GILLES DELEUZE

A cura di Diego Fusaro



DIFFERENZA CONTRO DIALETTICA

Fin dal principio della sua carriera di pensatore, Deleuze si è proposto di continuare il programma nietzscheano di un " rovesciamento del platonismo ", ossia rovesciamento delle forme tradizionali del pensiero e più specificamente della rappresentazione, che costituisce il centro e il termine comune della metafisica, della teoria della conoscenza, della logica e della morale tradizionali. È un programma che non ha subito variazioni e che viene fissato nei suoi tratti essenziali già nella prima opera originale di Deleuze, "Differenza e ripetizione", del 1968. La differenza e la ripetizione , o meglio un certo modo di concepire la differenza, la ripetizione e il rapporto tra l'una e l'altra, sono le strutture entro le quali si è cristallizzata la visione occidentale dell'essere come rappresentazione. Io colgo, comprendo, rappresento un fenomeno in quanto ne individuo il ripetersi, al variare delle circostanze, ovvero il ripetersi-con-differenze, la ripetizione assoggettata alla differenza, e la differenza legata alla ripetizione. Tutto questo insieme poi si offre alla generalità del concetto, dell'universale: tutti i diversi cavalli che ripetutamente vedo si trovano avvinti, grazie al gioco di differenza-e-ripetizione, nella forma unica e normativa del concetto "cavallo". Ma perché non dovrebbe essere possibile concepire la differenza "in sé", e la ripetizione "pura"? Perché non dovrebbe essere possibile pensare al di fuori della generalità, ovvero del combinarsi normativo di differenza e ripetizione? È ovvio che molte acquisizioni intoccate del pensiero tradizionale vanno riviste: va rivista anzitutto la dialettica, che sembra uno sconvolgimento o un "rovesciamento" della rappresentazione, ma in realtà ne è solo la versione "in movimento": e si tratta ancora di un movimento regressivo e negativo, che tende a creare zone di realtà privilegiate ed egemoniche. La dialettica è un caso esemplare di asservimento della differenza al negativo: nell'identità idealistica, hegeliana, ogni differente è pensato come il negativo ed è perciò sottoposto alla dominanza dell'identico. Attraverso il dominio del negativo, la dialettica riesce a integrare e neutralizzare le differenze, esattamente come la ragione metafìsica classica, che esorcizza le differenze creando "generalità", leggi, princìpi universali. Come nella logica classica della rappresentazione, anche nella dialettica sopravvive il dualismo (essere/non essere, soggetto/oggetto, originale/copia). Il rapporto copia-originale che nella metafisica classica era pensato come nesso tra due ordini di realtà, una delle quali è gregaria rispetto all'altra, nella logica dialettica vale come rapporto reciprocamente costitutivo tra la cosa e il suo doppio, la cosa e l'ombra. L' arte contemporanea, innegabilmente, ha rotto con questa logica della rappresentazione: presentando ripetizioni pure, cioè "doppi" o "moduli", oggetti spaesati e spezzati, che ospitano realtà eterogenee al proprio interno o si scompongono, si sconnettono e diventano tutto, o qualsiasi altra cosa; sconvolgendo in infiniti modi la logica dell'originale e della copia; rompendo la chiusura della cornice, oltrepassando la coppia dogmatica dell'artista e dell'opera, e ogni prevedibile dualismo. Quel che l'arte ha fatto nella propria "logica" andrebbe fatto anche in filosofia: occorre una nuova logica, una nuova "immagine del pensiero", ma anzitutto è d'uopo sconfessare ogni immagine normativa del pensiero, liberare il pensiero dall'assoggettamento a una forma-immagine predeterminata. Emerge qui l'obiettivo di una logica dell'emancipazione che è anzitutto emancipazione della logica all'opera nel pensiero e nella prassi materiale e sociale (corpo, famiglia). Quel che Deleuze persegue è l'idea di una ricerca filosofica come individuazione di " nuovi modi di vivere e di pensareunivocità dell'essere (riprendendo Duns Scoto) come condizione per pensare l'infinita pluralità delle differenze. In base all'univocità dell'essere (operazione in se stessa affermativa, poiché assegna una stessa dignità ontologica ai modi dell'ente, non li gerarchizza più in base al negativo, all'esclusione), si può cogliere la pluralità degli enti senza soggiogarli gli uni agli altri, senza postulare il primato della ragione sulla follia, o del soggetto sull'oggetto, o la gregarietà dell'"altro" rispetto al "medesimo". Più in generale e più radicalmente, è possibile sottrarsi a un'immagine del pensiero il cui ultimo esito sarebbe " impedirci di pensare ".

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