DEMETRIO CINICO

 

Demetrio è il primo nome di Cinico dell’età imperiale di cui ci sia giunta notizia: fu un contemporaneo di Seneca, e fu da questi assai ammirato e apprezzato. Demetrio nacque, probabilmente, agli inizi del I secolo d.C. Egli era già noto per la sua dottrina e per la sua vita cinica negli anni in cui imperava Caligola, a giudicare da quanto ci riferisce Seneca (De benef., VII, 11). Forse dovette lasciare Roma già una prima volta, dopo la condanne di Trasea Feto, di cui era amico, nel 67 d.C. E certa la sua espulsione da Roma nel 71 d.C., a motivo della sua opposizione alla politica dell’imperatore Vespasiano. Dei suoi ultimi anni di vita (trascorsi probabilmente, almeno in parte, in Grecia) poco sappiamo. La nostra principale fonte di informazione è Seneca, che lo frequentò con costanza. Leggiamo alcuni eloquenti passi, tratti dal De beneficiis, dalle Epistole e dal De providentia.

Demetrio il Cinico [è] filosofo di grande importanza, a mio giudizio, anche se paragonato ai sommi. (Seneca, De benef., VII, 1, 3)

Poco fa ho citato Demetrio [...] uomo di saggezza completa (anche se egli sia il primo a negarlo) e di incrollabile costanza nei suoi propositi, di un’eloquenza quale si addice ai tempi più seri, cioè non preoccupata della ricerca degli ornamenti e della sceltezza dell’eloquio, ma tutta protesa all’esposizione dei concetti con vigorosa passione, secondo l’ispirazione. Sono sicuro che a quest’uomo la Provvidenza ha dato una tale vita e una tale facoltà di eloquio perché a noi non mancassero né un esempio, né un rimprovero. (Seneca, De benef., VII, 8, 2)

Io sempre porto intorno con me Demetrio il migliore degli uomini, lascio da parte i grandi porporati e converso con lui seminudo e lo ammiro. E come non ammirarlo? Ho constatato che nulla gli manca. Qualcuno può disprezzare tutto, ma nessuno c’è che possa avere tutto. La via più breve per giungere alla ricchezza è disprezzarla. Quanto al nostro Demetrio, egli vive non come chi disprezza ogni cosa, ma come chi ne ha lasciato ad altri il possesso. (Seneca, Epist., 62, 3)

Demetrio sosteneva la necessità di ridurre la filosofia alla conoscenza di pochi precetti e alla rigorosa applicazione di essi. Ci sono, sì, egli diceva, molte conoscenze interessanti e la cui acquisizione reca diletto, ma solo poche sono quelle essenziali e queste poche sono di facile apprendimento, giacché la natura le ha poste provvidamente a portata di tutti. Ed ecco quali sono questi precetti essenziali:

Se il nostro animo ha imparato a disprezzare tutto ciò che è dovuto al caso, se ha saputo dominare il timore, se non aspira con avide speranze a cose impossibili, ma ha imparato a chiedere a se stesso ogni ricchezza, se si è liberato dal timore degli dei e da quello degli uomini e sa che dagli uomini non c’è molto da temere, dagli dei nulla; se l’uomo disprezzando tutto ciò che adorna ma contemporaneamente tormenta la nostra vita è arrivato a capire chiaramente che la morte, di mali, non ne origina nessuno ma ne elimina molti; se si è dei tutto dedicato alla virtù e trova agevole qualunque strada essa gli indica; se, creatura destinata alla vita associata e generata per la collettività, considera il mondo come la casa comune di tutti e ha aperto la sua coscienza agli dei e in ogni circostanza, si comporta come se fosse esposto al controllo di tutti temendo più il suo stesso giudizio che quello di altri - allora quegli, sottrattosi alle tempeste, si è fermato sulla terra ferma, sotto un cielo sicuro ed è arrivato alla perfetta conoscenza di ciò che è utile e necessario. Tutte le altre cose servono a dilettare il nostro tempo libero: si può anche ricorrere ad esse quando l’animo è già al sicuro, ma esse lo affinano solamente, non lo temprano. (Seneca, De benef., VII, 1, 7)

In questo contesto riacquista tutto il suo antico significato il ponos, ossia la "fatica", e l’esercizio che tempra l’animo e lo rende capace di affrontare tutte le avversità della vita. Un’esistenza che non ha mai subito gli urti della sorte e non si è mai cimentata con le avversità, per Demetrio, è "un mare morto", per cui, di conseguenza, l’uomo che non è stato mai colpito da avversità, lungi dall’essere felice, come credono i più, è, in realtà, un infelice. Seneca riferisce, infatti, questo suo motto:

Nulla mi sembra più infelice di un uomo a cui non è accaduta mai nessuna avversità. (Seneca, De provid., VII, 3)

Infine, è da rilevare come il cinismo di Demetrio si colori di un considerevole sentimento religioso, molto vicino a quello che già aveva ispirato lo stoico Cleante.

È ancora Seneca che ci riporta la testimonianza più significativa in proposito:

Mi ricordo di avere udito anche questo discorso animoso di Demetrio, uomo di fortissimo cuore: " 0 dei immortali, per una sola cosa posso lamentarmi di voi: perché non mi rendeste nota in anticipo la vostra volontà. Infatti, sarei venuto io per primo a sostenere quelle prove che sono qui a sostenere ora chiamato da voi. Volete prendere i miei figli? Per voi li ho messi al mondo. Volete qualche parte dei corpo? Prendetevela. Non "vi prometto una gran cosa: presto lo lascerò tutto intero. Volete il mio spirito vitale? Perché non dovrei essere prontissimo a farvi ricevere quel che voi stessi mi deste? Porterete via conforme alla mia volontà tutto ciò che mi avrete chiesto. Che cosa è dunque in questione? Avrei preferito offrire anziché consegnare queste cose. Che necessità c’era di togliermele? Potevate riceverle. Ma neppure ora voi me le toglierete veramente, perché nulla si rapisce se non a chi vuoi trattenere". (Seneca, De provid., V, 5)

E’ una concezione, questa, la quale esprime un particolare sentimento della vita, che rivive anche nel neostoicismo romano, ossia nello stesso Seneca e, soprattutto, in Epitteto.


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