimento accaduto realmente, appartenente, quindi, al passato effettivo della storia del soggetto psichico in questione.

Se lo stato di tranquillità psichica – cui Freud fa riferimento e nel quale ciò che era desiderato (rappresentato) era ipso facto realizzato in guisa allucinatoria – è stato psichico, allora esso esiste necessariamente come rappresentazione e la sua interruzione da parte di un bisogno interno o dall’urgenza vitale viene messo in discussione da questa stessa rappresentazione. In altre parole, se la psiche è in primis immaginazione, essa crea immagini/figure/forme che non ripetono il già vissuto e che, di più, disconoscono l’urgenza vitale dei bisogni.

Quindi, più che mettere in scena un vissuto di soddisfacimento già effettivamente accaduto (in tal caso l’immaginazione della psiche sarebbe mero riflesso del reale), la psiche cerca di far ritorno ad uno stato di quiete psichica, di beatidudine, che è, a ben vedere, solo un’immagine elaborata in modo differito e retrospettivo dal desiderio della psiche medesima.

Questo stato primigenio, in quanto stato psichico, esiste necessariamente come rappresentazione, dove rappresentazione non significa ri-presentazione di uno stato effettivamente accaduto e precedente, bensì posizione inaugurale di una immagine, di una rappresentazione a partire da una fondamentale inexistentia del "percetto", di una fondamentale assenza di ciò che è percepito.

Quando Freud scrive, nella Metapsicologia, che solo in quanto la pulsione è ancorata ad una rappresentazione possiamo apprendere qualcosa di essa, egli si riferisce ad una rappresentazione di cui la pulsione necessita come delegato presso la psiche e che quest’ultima attinge dal fondo di una riserva di rappresentazioni originaria, primordiale.

In definitiva, è la psiche, come formazione e immaginazione, a presiedere ad ogni organizzazione della pulsione, anche della più primitiva.

La psiche è certo "ricettività di impressioni", capacità d’essere affetta da…; ma, inoltre, dal momento che questa ricettività delle impressioni da sola non produrrà mai nessun risultato, la psiche è soprattutto insorgenza della rappresentazione come modo d’essere irriducibile e unico, nonché come organizzazione di qualcosa entro e attraverso la sua raffigurazione, la sua "messa in immagine". [19]

Ciò che del desiderio della psiche resta irrealizzabile al di là di ogni fantasmatizzazione, allucinazione, rappresentazione e capacità immaginativa radicale, è il recupero dell’irrapresentabile di uno stato primigenio, in cui il desiderio ancora non si articolava come tale e in cui la ricerca di senso era assoluta e totalizzante, il prima non raffigurabile in un’immagine, seppur originaria, della separazione/rottura della monade psichica.

Una volta che la psiche ha subito la rottura del suo "stato monadico", impostale dall’"oggetto", dall’altro, dal corpo proprio, è per sempre decentrata rispetto a se stessa […]; La psiche è il proprio oggetto perduto. [20]

Il ritorno a sé sarà ciò a cui mirerà la psiche a partire dalla rottura del suo essere monade, sottraendosi ad una totale alterazione/deformazione ad opera della società e attraverso ciò che essa istituisce. Ciò, ancora una volta, pone l’accento sulla polarità non componibile, non di individuo e società, bensì di psiche e società. Unico contraltare dell’istituzione sociale è la psiche, in virtù della radicalità della sua immaginazione.


5. Psiche e società

L’immagine di un’originaria pienezza mitica, da cui il desiderio della psiche presume di provenire e che il desiderio assume come proprio paradigma, modello a cui conformarsi, impedisce al desiderio stesso di aprirsi del tutto al tessuto dei valori istituiti, mettendo a repentaglio la sua stessa sopravvivenza.

Radicalmente inadatta alla vita, la specie umana sopravvive creando la società e l’istituzione. È quest’ultima che permette alla psiche di sopravvivere imponendole un’altra fonte e un’altra modalità del senso: la significazione immaginaria sociale, l’identificazione mediata ad essa (e alle sue articolazioni), la possibilità di ricondurre tutto a tale significazione. [21]

Dal punto di vista psichico, la socializzazione della psiche, la sua trasformazione in individuo sociale, ha una sua peculiare modalità nel processo di sublimazione, che consiste

in una ripresa da parte della psiche delle forme, eide, socialmente istituite e dei significati che esse implicano, cioè nell’appropriazione del sociale da parte della psiche, mediante la costituzione di un’interfaccia di contatto tra mondo privato e quello pubblico o comune. [22]

Ciò implica, da un lato, la psiche come immaginazione, possibilità di porre/vedere questo al posto di quello, di vedere al posto del proto-senso del suo essere monade, il senso offerto dalle significazioni immaginarie sociali; dall’altro lato, il sociale-storico come immaginario sociale, cioè come posizione di forme e significati che la psiche non può far essere.

Ciò che la psicoanalisi, a cominciare da Freud, ha ignorato, secondo Castoriadis, è stato il contenuto sociale-storico della sublimazione. Un unico e sempre uguale processo non può rendere ragione di istituzioni tanto diverse tra loro, quali il lavoro e l’ordine, il danaro e la pittura. È la società a rendere obbligatori per gli individui sociali quelli che divengono oggetti di sublimazione, con esclusione di altri. Non può esservi fabbricazione dell’individuo sociale, se non in quanto gli oggetti di sublimazione sono già stati istituiti dalla società istituente.

Nonostante il fatto che la socializzazione della psiche sia necessaria a che possa sopravvivere il suo supporto vivente e la psiche medesima, psiche e società rimangono irriducibili l’una all’altra.

L’istituzione non può assorbire la psiche come immaginazione radicale, e d’altra parte ciò fornisce una condizione positiva dell’esistenza e del funzionamento della società. [23]

La rappresentazione e, in generale, l’immaginazione radicale, che è a fondamento dello psichico, escludono di per sé la possibilità del medesimo, del comune, nella misura in cui sono, nel loro esser-proprio, insorgenza dell’Alterità, insorgenza, cioè, di figure, immagini, significati altri da quelli socialmente riconosciuti.

La società, dal canto suo, si auto-istituisce sempre entro una chiusura, ovvero ogni società è questa e non un’altra istituzione, che fa essere questo e non un altro magma di significati immaginari, in questo e non in un altro modo.

Ciò non toglie che psiche e società siano in un rapporto di interdipendenza dell’una all’altra: infatti, da un lato, la creazione di un mondo di cose esiste perché c’è follia/creatività della psiche, dall’altro, è in virtù del fatto che siamo del tutto immersi nel sociale-storico, che possiamo mirare al di là di ogni istituzione, ad una verità altra da quella sancita ufficialmente.

All’interrogativo che verte sulla possibilità di rinvenire una valida alternativa all’opposizione tra creatività della psiche ed esigenze imperiose della realtà, tra attività psichica e passivo adeguamento della psiche alla realtà sociale, tra mondo privato e pubblico, tra patologia e normalità, Castoriadis risponde:

I due percorsi […] sono essenziali, ineliminabili, irriducibili, indissociabili. Il primo, partendo dall’ideogenesi e dalla koinogenesi, mostra il radicamento della cosa, della percezione, del mondo, della logica, del pensiero, al tempo stesso nel magma rappresentativo della psiche e nell’istituzione sociale-storico […]. E l’altro percorso ritorna instancabilmente su tutti questi punti per interrogarli in un altro modo […]; entro e attraverso le differenze e le alterità dei mondi privati e dei mondi sociali-storici, esso tenta di mirare a un significato ‘mondo’ e a un mondo, tenta di mettere alla prova la sua istituzione e ogni istituzione data […].[24]

In altri termini, se da un lato – ripercorrendo l’itinerario che dalla monade psichica ha condotto alla fabbricazione dell’individuo sociale, e quello che vede l’istituirsi del sociale come orizzonte comune, collettivo di riferimento – possiamo scorgere l’immaginario come radice ultima di ciò che per noi, come soggetti psichici o come individui sociali, e per la società in cui siamo immersi, è indubitabile, vitale, irrinunciabile, perché dotato di senso; dall’altro lato, proprio il riconoscimento del radicamento di ciò che è presunto essere indubitabile nell’immaginario radicale apre uno spazio di possibilità di una sua riconsiderazione, di una sua interrogazione e di una sua messa in discussione perpetue.


6. L’eredità di Cornelius Castoriadis

Il contributo fondamentale che la lezione propria di Castoriadis ha apportato all’intero quadro del pensiero filosofico occidentale verte, in ultima istanza, sulla necessità di guardare alla filosofia come a un fare pensante o a un pensiero storico, come a una teoresi mai scissa dalla prassi, che si commisuri all’istituzione sociale e che, allo stesso tempo, ne sia l’interrogazione permanente, mai paga di uno sguardo che si presuma fisso e definitivo sulle cose., sul mondo, sul significato di ciò che ha valore, di ciò che è vitale e irrinunciabile.

Certamente vitale e irrinunciabile è, altresì, avere certezze e verità come appigli sicuri che evitino il naufragio nel mare dell’a-sensato, di ciò che è avvertito come rischio e pericolo. Ma altrettanto vitale e irrinunciabile ha da essere la possibilità di sempre nuove aperture, di sempre nuovi investimenti affettivo-cognitivi su valori, verità, immagini altre, rinnovate o innovative rispetto a quelle oramai consolidatesi. E ciò vale anche per l’ambito del pensiero filosofico.

Se fosse possibile determinare in modo esaustivo l’essere del mondo e l’essere che noi siamo, la passione del conoscere si esaurirebbe nel pieno possesso dell’oggetto o della cosa, sottratta ad ogni possibilità di auto-alterazione e trasfigurazione di sé.

Perché ci sia conoscenza è necessario che almeno qualcosa dell’essere sia conoscibile, poiché palesemente un soggetto, quale che sia, non potrebbe mai conoscere nulla di un mondo assolutamente caotico. Ma è necessario anche che l’essere non sia "trasparente" e neppure conoscibile in modo esaustivo. [25]

Oggetto d’investimento affettivo del campo della conoscenza, deve essere, in ultima istanza, un’idea di verità altra da quella impostaci fino ad ora dalla filosofia tradizionale, un’idea di verità non come oggetto bensì come oggetto/non-oggetto, fonte inesauribile del vero, linfa vitale della passione del conoscere o del pensiero come Eros.

L’unico valore, che per Castoriadis deve rimanere immutato e deve essere salvaguardato e investito come imperituro, è il confronto con l’Alterità, sia essa rappresentata da società altre dalla propria, da individui sociali o da soggetti psichici altri da quelli che noi siamo.

È in rapporto a questo valore che uomini e società sono chiamati a trasfigurarsi in vista di un altrove migliore e ciò è realizzabile grazie alla potenzialità immaginativa che ciascuno di essi serba in sé.

Presentificazione più evidente dell’insorgenza dell’Alterità, l’immaginario sociale e l’immaginazione individuale costituiscono un possesso che non può esaurirsi in se stesso, ma che si impone anche come un compito e una promessa di mutamento e trasformazione.

 


Note

[1]Paul Berman, Cornelius e l’eresia permanente, MicroMega, 4/1999, p. 256.

[2] Prefazione all’edizione originale ne L’istituzione immaginaria della società, Bollati Boringhieri, Torino 1995, Traduzione di Fabio Ciaramelli e Fabrizio Nicolini, Introduzione di Pietro Barcellona, pp. XXXVII-XXXVIII.

[3] L’istituzione e l’immaginario [1965] ne L’enigma del soggetto. L’immaginario e le istituzioni, trad. it. di Currado, a cura di Fabio Ciaramelli, con postfazione di F. Ciaramelli, Dedalo, Bari 1998, pp. 53-54. Questo saggio costituisce il capitolo terzo della prima parte, non compresa nell’edizione italiana, de L’istituzione immaginaria della società.

[4] Prefazione dell’autore all’edizione originale, cit., p. XXXVIII.

[5] L’istituzione e l’immaginario [1965], cit., pag. 272.

[6] Potere, politica, autonomia, trad. di F. Ciaramelli, MicroMega, n.5/1989, pp. 145-146.

[7] L’istituzione immaginaria della società, cit., p. 81.

[8] Ibidem, p. 235.

[9] Ibidem, p. 106.

[10] Ibidem, p. 73.

[11] Ibidem, p. 43.

[12] La logica del magma in Volontà, 1/1992, p. 58.

[13] Il progetto dell’Autonomia ne L’enigma del soggetto, cit., p. 165.

[14] Ibidem, p. 119.

[15] Ibidem, p. 121.

[16] Ibidem, p. 100.

[17] Laplanche e Pontalis, Enciclopedia della psicoanalisi, a cura di L. Mecacci e C. Puca, con prefazione di D. Lagache, Laterza, voll.2, Bari 1998, vol.I, p. 180.

[18] L’istituzione immaginaria della società, cit., p. 156.

[19] Ibidem, p. 155.

[20] Ibidem, p. 173.

[21] Istituzione della società e religione (1982) ne L’enigma del soggetto,cit., p. 9.

[22] L’istituzione immaginaria della società, cit., p. 193.

[23] Ibidem, p. 205.

[24] Ibidem, pp. 228-229.

[25] Passione e conoscenza, ne La passione del conoscere, ed. a cura di Lorena Preta, Laterza, Roma-Bari 1993, p. 110.


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