GEORGES DUBY

 

A cura di Antonella

 

 

DUBY


Georges Duby (1919-1996) è stato uno dei più grandi storici del Medioevo. Ha insegnato per oltre vent’anni Storia delle società medievali al Collège de France.
Con Michelle Perrot, è autore di Immagini delle donne e ha diretto i cinque volumi della Storia delle donne in Occidente. Con Philippe Ariès ha curato i volumi della Vita privata. E’ stato uno dei principali promotori del rinnovamento metodologico della disciplina storica che faceva capo all'Ecole des Annales, concentrandosi in particolare sulla dimensione antropologica della ricerca storica. Fondamentali sono i suoi studi sulla mentalità  e sulla vita quotidiana del Medioevo, tra i quali Lo specchio del feudalesimo. Sacerdoti, guerrieri e lavoratori (1978) e Storia della vita privata (1985-1987).

 

_ METODOLOGIA DELLA STORIA

Il sogno romantico di una restituzione integrale del passato e il senso della storia

Per Duby il sogno di una ricostruzione integrale del passato è del tutto superato e questa idea si sarebbe rivelata assolutamente impossibile. Da almeno quarant'anni gli storici, i filosofi che riflettono sulla storia hanno stabilito con assoluta certezza che essa non era altro che un'illusione romantica. Infatti Duby ritiene che si possa scorgere soltanto una piccola parte del passato ed è forse illusorio anche credere di poter pervenire alla verità, di poter cogliere i genuini atteggiamenti degli uomini di altri tempi. D'accordo con Fernand Braudel sostiene che lo storico sia il contrario del futurologo: guarda verso il passato, tenta di comprendere il passato, e ci riesce appena. Per esperienza si rende conto che tutte le previsioni che si possono fare in base ai dati storici, risultano false, tutte le curve di estrapolazione che si possono tracciare per prevedere il futuro entrano in contraddizione con ciò che succede veramente. Lo storico non è un indovino, non ha lezioni da dare, non può aiutare la gente a prevedere il futuro. Appartenendo alla generazione che ha vissuto il crollo delle utopie rifiuta l’idea di un senso della storia poiché si tratta di un movimento che gli uomini non possono dominare perfettamente, che li trascina e di cui sono anche un po' vittime. Gli storici non hanno più, come i loro predecessori del XIX e dell'inizio del XX secolo, lezioni da dare, non hanno, in quanto storici, delle consegne di azione politica da proporre alla luce del passato. Tuttavia la storia, rimane una disciplina di primaria importanza, perché è una scuola di lucidità. La critica storica libera la testimonianza da tutto ciò che la deforma e la ingombra e permette di avere gli occhi aperti sulla realtà: la realtà sociale, la realtà politica, la realtà intellettuale. La storia in particolare spesso permette di riprendere coraggio e fiducia di fronte agli eventi, perché insegna che anche le crisi più gravi possono essere superate.

Gli storici, cosiddetti realisti

La storia è tra le scienze umane quella che ha costruito l'armatura del suo metodo prima delle altre, nel secolo XVII, quando ci si è accorti che bisognava trattare in un certo modo le fonti documentarie, cioè raccogliere tutte quelle disponibili, non modificare le loro rispettive posizioni, criticarle una per una e sottoporle a verifica per tentare di liberare l'indizio, la testimonianza da tutte le scorie che la ricoprono e la mascherano. C'è un metodo di analisi della veracità del segno che è estremamente importante e che ci impegna a impiegare tutti i procedimenti tecnici elaborati recentemente sia per leggere il manoscritto, sia per stabilire la data di un reperto archeologico. Una volta fatta questa critica bisogna usare le testimonianze allo scopo di ricostituire un racconto. A questo proposito i filosofi, e in particolare il grande filosofo francese Paul Ricoeur, hanno stabilito che ogni discorso storico è fondato su una struttura narrativa, su un racconto, su un intreccio, e che anche quando si tratta di descrivere l'evoluzione dei prezzi durante il XIX secolo, o la natura delle pratiche religiose a un certo momento della storia, i prezzi o la devozione agiscono come personaggi in un racconto romanzesco. Bisogna dunque ricostruirlo con grande discrezione.

Lo storico è necessariamente obbligato a fare appello alla propria immaginazione, perché le testimonianze di cui dispone sono discontinue, intervallate da vaste lacune, da vuoti, e questi vuoti bisogna colmarli e non si possono colmare che mediante l'immaginazione. Ma l'immaginazione deve essere strettamente controllata dalla ragione e da una critica e da un'autocritica che lo storico deve continuamente esercitare su se stesso per difendersi dalle divagazioni nelle quali la sua immaginazione, se non fosse vincolata, lo trascinerebbe.

Il ruolo delle scienze umane, in particolare la sociologia, l'antropologia e la psicoanalisi nel metodo storico

Una delle lezioni più importanti della Scuola storica francese, le Annales, è che gli specialisti in scienze umane dovrebbero lavorare tutti in comune, dovrebbero formare una comunità di ricerca e prestarsi vicendevole aiuto. Lo storico per fare il suo lavoro è obbligato evidentemente a tener conto di tutte le innovazioni che vengono dal campo delle scienze umane e ormai anche dalle scienze naturali. Ma la cosa più importante per lo storico non è, a mio avviso, la psicologia né la psicoanalisi. È molto difficile ricostruire quello che gli uomini del passato avevano in mente. E, del resto, ogni psicoanalisi è una analisi individuale: non c'è un inconscio collettivo, e, di conseguenza, l'inconscio individuale degli uomini del passato è praticamente inaccessibile. E allora, quali sono le scienze ausiliarie più utili alla storia? Innanzi tutto l'economia, evidentemente, poiché, alla base dell'evoluzione delle società umane, c'è una trasformazione delle condizioni materiali di vita, cioè delle condizioni di produzione e di distribuzione della ricchezza. L'economia, dunque, propone delle riflessioni; ma, nella pratica, bisogna sapersi guardare da ciò che c'è di troppo teorico nelle proposizioni degli economisti. Lo storico deve portare avanti il suo lavoro in modo pragmatico e non legarsi a modelli precostituiti. I modelli li costruirà dopo, ma nella sua ricerca procede affrontando direttamente i documenti. Certo,l'economia ha avuto certo una parte importante, soprattutto negli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta del XX secolo. Oggi, il suo ruolo non è più tanto importante, se non in alcuni settori storiografici di limitato interesse. Al contrario, la geografia e l'antropologia sono per Duby le due scienze umane fondamentali. La geografia, perché evidentemente l'uomo è inseparabile dal suo ambiente e bisogna ricollocarlo continuamente, non solo nel suo tempo, ma nello spazio che occupava. Quello spazio deve essere analizzato con cura. Anche l'antropologia ha un ruolo importante poiché comprende tutto quello che i ricercatori mettono in evidenza in società lontane da noi o in ciò che resta in Occidente della società tradizionale, a proposito del ruolo che hanno le strutture di parentela, la famiglia, le ideologie nei comportamenti umani. Sono tutte cose che hanno una importanza fondamentale. Duby ha spesso  dichiarato il debito che ha contratto, in primo luogo, verso i geografi - ha cominciato con gli studi di geografia ed è arrivato alla storia attraverso la geografia; e, in secondo luogo, verso gli antropologi: Lévi-Strauss e tutti i suoi discepoli, che hanno lavorato sulle società africane o sulle società dell'Oceano Pacifico. Le loro ricerche sono state utili per la funzione della moneta nella società del Medioevo o i rapporti che intercorrevano tra gli uomini e le donne nella stessa epoca.

Il ruolo per la moderna storiografia del marxismo e della scuola marxista nelle moderna storiografia

Duby è largamente debitore verso il pensiero di Marx per la riflessione. I lavori di Marx meritano attenzione, in special modo per i periodi che Marx conosceva meglio, che aveva approfondito, come il XVIII e il XIX secolo. È evidente che, per i periodi più antichi, né Marx né Engels erano in grado di riflettere in modo utile, fecondo, perché i dati forniti dagli storici erano insufficienti per impostare correttamente i problemi. Ma per il XVIII e il XIX secolo è evidente che il pensiero marxista è stato un fermento di vitalità molto importante della ricerca storica. Il marxismo, come ausilio nel porre domande autentiche intorno al passato, non è morto, come si dice. È possibile che sarà ancora per molto un punto di riferimento utile nella problematica storica, per costruire la nostra problematica.

Il metodo storico può salvare dal rischio della manipolazione della memoria, e dunque del passato

La storia è sempre stata uno strumento politico. Sempre, in tutti i tempi, gli storici, certi storici almeno, sono stati al servizio del potere. Con la nascita delle grandi potenze la storia, a poco a poco, è arrivata a costituirsi come genere letterario. E gli uomini, che detenevano il potere, hanno sempre cercato nella storia delle giustificazioni e il mezzo per trascinare il popolo con l'esempio del passato e con il miraggio di utopie le cui radici affondavano nel passato. Questa situazione non è cambiata: c'è sempre una manipolazione del ricordo, della memoria storica, con la conseguenza di arrivare a dei controsensi, rispetto a ciò che insegnano le fonti.

Il nazionalismo, questo veleno che infettava l'Europa di Duby, e non solo l'Europa ma l'intero pianeta, poggia essenzialmente su una memoria manipolata. Perciò l'insegnamento della storia ha un ruolo molto importante nell'evoluzione dei metodi didattici. Per esempio, nella Terza Repubblica alla fine del XIX secolo, in Francia, l'insegnamento della storia è stato lo strumento fondamentale per introdurre nelle menti dei giovani, fin dalla scuola elementare, il sentimento nazionale: l'idea di appartenenza ad una comunità e dei doveri di fronte ad essa, e in particolare il dovere di partire, seguendo i loro fratelli maggiori, alla conquista dell'Alsazia e della Lorena. O, al contrario, per restare all'esempio della Francia, la storia è sembrata a volte sovversiva e così il regime totalitario francese, il regime di Vichy del maresciallo Pétain, ha fatto di tutto per ridurre l'insegnamento della storia o comunque non si insegnava più la storia del passato più recente. Ci si fermava prima e si autorizzava lo sguardo sul passato solo per i periodi più antichi, perché non si potessero acquisire elementi di riflessione sull'attuale abiezione del potere. 
Dunque la storia è sempre stata manipolata. Il dovere degli storici è rettificare quelle manipolazioni. Se la storiografia ha un ruolo nella difesa della pace e della democrazia, deve puntare il dito sulle deformazioni, deve dire che le cose non stanno in un certo modo, deve controllare che i manuali scolastici siano veramente in accordo con la realtà.

_  STORIA SOCIALE E IDEOLOGIA DELLE SOCIETA’

Per comprendere l’organizzazione delle società umane e per riconoscere le forze che le fanno evolvere occorre prestare ugualmente attenzione ai fenomeni mentali,il cui intervento indiscutibilmente non è meno determinante di quello dei fenomeni economici e demografici. Gli uomini infatti regolano il loro comportamento in funzione non della loro reale condizione ma dell’immagine che se ne fanno e che non è mai il rispecchiamento fedele. Si sforzano di conformarla a modelli di comportamento che sono il prodotto di una cultura e che nel corso della storia si adattano alle diverse realtà materiali. Uno dei compiti principali delle scienze dell’uomo è quindi quello di misurare, in conseguenza di una totalità indissolubile di azioni reciproche, la rispettiva pressione delle condizioni economiche, e di in insieme di convenzioni e di precetti morali, dei divieti che essi pongono e degli ideali che propongono. Il contributo degli storici è decisivo; infatti i sistemi di valori che i procedimenti educativi trasmettono apparentemente senza cambiamento hanno un loro andamento e la loro storia. In questo campo si inserisce necessariamente lo studio delle ideologie; si intende per ideologia un sistema di rappresentazioni (immagini, miti,idee o concetti a seconda dei casi) dotato di un’ esistenza e di un ruolo storico in seno a una data società. Le modalità d’essere delle ideologie :                                                                     Globalizzanti: le ideologie appaiono come sistemi completi e globalizzanti dal momento in cui pretendono di dare una visione d’insieme della società, di dare una risposta a tutte le domande. In questo senso l’ideologia si ricollega a vasti sistemi di credenze (le cosmologie,le teologie..). basti pensare al sostrato ideologico cristiano dell’Europa medievale.                                              Rassicuranti e deformanti: per poter rassicurare l’ideologia deve sorvolare su alcune cose, deve far emergere certi aspetti della vita  far tecere cio che mette in discussione l’ideologia stessa e la sua funzione rassicurante.                                                                                                                   Molteplici e concorrenti: E’ una conseguenza dell’ideologia globalizzante; le ideologie sono concorrenti perchè fra ideologie globalizzanti non ci può essere interscambio: l’ideologia cristiana non pùò essere in rapporto di interscambio con un’altra ideologia religiosa, fra etnie separate possono esserci gravi antagonismi.                                                                                                      4.Stabilizzatrici: le ideologie stabilizzano e integrano una società. Anche se un’ideologia può sembrare rivoluzionaria e utopica, coloro che la sostengono ritengono che l’ordine che essa possa stabilire sia definitivo. Rientrano in questa casistica anche i sistemi di rappresentazioni che mirano a conservare i privilegi acquisiti dai ceti dominanti. Non è detto che ci sia una condizione storica (nll’ideologia cristiana Dio è senza tempo). La paura del nuovo che rischia di far rompere gli equilibri raggiunti fa si che alcune società si rinchiudano in un “guscio di costumi” :il conservatorismo è appoggiato dai ceti dominanti che si mostrano ben disposti solo verso cambiamenti superficiali (l’estetica, la moda..)                                                                                            Un ceto dominante produce un certo tipo di cultura che non gli è controproducente; persino la cultura popolare è prodotta e diffusa da chi ha il potere, non è plausibile una cultura nata da chi non ha il potere. I modelli culturali prodotti dai ceti potenti si stabiliscono e si spostano progressivamente verso ceti più estesi e più umili, da essi affascinati e iniziano ad assimilarli. La cultura prodotta al vertice della gerarchia sociale si stabilisce.

Vista cosi, la storia delle ideologie è difficile da ricostruire, in quanto ai margini della società ci sono tutti quelli che non fanno parte del sistema produttivo e della produzione culturale.                                                                                      Inoltre le ideologie possono anche trasformarsi: ciò accade quando penetrano culture straniere ma anche quando devono necessariamente adattarsi alle situazioni storiche per essere più funzionali e per sopravvivere. A volte le ideologie cambiano perché la vita vissuta ha una certa forza; questa porta a far cambiare l’ideologia. Di alcuni sistemi ideologici addirittura non restano che poche tracce, fugaci e alterate. E’il caso delle ideologie popolari e di quelle sovversive e contestatrici: sono state perseguitate e represse e hanno lasciato vaghe tracce nella memoria, senza potersi esporre o espandersi. Ma persino l’ideologia dominante è di difficile accesso perché non ha testimonianze sicure, imparziali e complete. Lo storico delle ideologie deve analizzare ogni documento e ogni tipo di testimonianza e deve fare moltissima attenzione a cio’ che è stato taciuto. I silenzi della storia non significano assenza ma omissione, ma anche il significato delle omissioni deve essere messo in luce.

 

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