AUGUSTO DEL NOCE



A cura di Maurizio Schoepflin

"Per sè il termine tradizione può sembrare abbastanza ambiguo. Secondo l’etimo, infatti, che cosa significa? Ciò che si trasmette, ciò che si consegna. L’ambiguità, però, è più apparente che reale. E’ chiaro, infatti, che non possiamo far dipendere il valore dalla tradizione; è chiaro che non ha valore soltanto ciò che è trasmesso, perchè si trasmettono anche, le pratiche delle messe nere, o le arti più infami. E’, dunque, di tutta evidenza che è il valore a fondare la tradizione e non l’inverso. Il significato dell’endiade << valore tradizionale>> è perciò questo: esistono valori assoluti e soprastorici, che perciò possono e debbono venir consegnati; esiste un ordine che è immutabile anche per Dio stesso.".




DEL NOCENato a Pistoia nel 1910 e scomparso a Roma nel 1989, Augusto Del Noce si formò nell’ambiente culturale torinese, laureandosi nel 1932 con una tesi su Malebranche e aderendo all’antifascismo insieme ad altri esponenti della sinistra cristiana, come Felice Balbo, dalle posizioni del quale poi si distinse nettamente, soprattutto sulla base della convinzione dell’inconciliabilità tra cristianesimo e marxismo, motivo che diventerà dominante nel pensiero delnociano. Considerando la filosofia di Cartesio come il momento iniziale della modernità, Del Noce ritiene che da essa si sia originato un filone speculativo che giunge sino a Hegel, a Marx e a Nietzsche, ovvero all’esito ateo e nichilista che caratterizza molta parte della cultura contemporanea: il razionalismo, nato con Cartesio, ignora i limiti della ragione stessa, si autofonda e finisce con il negare la Trascendenza. L’ateismo — scrive a questo proposito Del Noce — "è il termine conclusivo a cui deve necessariamente pervenire il razionalismo al punto estremo della sua coerenza"; si tratta di un ateismo che, a differenza di quello ottocentesco, rende impossibile la fondazione di qualsiasi morale; in ultima analisi, siamo di fronte a una filosofia che si autodistrugge e che distrugge le basi stesse della vita umana. Del Noce dedicò le sue energie migliori a dimostrare che il percorso che aveva condotto la filosofia da Cartesio a Marx si dimostrava fallimentare e drammaticamente pericoloso, e che pertanto si rendeva necessaria una rifondazione del pensiero in senso teologico e, dunque, cristiano. Il marxismo — sostiene Del Noce — rappresenta bene l’approdo ateo del pensiero moderno e contemporaneo: infatti, esso pretende di negare non soltanto l’esistenza di Dio, ma anche il desiderio di Trascendenza che abita nel cuore dell’uomo, e pretende altresì di sostituirsi alla religione promettendo di realizzare la felicità su questa terra mediante un radicale cambiamento della società. A partire da queste analisi, Del Noce considerò assolutamente impossibile l’incontro tra marxismo e cristianesimo, e negli anni in cui, al contrario, molti auspicavano questo incontro, ciò gli costò una netta emarginazione da parte degli intellettuali cosiddetti progressisti e gli conferì, quando non pochi scommettevano sul "cattocomunismo", le caratteristiche del profeta inascoltato. Tuttavia, secondo Del Noce, esiste un altro volto della filosofia moderna e un altro percorso seguito dal pensiero postcartesiano: è la linea che, detto in estrema sintesi, conduce a Rosmini e Gioberti, passando attraverso Malebranche e Vico; una linea che permette di recuperare positivamente il pensiero cattolico italiano dell’Ottocento, ingiustamente trascurato nella foga di cercare di realizzare un impossibile dialogo con le filosofie atee e materialiste, tra le quali, come si è visto, spicca il marxismo. Soltanto la ripresa di una genuino pensiero di ispirazione cattolica potrà fungere da antidoto contro la secolarizzazione che contraddistingue la società contemporanea e che, a giudizio di Del Noce, è figlia dell’innaturale connubio tra ateismo comunista e ideologia borghese, uniti nel combattere la verità della religione cristiana e votati a condurre l’umanità verso il baratro del nichilismo. Le seguenti considerazioni, scritte da Del Noce nel settembre del 1975 sul quotidiano della Democrazia Cristiana, "Il Popolo", sintetizzano bene alcuni tratti del suo pensiero e, rivelandosi davvero profetiche, mantengono pure un’indiscutibile attualità: "Nell’ultimo quarto di secolo si è svolto quel Kulturkampf, cioè quella lotta della cultura contro il pensiero cattolico che Gramsci auspicava... È stata la lotta maggiore che l’Italia abbia conosciuto. È riuscita? Parzialmente, certo: il cangiamento delle valutazioni morali nel costume, ecc. che si è avuto in questi venticinque anni, è eccezionale. Non dirò che sia stato sempre negativo e che certe incrostazioni non meritassero di cadere: tuttavia, bisogna pur riconoscere che non si è trattato di una purificazione dei pensiero e della morale cattolici, ma di una loro eversione. Pensare a un «aggiornamento» come a un’adeguazione al «nuovo» sarebbe una di quelle tante sciocchezze senza pari che conoscono oggi un’incontrollata circolazione. Il successo però è stato soltanto parziale. Non si è formata una nuova coscienza marxista o illuminista o che altro dir si voglia, ma si è determinato soltanto un vuoto degli ideali. Se nella parte cattolica la confusione è oggi eccezionale, non si può però dire che le tendenze neomodernistiche, progressistiche, ecc., abbiano trionfato: si ha l’impressione, anzi, che stia cominciando il declino della loro fortuna. Ritorno ai principi: questa è la formula di ogni rinascita religiosa. Per un partito che, per aconfessionale che sia, è tuttavia composto per la massima parte da cattolici, non si può pensare a un risveglio politico che sia separabile da un risveglio religioso... Bisogna tuttavia ammettere che l’intensità dell’attacco ha fatto sì che questi principi si sono, nella coscienza comune, oscurati; abbiano, anzi, subito un oscuramento quale mai antecedentemente si era avuto. Penso che possano essere ritrovati solo per via negativa; solo attraverso una critica rigorosamente razionale, dall’interno, delle posizioni avverse; una crltica, si intende, che riconosca la loro serietà. In primo luogo, per la sua impostazione, della cultura gramsciana".

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