ETICA ED ESTETICA IN SCHILLER



Baumgarten e Shaftesbury

 

 

“ Ora, quest’ unità di universale e particolare, di libertà e necessità, di spirituale e naturale, che Schiller concepì scientificamente come principio ed essenza dell’ arte e che si sforzò incessantemente di chiamare a vita effettiva con l’ arte e l’ educazione estetica, quest’ unità dunque è stata resa poi, come idea stessa, a principio della conoscenza e dell’ esistenza, e l’ idea è stata riconosciuta come il solo vero e reale. ( … ) “, Hegel, “  Estetica “,  Introduzione all’ estetica. Concetto del bello artistico.

 

 

Uno dei problemi fondamentali della ricerca filosofica di Schiller, è l’ unita culturale ed antropologica dell’ uomo: Pareyson nota come la produzione concettuale di Schiller sia precedente a quella letterale – teatrale ed il bello divenga l’ unione del sensibile con il soprasensibile [ chiara influenza di Shaftesbury ].

Nella “ Filosofia della fisiologia “ del 1779, conduce un’ indagine metafisica sulla conoscenza umana, distinguendo il sentimento dalla percezione ( sentimento come modificazione interiore [ das Gefül ] e percezione come modificazione esterna [ Sinn ], questo binomio sarà presente anche nella “ Critica del giudizio di Kant “ ) ; all’ interno del “ Saggio sul nesso della natura animale dell’ uomo  con  quella spirituale “ del 1780, Schiller sostiene una teoria della sensibilità di forte sapore materialista, facendo una bipartizione tra la “ connessione fisica “ e la “ connessione filosofica “ ( lo spirito può esprimersi solo attraverso il corpo ).

Sempre in questo scritto, Schiller critica sia lo stoicismo che l’ epicureismo, come prospettive filosofiche che unidimensionalizzano una sfera dell’ essere umano a discapito dell’ altra, lo stoicismo lo spirito a danno della materia, l’ epicureismo la materia contro lo spirito.

Si tratta quindi di concepire un’ antropologia tale che colga la reale unità umana, dove il sensibile ed il soprasensibile si intrecciano, in una dialettica di compenetrazione reciproca.

I piaceri e dispiaceri dello spirito si manifesteranno fisiologicamente, quelli di carattere corporeo avranno degli effetti su quelli soprasensibili.

Nelle “ Lettere filosofiche “ [ opera è divisa in cinque parti ] del 1786, compaiono tematiche d’ ispirazione neoplatoniche, agostiniane, ma in particolar modo si avverte l’ influenza di Shaftesbury.

Nella prima parte intitolata “ Il mondo e l’ essere pensante “, la natura – è vista da Schiller - non come un meccanismo alla maniera dei “ philosophes “,  bensì è il geroglifico di Dio e sua espressione [ si realizza un parallelismo tra la Dio e l’ artista ].

Nella parte chiamata “ L’ idea “ ( rispettivamente la seconda ) introdurrà quel che Heidegger chiamerà identità metafisica “ vero [ conoscenza ] – bello [ estetica ] – buono [ etica ].

La perfezione dell’ universo è una meta esistenziale – conoscitiva [ coinvolge anche il problema della felicità ] dell’ uomo; noi non possediamo a causa della nostra stessa struttura ontologica – finita il concetto dell’ onnipotenza di Dio.

La terza parte dell’ opera, “ L’ amore “ come dice lo stesso titolo tratta dell’ amore come testimonianza dell’ unità dell’ universo, Schiller lo definirà anche “ simpatia universale “ ed “ entusiasmo cosmico “, [ quest’ ultimo termine di forte ascendenza shaftesburyana ].

L’ amore diviene un’ intelaiatura metafisico – ontologica che pone in correlazione ogni espressione singola della finitudine e della particolarità dell’ universo, contrapponendosi così all’ egoismo che erige il centro in se stesso e fa naufragare la vita in una desolata solitudine: la massima manifestazione dell’ Amore è il sacrificio di sé, che pone il singolo nella totalità eterna in correlazione armonica con tutte le particolarità.

In il “ Sacrificio di sé “ [ quarta parte dell’ opera ] Schiller espone una visione panteistica, infine nell’ ultima parte “ Dio “ la natura è l’ auto – oggettivazione di Dio, mediante la quale Dio si conosce.

Nell’ ultima parte intitolata “ Dio “, Schiller dà una veste sistematica al suo panteismo, che come abbiamo avuto modo di vedere poc’ anzi ha un forte sapore shaftesburyano.

Novalis, sosterrà che l’ uomo è il “ punto inferiore “ mediante il quale Dio conosce se stesso; l’ ipotesi monoteistica secondo Schelling ed Hegel è più antica del politeismo [ Monoteismo relativo – Politeismo – Monoteismo assoluto ], il panteismo di Goethe ha un’ impostazione differente rispetto a quello di Schiller, è fondato sul “ Deus sive natura “ di Spinoza.

Schiller e Goethe pur avendo un’ impostazione filosofica differente, rispondono in maniera similare alla domanda sul perché Dio si scinda in mille manifestazioni differenti.

Goethe risponde dicendo, che Dio si pluralizza nella finitudine per godere di sé, Schiller nella poesia “ L’ amicizia “ dice: “ Era senza amici, il grande signore dei mondi: sentì una mancanza e per ciò creò gli spiriti, che fossero felici specchi della sua felicità. L’ essere supremo non trovò nulla che gli fosse uguale: dal calice dell’ intero regno degli esseri sale spumeggiando verso di lui la sua infinità“.

Questi versi saranno riadattati da Hegel a conclusione della “ Fenomenologia dello spirito “, dove si dice che senza il percorso antagonistico – conflittuale della coscienza mediante fasi di alienazione lo spirito assoluto si ridurrebbe a “ inerte solitudine “.

Hegel chiarirà ciò in un difficile passo, dicendo che questo sapere assoluto dello spirito << è il suo insearsi [ attuazione di sé, come identità atemporale di certezza e verità ] , nel quale lo spirito abbandona il suo esserci [ le esperienze fenomenologiche ] e ne consegna la figura alla memoria >>, giacché << la meta di quella successione è la rivelazione del profondo, e questa rivelazione è il concetto assoluto >>.

L’ individuo in Goethe è un tramite della natura, mediante la quale quest’ ultima prende coscienza di sé, la morte dei singoli esseri è una manifestazioni di creatività e rinnovamento, solo nell’ alienazione del finito la divina infinità diviene auto - cosciente .

Schiller non nutre un così forte interesse verso l’ unitotalità della Natura – come avviene in Goethe -, mediante l’ Amore si crea una scala che conduce il singolo ente particolare in una dimensione eterna e totale.

Kant nel “ De mundis “ del 1770 tiene una posizione che sarà oggetto di avversione - critica da parte di Schiller, attuando una divisione tra la “ sensibilitas “[ può conoscere il fenomeno ] e la “ rationalitas “ [ può conoscere il noumeno a differenza del Kant della prima Critica ] in una veste filo - trascendentale, quest’ opera presenta la  riduzione della sensibilità a mera recettività.

Schiller durante il corso della sua attività filosofica dialogherà in continuazione con il pensiero kantiano, e dirà di aver compreso il pensiero di Kant solo mediante la “ Critica del giudizio “ ( che lesse nel 1791 ) una sorta – secondo le parole di Schiller – di auto – correzione da parte dello stesso Kant.

La poesia diviene nel pensiero schilleriano la prima educatrice dell’ umanità, una tesi questi anticipata genialmente da G. Vico nella “ Scienza nuova “.

Schiller nota in un suo componimento poetico [ 1789 ], come nonostante Dio abbia cacciato l’ uomo dall’ Eden, la bellezza si sia fatta mortale, in quanto opera degli artisti.

La natura prima dell’ opera degli artisti è selvaggia  e disordinata, il loro operare ha una funzione teologica, ponendosi come prosecuzione dell’ attività divina mediante la piena fusione tra l’ intuizione sensibile e l’ intelletto.

Nelle “ Lettere sull’ educazione estetica dell’ umanità “, Schiller definirà “ barbari “ i moderni che sacrificano l’ arte ponendola su un piano ineffettuale, Otto riprendendo  questa tesi schilleriana dirà che la conquista della cultura si realizza con la “ passione bella “.

L’ agire del poeta ha un significato etico – estetico [ una fondazione etico – estetica si viene a creare mediante la libertà ], Dio ha donato alla natura tali uomini, affinché essa abbandoni la sua oscurità.

L’ amicizia è la forza coordinatrice dell’ universo fisico e spirituale, senza di essa la vita non produrrebbe bellezza e realtà; si viene quindi a creare un’ opposizione tra l’ Amore, l’ amicizia e la gioia contro l’ egoismo, la solitudine e la morte.

L’ Amore [ che Schiller esalta come gioia e tripudio ] è un processo di infinitizzazione della finitudine, di divinizzazione del mondo, l’ Assoluto solo in questo modo ritorna in sé.

Nel 1789 fa la sua comparsa l’ ultima “ Lettera filosofica “, che completa la prospettiva di Giulio, le idee di Raffaele oltre che risentire dell’ influsso kantiano, portano la riflessione su un piano più elevato rispetto a quello precedente.

La contemplazione estetica [ bello e contemplabile risulta essere il fenomeno visto nella sua libertà ] è l’ anticamera della creatività artistica, creatività che si pone in linea continuativa con quella divina [ possiamo scorgere un’ analogia uomo – Dio, dove il primo termine del binomio è come direbbero i medioevali un “ secundus artifex “ ]; Schiller a questo punto compie una differenziazione tra la creazione umana e divina, quest’ ultima – ossia la Natura – non è “ la pura espressione di un ideale “, ed inoltre le parti del tutto non subisco la forza coercitiva dell’ unità impostagli dall’ artista, come avviene invece nell’ opera di matrice umana.

L’ anima che contempla la bellezza diventa essa stessa bella, partendo dalla contemplazione si perviene alla creazione, quest’ ultima non riuscirà mai a raggiungere l’ ideale.

L’ importanza di una coesione coordinatrice tra la sensibilità e l’ intelletto è resa manifesta poeticamente nei versi schilleriani contenuti in “ Gli artisti “, qui si specifica che l’ arte ed il problema estetico sono unicamente di dominio umano, se possiamo trovare l’ astuzia nel serpente, l’ industriosità nelle api e la scienza negli spiriti superiori, ciò non possiamo farlo per la contemplazione – creazione artistica.

La creazione interna all’ arte diviene l’ inveramento autentico della contemplazione: l’ individuo in un primo momento coglierà e riprodurrà la bellezza della natura per poi elevarsi mediante la pittura, la scultura, l’ architettura, la musica ed infine la poesia.

L’ essere umano gettato nella caos di una sensibilità ferina, di una selva dove i sentieri si manifestano come ciechi desideri, comincia ad aspirare alla virtù ed alla verità solo quando fa il suo trionfale ingresso nell’ arte e nella bellezza: “ Solo attraverso la porta d’ oriente penetrasti nel regno della conoscenza. “

Si comprende quindi come l’ arte e la bellezza ad essa correlata svolgano un ruolo di mediazione e rappresentino nello stesso tempo la perfezione dell’ umanità, una sorta di trait d’ union tra la fanciullezza della sensibilità e la maturità dell’ intelletto.

Gli artisti hanno un ruolo di incivilimento per l’ umanità nella misura in cui danno forma ed armonia a ciò che prima appariva avvolto dal caos e trasformano l’ interesse in amore disinteressato.

La poesia ed il godimento estetico sono funzionali all’ elevazione spirituale da parte dell’ individuo, nella poesia intesa come dimensione pedagogica in relazione alla totalità armonica del soggetto umano, sono presenti allo stato aurorale le varie religioni, filosofie e morali.

L’ arte come prima ed ultima educatrice supera dialetticamente il desiderio ed il dovere, trasformando il primo in amore e il dovere [ legge ] in spontaneità;  la bellezza armonizza l’ interiorità e l’ esteriorità mediante una moralità non coercitiva,  gli artisti come Dio con la natura sono capaci di unire la necessità con la bellezza.

L’ arte non è inferiore alla filosofia, quest’ ultima trova nell’ operare degli artisti un valido ed importante appiglio, un pensiero filosofico alleato con la poesia diverrà armonico e completo.

Si è detto in precedenza come la filosofia kantiana rappresenti per Schiller una dimensione di sviluppo critico del suo pensiero, il confronto con l’ autore delle tre opere critiche è funzionale sia in termini metodologici che teoretici, si potrebbe dire hegelianamente che molte delle idee schilleriane erano già presenti prima dell’ incontro con Kant, solo che con quest’ ultimo assumono una vesta filosofica, un risveglio “ concettuale”.

Due saranno i cardini del discorso schilleriano: da un lato il sublime patetico come essenza dell’ attività tragica e dall’ altro il bello come fondamento oggettivo, come libertà nel fenomeno.

In “ Sul fondamento del piacere prodotto dagli oggetti tragici “ sostiene che il fine dell’ arte è il piacere, piacere che deve porsi in correlazione con la questione della moralità, tale rapporto risulta decisivo per comprendere la riflessione schilleriana.

Schiller realizza una divisione decisiva tra il piacere fisico – sensibile, ove l’ anima è sottoposta al meccanismo naturale, ed il piacere spirituale – libero che presenta una sensazione prodotta dalla rappresentazione.

Maggiore interesse riveste il piacere libero, suddiviso a sua volta in: “ morale “, in quanto la rappresentazione del bene occupa la ragione, “ intellettuale “, se la rappresentazione del vero e del perfetto occupa l’ intelletto ed infine “ estetico “, dove il bello, il commovente ed il sublime occupano l’ immaginazione.

È interessante notare come questa tripartizione sia funzionale alla divisione delle varie arti, che saranno belle nella misura in cui porranno in correlazione l’ intelletto con l’ immaginazione, ed emotive [ chiamate anche da Schiller del “ sentimento “ o del “ cuore “ ] se si verrà a creare un rapporto tra ragione ed immaginazione.

Il “ sublime “  - scrive Schiller [ “ Del sublime “ ] – è tale in quanto c’è un’ interconnessione tra la natura sensibile per la quale siamo in uno stato di dipendenza e la natura razionale che si pone come libertà.

Kant nella terza critica sosteneva che : “Il bello della natura si riferisce alla forma dell'oggetto, la quale consiste nella limitazione. Il sublime invece può riferirsi anche ad un oggetto informe, in quanto in esso, o per suo motivo, sia rappresentata un'illimitatezza a cui si aggiunga il pensiero della sua totalità.

L'oggetto stesso può essere rappresentato come sublime in duplice modo: sublime matematico e sublime dinamico. Noi diciamo sublime matematico ciò che è assolutamente grande, ciò che è grande al di là di ogni comparazione.

Se poi la Natura deve essere giudicata da noi dinamicamente sublime, deve essere rappresentata come tale da provocare timore.

Il piacere del sublime è diverso da quello del bello; questo infatti produce direttamente un sentimento di esaltazione della vita; quello invece è un piacere che ha solo un'origine indiretta, giacché esso sorge dal sentimento di un momentaneo arresto delle energie vitali, seguito da una più intensa loro esaltazione.

Possiamo aggiungere alle formule precedenti della definizione del sublime anche questa: Sublime è ciò di cui la sola possibilità di esser pensato dimostra la presenza di una facoltà dell'animo nostro che trascende ogni misura sensibile.

Il sentimento del sublime nella Natura è dunque rispetto per la nostra propria destinazione, che ci rende per così dire intuibile la superiorità della determinazione razionale delle nostre facoltà conoscitive anche sul massimo potere della sensibilità.

La sublimità dunque non sta in nessuna cosa della Natura, ma solo nell'animo nostro, in quanto noi possiamo riconoscerci superiori alla Natura. “

Ritornando a Schiller egli distingue due istinti, il primo è l’ istinto della rappresentazione inteso come fonte di attività e conoscenza, il secondo è l’ istinto della conservazione, finalizzato a conservare il nostro “ stato “ esistenziale.

L’ autore dei “ Callia o sulla bellezza “ quasi kantiana parla di un sublime teoretico dove entra in gioco l’ istinto della rappresentazione [ la natura nullifica le nostre pretese conoscitive, ma noi riusciamo a liberarci dal giogo della natura a livello teoretico ], e di un sublime pratico quando la natura si presenta come contrastante la continuazione della nostra esistenza, ma nello stesso tempo la ragione pratica ci libera dalle condizioni fisiche.

Nel sublime teoretico viene vinta la nostra immaginazione ma non la ragione, in quello pratico la sconfitta sulla corporeità non si estende alla volontà: un oggetto è teoreticamente sublime in quanto implica l’ idea dell’ infinito, come ad esempio un oceano in quiete, è sublime nell’ accezione pratica se implica l’ idea di un pericolo terribile, quale può essere un oceano in tempesta.

Il sublime genera un piacere misto, consiste in un disaccordo [ immaginazione ed intelletto ] e in un accordo [ immaginazione e ragione ], dove viene sacrificata la finalità sensibile a quella razionale.

Un supremo piacere morale sarà accompagnato da lotta e dolore, Schiller sostiene che l’ istinto della conservazione ha un più alto valore rispetto a quello della rappresentazione, inoltre il sublime pratico eleva la ragione più quanto lo faccia quello teoretico,  in quanto il terribile attanaglia maggiormente che l’ infinito.

L’ oggetto deve essere realmente terribile tale da far scaturire un’ inferiorità della nostra natura sensibile: l’ astuzia, la tecnica e l’ abilità sono mezzi naturali che non portano verso una superiorità soprasensibile, la natura dominata dalla tecnica produce un piacere logico – intellettuale e non estetico [ il Nilo domato dagli argini ].

Il guardare sulla riva del mare la tempesta o contemplare la morte sono casi in cui l’ oggetto si presenta come terribile salvaguardando nella dimensione attuale l’ osservatore, possiamo dunque dire che  una premessa affinché si possa parlare di sublime sia la non attualità del pericolo della realtà offerta dalla potenza naturale.

Schiller dopo aver fatto numerose distinzioni mediante una metodologia dialettica che garantisce nel binomio che viene man mano analizzato ciò che dà maggiore dignità all’ uomo, giunge a fare una divisione duale del sublime in: contemplativo e patetico.

Nel pratico - contemplativo [  avviene il privilegiamento della dimensione soggettiva contemplante ], la contemplazione istituisce non solo la sublimità ma anche la temibilità dell’ oggetto, per quanto concerne il sublime pratico patetico [ le condizioni del sublime sono oggettive ], l’ oggetto è in se stesso temibile e la contemplazione ne rileva la sublimità.

Il sublime patetico ha meno estensione e meno sublimità rispetto all’ altro, nel contemplativo la rappresentazione della minaccia e del dolore sono liberi e volontari ed ha gioco forza l’ immaginazione, ciò si differenzia per il sublime patetico dove un “ profondo silenzio “ necessita di un notevole sforzo dell’ immaginazione, maggiore rispetto a quello precedente.

Due sono le condizioni fondamentali del sublime patetico: in primis una viva rappresentazione del dolore che eccita la pietà, ed in secundis la rappresentazione della resistenza al dolore che desta la coscienza la morale.

In “ Sul patetico “ [ 1793 ] Schiller afferma che il patetico è la vera essenza del sublime, solo mediante la rappresentazione della natura sofferente si raggiunge il sublime.

Il patetico come sublime porta in sé una rappresentazione del “ carico completo di dolore “ e la completa resistenza morale, Schiller cita per esplicare questo concetto un passo di Winckelmann quando quest’ ultimo parla del Laoconte: “ la lotta fa il dolore e la resistenza ad esso “.

Se l’ uomo si svincola dalla sensibilità e dalle sue leggi si ha il sublime patetico di disposizione, se l’ individuo con il suo spirito domina la sensibilità allora si ha il sublime patetico d’ azione: la poesia riguarda sia il sublime patetico di disposizione [ intuizione ] che d’ azione [ pensiero ], a differenza delle arti plastiche che riguardano solo quello di disposizione.

Il sublime patetico d’ azione si divide in relazione al fatto che il dolore sia un movente o una forza, scelto o subito: l’ analisi di Schiller è finalizzata a cogliere l’ essenza della tragedia che risiede nel patetico.

La tragedia si fonda sulla rappresentazione della natura sofferente e dalla rappresentazione dell’ indipendenza morale del dolore.

Il sentimento della finalità morale è quello che costituisce il fondamento dell’ emozione tragica, Schiller radicalizza l’ opposizione sensibilità – ragione, drammatizzando l’ aspetto morale di cui la sua manifestazione estetica privilegiata è il sublime.

Il sublime nelle analisi schilleriane è funzionale sia alla tragedia che alla dimensione morale, l’ arte pur non avendo un fine morale svolge un ruolo morale nella misura in cui evidenzia la libertà, che è un cardine della moralità stessa.

Nonostante l’ opposizione del giudizio morale con quello estetico, Schiller analizza con grande attenzione le premesse già presenti in Kant dove il sublime si connette implicitamente ad una superiorità morale [ questo nel sublime dinamico ] sulla natura, andando al di là della dimensione filosofica kantiana.

In “ Callia o la bellezza “ [ 1793 ] Schiller espone le sue idee in termini kantiani, andando al di là dell’ orizzonte aperto da Kant: si tratta di un tentativo di fondare a priori ed oggettivamente il bello, questione che il grande filosofo tedesco non analizzò mai all’ interno della “ Critica del giudizio “, dove il giudizio riflettente estetico, godeva sì di uno statuto soggettivo, ma nel medesimo tempo aspirava all’ universalità.

Ciò che risulta interessante sottolineare è la grande sintesi operata da Schiller, riguardo al problema del bello, nella storia della filosofia comparirebbero due filoni principali a loro volta suddivisi: [ a ] soggettivo, suddiviso in sensistico [ Burke, dove il bello deriva dai sensi ] e razionale [ Kant, e la prospettiva aperta nella terza opera critica ]; [ b ] oggettivo, composto unicamente dal “ razionale “ [ Baumgarten e Meddelson ]. Perché Schiller, colloca Baumgarten all’ interno del filone oggettivistico?

La risposta deriva dal fatto che secondo l’ autore dei “ Callia o sulla bellezza “, Baumgarten ha privilegiato la dimensione logica; inoltre il discepolo di Burke avrà ragione sul discepolo di Baumgarten quando pone il bello nell’ immediatezza

In quale posizione si annovera lo stesso Schiller? Egli sceglie una via di mezzo, tra le due prospettive principali prospettate poc’ anzi, forgia un piano “ sensistico oggettivo “.

Kant, nella “ Critica del giudizio “ [ dove opera un’ interessante distinzione tra senso e giudizio, scorgendo nel giudizio di gusto, “ un libero gioco di fantasia ed intelletto “ ] parla del giudizio estetico come di un giudizio disinteressato, che prescinde dalla realtà dell’ oggetto, Schiller nota acutamente come l’ irrilevanza della realtà dell’ oggetto, tralasci il fine dell’ oggetto che viene ad identificarsi con la perfezione.

All’ interno della sua terza opera critica, Kant distingue la bellezza aderente [ che è in connessione con la finalità ] dalla bellezza libera [ non considera il concetto dell’ oggetto, si tratta della musica senza testo o dei piumaggi colorati di certi uccelli ].

In Schiller avviene una correlazione tra la soggettività e l’ oggettività, la bellezza gode di una dimensione ontologica.

Nella prima lettera ( “ Callia o sulla bellezza “ ), viene trattata la distinzione di Kant tra bellezza libera ed aderente; Schiller nota come ogni cosa sia costituita di “ materia e forma “, ogni oggetto è in sé perfetto, sol nell’ opposizione logica – estetica può risaltare la bellezza.

La perfezione è materia formata [ piano logico ], la bellezza sarà forma della forma, quando Schiller parla di libertà la colloca – a differenza di Kant – nell’ ambito fenomenico.

La perfezione ha una sua autonomia, il bello invece un’ eautonomia fondata [ auto - determinato ed auto – determinante ].

La visione schilleriana trova il suo fondamento nella fusione armonizzante tra sensibilità ed intelletto, nella correlazione tra etica ed estetica. Quale rapporto è presente in Kant, tra l’ etica e l’ estetica? Nel paragrafo 59 della “ Critica del giudizio “ intitolato “ Della bellezza come simbolo della moralità “, compie una divisione triadica tra gli [ a ] esempi intesi come concetti empirici, [ b ] schemi, quando si tratta dei concetti puri dell’ intelletto, ed infine dell’ ipotiposi [ g ], in quanto qualcosa di sensibile, “ è duplice; schematica, quando l’ intuizione  corrispondente ad un concetto dell’ intelletto è data a priori; simbolica, quando ad un concetto che può essere pensato solo dalla ragione, e a cui non può essere adeguata nessuna intuizione sensibile, viene sottoposta un’ intuizione, nei cui confronti il procedimento del Giudizio è soltanto analogo a quello dello schematismo; vale a dire che si accorda con questo soltanto secondo la regola del procedimento, non secondo l’ intuizione stessa, e quindi soltanto secondo la forma della riflessione, non secondo il contenuto “.

Kant proseguendo nell’ analisi, nota come uno stato dispotico sia rappresentato da un mulino a braccia, e tale analogia sta tra le regole mediante le quali riflettiamo sulle due cose e sulla loro causalità.

Proprio seguendo questa premessa, la conoscenza che l’ uomo può avere di Dio, non risulta essere schematica, bensì simbolica, chi pensa di comprendere Dio con il suo intelletto infinito, si macchia di empietà, venendo a realizzare un’ antropologizzazione divina.

In tal guisa il bello è simbolo della morale in quanto: [ a ] piace immediatamente, solo nell’ intuizione riflettente, non, come la moralità, nel concetto, [ b ] piace senza alcun interesse ( nell’ ambito del bene morale, l’ interesse scaturisce dal giudizio e non lo procede come nel dominio estetico ), [ g ] la libertà dell’ immaginazione è rappresentata nel giudizio del bello come in accordo con la legalità dell’ intelletto, [ d ] il principio soggettivo del giudizio del bello è rappresentato come universale, cioè valevole per ognuno, ma non conoscibile mediante alcun concetto universale.

Alla fine del paragrafo, verrà posto in rilievo il fatto, che molto spesso si utilizza una terminologia morale per questioni di carattere estetico e viceversa, Kant scriverà infine che: “ il gusto rende possibile così il passaggio, senza un salto troppo brusco, dall’ attrattiva dei sensi all’ interesse morale abituale, rappresentando l’ immaginazione anche nella sua libertà come capace di essere determinata in modo di accordarsi con l’ intelletto, e insegnando a trovare perfino negli oggetti dei sensi, anche senza attrazione sensibile, un  libero piacere “.

Aristotele nella “ Poetica “ si chiederà perché dinnanzi a certi oggetti rappresentati non proviamo orrore a differenza delle sensazioni che scaturirebbero dall’ averli vicino? La risposta risiede nel fatto che l’ oggetto rappresentato in quanto imitazione ha un valore di apprendimento.

Schiller differenziandosi da Kant vuole cercare la libertà nel fenomeno, notando come se collochiamo la libertà nella sfera dell’ ideale dobbiamo poi con un atto di violenza introdurlo nel reale, Rousseau dirà infatti che con chi non accetta la libertà l’ unica soluzione è imporgliela.

La libertà può essere rappresentata sensibilmente con l’ ausilio della tecnica che ne diviene una condizione prima di rappresentazione, proprio in questo ambito Schiller definisce la “ natura “ come intima necessità della forma “, ciò che si oppone a tutto ciò che è estraneo alla cosa, la capacità di riportare vittoria sulla forza di gravità è un segno di libertà [ Schiller vede nei volatili la massima espressione della libertà negli animali, in quanto librandosi nel cielo oltrepassano il limiti della materia che deve essere domata dalla forma e nello stesso tempo la massa può diventare una nemica acerrima della forma e del movimento ].

Una forma che mostra una regola si dice conforme all’ arte ovvero alla tecnica, quest’ ultima è una condizione prima e necessaria alla nostra rappresentazione della libertà, Pareyson in “ Etica ed estetica in Schiller “ scrive: “ Il fondamento oggettivo della bellezza è l’ autonomia nella tecnica della natura e l’ eautonomia nella struttura dell’ oggetto ( … ) “.

Naturalezza e spontaneità intese come qualità oggettive indipendenti dal giudizio estetico, sono le caratteristiche fondamentali della bellezza.

La massa ed il peso riducono la spontaneità, proprio per questo non può definirsi bello il pesante cavallo da tiro bensì il leggero ed agile palafreno spagnolo.

La spontaneità è il fondamento della bellezza nella natura come nell’ arte, un oggetto è liberamente rappresentato se la natura di ciò che viene rappresentato non ha subito la natura del rappresentante.

Lo stile – è per Schiller – la suprema indipendenza della rappresentazione rispetto a tutte le determinazioni accidentali sia soggettive che oggettive, l’ artista nell’ unire materia e forma deve agire come la natura.

Affinché si possa parlare di una vera opera d’arte [ come intende Schiller ] né la rappresentazione soggettiva né la materia devono dominare la forma.

Nella poesia il vero poeta saprà liberarsi “ dalla catene del linguaggio “ [ Schiller ], in quanto quest’ ultimo tende al concetto universale, il poeta non deve descrivere l’ oggetto all’ intelletto, ma “ dipingerlo nella sua individualità all’ immaginazione “ [ Pareyson ].

Nel regno estetico – sostiene Schiller – niente può e deve risultare come mezzo ma sempre come fine, perché un vestito possa definirsi bello, bisogna che non ci si accorga che serva a coprirsi.

Risulta quindi opportuno raggiungere un fondamento oggettivo alla libertà nel reale, Schiller non farà altro che attuare un processo kantiano ( presente nell’ Estetica trascendentale ) contro Kant stesso: l’ oggetto – libertà deve colpirci in modo tale che noi possiamo elaborarne il concetto [ “ essere liberi come determinati da se stessi “].

L’ oggetto che ci colpisce deve mostrare una forma tale da permettere una regola, è indifferente che l’ intelletto conosca la regola.

Ogni determinazione può avvenire dall’ interno o dall’ esterno, l’ essere determinato dall’ interno può essere esplicata dalla rappresentazione del non essere determinati dall’ esterno, la libertà deve presentarsi come un determinato che ci deve guidare al determinante.

Notiamo in primis, come non si possa prescindere dal sensibile, l’ ineffabile risulterà coincidere con il niente ed infine l’ arte imiterà la natura dall’ interno.

Nella contemplazione estetica intesa come una rappresentazione svelatrice delle cose nella loro libertà ed indipendenza, non si presenta né una volontà morale né una forma conoscitiva, tale contemplazione mette in luce la libertà dell’ oggetto.

Schiller intenderà per bellezza l’ autodeterminazione di una cosa come si manifesta all’ intuizione, non l’ ausilio della ragione teoretico – speculativa, bensì l’ analogia della ragion pratica qualifica il giudizio di gusto.

Kant nella terza critica dirà che “ la natura è bella quando ha l’ apparenza dell’ arte e l’ arte è belle quando ha la spontaneità della natura “, questo asserto kantiano serve a Schiller, per fondare oggettivamente il bello, in quanto l’ autore de “ Le lettere sull’ educazione estetica dell’ umanità “, intravede in ciò tre conseguenze di fondamentale importanza: in primis la naturalità della cosa bella fa sì che sia determinata da sé, in secundis che tale cosa bella si debba presentare come se fosse determinata da una regola, e come sintesi delle precedenti, la tesi secondo la quale la cosa bella è tale in quanto determinata da una regola che si è auto – determinata.

Proprio in questo modo si viene a creare una forte connessione tra la dimensione estetica e quella etica, tanto che la spontaneità naturale diviene – come nota acutamente Pareyson – una manifestazione sensibile della libertà soprasensibile.

Schiller dona una veste realistica ed oggettiva alle premesse implicite nel discorso kantiano che erano di natura prettamente critica, un passaggio fondamentale che porta alle estreme conseguenze l’ ipotesi kantiana che il nostro giudizio estetico abbia come principio una sorta di sostrato soprasensibile della natura e dello spirito.

Un altro aspetto interessante è la dimensione etico – politica sottesa a questo scritto, ciò a testimonianza del fatto che la riflessione schilleriana scorge una correlazione fondamentale tra la dimensione etica e quella estetica, in quanto senza la mediazione dell’ arte, non si potrà mai armonizzare il sensibile con il soprasensibile; all’ interno dei “ Callia o sulla bellezza “, Schiller intende mostrare come dal suo concetto di bellezza possano scaturire due leggi per le belle relazioni, la prima afferma di aver riguardo per la libertà dell’ altro, la seconda dice di “ mostrare tu stesso la libertà “.

Un’ azione può dirsi bella quando la moralità che prima appariva coercitiva e soffocante per la sensibilità si manifesta come inclinazione, spontaneità e naturalezza.

Schiller verso la fine dell’ opera elabora il concetto di “ belle relazioni sociali di cui la danza inglese ne diviene emblema supremo dato che permette una dialettica armonizzante tra il rispetto della libertà altrui e la salvaguardia della propria libertà.

Il sublime come liberazione dal sensibile ed il bello come libertà nel sensibile si riagganciano a profonde esigenze della filosofia schilleriana, coniugare armonicamente bello e sublime per scorgere l’ ideale della perfezione umana.

In “ Grazia e dignità “ ( 1793 ) Schiller dà una sistematizzazione delle intuizioni estetico – filosofiche delle opere precedenti all’ insegna del progetto di conciliare l’ essenza del tragico con il bello.

Come si è detto in precedenza, Schiller dialogherà criticamente con la riflessione kantiana, trovando punti in comune ed nodi teoretici da rigettare, in “ Grazia e dignità “, da un lato nella dottrina del sublime si soffermerà più sul rispetto che sull’ ammirazione per la volontà libera e dall’ altro nella sfera del bello ne evidenzierà maggiormente la simbolicità rispetto al bene, insieme alla presenza della libertà nel mondo sensibile.

In “ Sul patetico “ Schiller presenta il dovere kantiano come deprimente o esaltante per il cuore, ponendo in rilievo l’ importanza della sensibilità, la teoria schilleriana sarebbe – per lo stesso suo teorizzatore – una parte aggiuntiva dell’ impianto speculativo kantiano, il dissenso sarebbe insito più nell’ esposizione di Kant che verso le sue idee.

Schiller a proposito del maestro del criticismo dirà: “ Nella filosofia morale di Kant l’ idea del dovere è rappresentata con una durezza tale, che tutte le Grazie ne sono spaventate e che una mente debole potrebbe facilmente essere tentata di cercare la perfezione morale sulla via d’ un’ ascetica tetra e caustrale “

Nel “ Dracone della Germania “ bisogna saper distinguere la dottrina dall’ esposizione, quest’ ultima era finalizzata a demolire il sensualismo ed il materialismo rozzo dell’ epoca in ambito pratico – morale: l’ assegnazione di una veste imperativa alla morale non deve deprimere l’ uomo nella sua sensibilità, Schiller sostiene che al dovere non è necessaria l’ opposizione con la sfera sensibile in quanto l’ ideale dell’ uomo si situa nell’ armonia tra sensibilità e ragione.

Il consenso della sensibilità non può essere un criterio per la valutazione morale dell’ azione, ma nello stesso tempo per dare all’ individuo una forma di autonomia è necessario salvaguardare i diritti della sensibilità senza “ il pericolo di diventare lassista “ scrive Schiller.

Nell’ opposizione coercitiva tra la legge morale e la sensibilità, si celerebbe una sorta di depotenziamento da parte della prima proprio perché finché lo spirito morale adopera violenza è “ segno che l’ impulso naturale è ancora in grado di contrapporgli la sua forza “, in un essere autenticamente morale la sensibilità è continuamente educata e la virtù è “ un’ inclinazione al dovere “.

Il superamento dell’ opposizione tra una ragione pratica che potenzialmente istituirebbe una tirannide su una sensibilità pronta a ribellarsi ferocemente, è per Schiller “ il marchio dell’ umanità compiuta e perfetta “.

Ciò che è interessante notare è come nella riflessione schilleriana la questione morale sia compresa implicitamente nell’ educazione della sensibilità [ l’ ideale dell’ uomo è quindi “ estetico “ ], si tratta di un sentiero speculativo agli antipodi di quello seguito da Fichte in “ La missione del dotto “.

Kant dopo aver sostenuto in “ La religione entro i limiti della sola ragione “  che “ la morale, essendo fondata sul concetto di uomo come essere libero, il quale, appunto perché tale, sottopone se stesso, mediante la propria ragione, a leggi incondizionate, non ha bisogno né di un altro essere superiore all’uomo per conoscere il proprio dovere, né di un altro movente oltre la stessa legge per adempierlo. Tuttavia è colpa dell’uomo se lui si trova in questo stato di bisogno “, dirà che la teoria di Schiller in realtà è sintonia con la sua, e che non vi sarebbero punti di disaccordo, questo fece da un lato felice Schiller, ma nello stesso tempo gli lasciò un senso di perplessità.

In realtà Kant non aveva colto o forse non aveva voluto cogliere come le teorie esposte in “ Grazia e dignità “ di Schiller fossero opposte alle proprie, in quanto il fine ultimo del giovane filosofo era il raggiungimento dell’ uomo come totalità armonica e coesa, ciò possibile solo mediante l’ ottica estetica.

Addentriamoci meglio nel concetto di grazia e nell’ analisi che permette a Schiller di pervenire a tale risultato: così come aveva fatto per definire l’ essenza del tragico, procedendo mediante una metodologia dicotomica verso il fondamento della sua attiva tragica, così procederà la definizione della “ grazia “.

La bellezza può essere fissa o mossa, nel primo caso è data necessariamente con il suo soggetto ed è prodotta dalle forze plastiche della natura secondo la legge della necessità, nel secondo caso scaturisce dallo spirito umano posto in condizioni di libertà.

La bellezza fissa è definita da Schiller anche architettonica e di struttura, si tratta di una bellezza relativa alla figura umana che si distingue dalla perfezione tecnica che è interconnessa con il giudizio intellettuale e non estetico [ quest’ ultimo mira alla forma sensibile della figura umana ].

Si può parlare di bellezza mossa in quanto la persona si auto - determina, dove la modificazione insita nell’ animo umano produce movimenti nella dimensione sensibile.

Il movimento può essere volontario ed in questo caso è legato al sentimento in accezione accidentale non potendo far scaturire la grazia, o involontario nel caso in cui sia prodotto dall’ istinto [ anche in questo frangente non si presenta la grazia ].

Si è mostrato come sia i movimenti volontari che involontari siano unilaterali e quindi impossibilitati a porsi come condizioni necessarie affinché si possa parlare di grazia, ma in definitiva cosa intende Schiller quando ne parla?

La grazia è definita come la bellezza in movimento mossa dalla libertà, si può riscontrare nella dialettica tra volontarietà ed involontarietà, in quei movimenti involontari i “ quali tuttavia accompagnano la volontà e corrispondono all’ atteggiamento dell’ anima “, essi sono denominati simpatetici e concomitanti.

I movimenti simpatetici sono involontari ma non totalmente istintivi e fisici [ risonanza della vita morale dell’ anima ], servono ad accompagnare la sensazione morale avendo luogo nella volontà della persona: sono simpatetici nella misura in cui risultano concomitanti e concomitanti perché accompagnano come sua risonanza esteriore e fisica il carattere più profondo dell’ anima.

Se i movimenti volontari sono successivi ad un atto di volontà quello simpatetico risulta essere simultaneo, proprio in questa simultaneità si rivela il vero carattere della persona; Schiller vede nei “ tratti mimici e parlarti “ l’ emblema della concomitanza e simpateticità dei movimenti umani: “ mentre una persona parla, noi vediamo contemporaneamente i suoi sguardi, i suoi lineamenti, le sue mani, spesso tutto il corpo che parla insieme e non di rado la parte mimica della conversazione è giudicata la più eloquente ”.

Mediante i segni mimici e parlanti lo spirito fa del corpo espressione di sé, permette l’ aurora della grazia che diviene l’ unica rivelatrice delle caratteristiche personali del soggetto.

La figura umana è considerabile sotto tre punti di vista differenti: in primis mediante la perfezione tecnica [ giudizio intellettuale ], in secundis attraverso la bellezza architettonica [ giudizio estetico ] ed infine in funzione della grazia [ giudizio etico – estetico ].

È interessante notare come la “ grazia “ rappresenti per Schiller la suprema dialettica tra etica ed estetica, che s’ intrecciano indissolubilmente insieme proprio perché la questione estetica sorge come fonte ideale di conciliazione ed armonia nell’ individuo che non può essere considerato ad “ un’ unica dimensione “.

Solo nella grazia lo spirito agisce come natura e la natura come spirito, il soprasensibile si armonizza con il sensibile, la ragione con la sensibilità, la dimensione della grazia – è paragonata da Schiller – ad un “ governo liberale “ dove la libertà del suddito non si oppone a quella del sovrano e viceversa.

L’ armonia sorta dalla grazia si pone come superamento di due possibili situazioni che Schiller contesta radicalmente, o l’ imposizione della moralità sulla sensibilità mediante un atto di imposizione e costrizione, in questo caso Schiller parlerebbe di “ barbarie “ [  da tenere presente come la critica al dogmatismo della ragione sia in termini morali e gnoseologici, dato che il dialogo con Kant è su più fronti ], o la subordinazione del razionale alla ribellione del sensibile, l’ instaurazione quindi del dominio del “ selvaggio “.

L’ anima bella [ che differisce sia dal buon cuore che dalla virtù di temperamento, per aver raggiunto una spontaneità intima e durevole ] è tale perché presenta una conciliazione tra sensibilità e razionalità, la grazia diviene manifestazione di questa armonia, ella sarà morale nella sua interezza, il suo unico merito consiste nell’ esistere.

Schiller era pienamente conscio dell’ irrealizzabilità dell’ anima bella, che rimane un ideale in quanto nella realtà concreta molto facilmente possono sorgere accesi dissidi tra la sensibilità e la razionalità, quest’ opposizione si discute in relazione alla volontà.

In precedenza abbiamo definito il concetto di “ grazia “, termine questo correlato alla “ dignità “ che diviene nella riflessione schilleriana l’ espressione della libertà dello spirito nel sensibile, la dominazione della facoltà superiore su quella inferiore è data dalla calma nel dolore, se ne deduce che il sublime sarà la manifestazione più evidente di tale dignità.

La dignità che si avvicina alla grazia è nobiltà, quella che rasenta il timore è elevatezza, grazia e dignità non si escludono, ma possono trovarsi nello stesso soggetto, nella dialettica della virtù accompagnata dalla grazia dove quest’ ultima risolve in sé la dignità si manifesta il vero ideale dell’ umanità: “ Nella dignità... Lo spirito si comporta da padrone del corpo, perché qui esso deve affermare la sua autonomia contro l'imperioso istinto, che procede ad azioni senza di lui e vorrebbe sottrarsi al suo giogo. Nella grazia invece governa con liberalità, perché qui è lui che mette in azione la natura e non trova alcuna resistenza da vincere... La grazia sta dunque nella libertà dei moti volontari; la dignità nel dominio di quelli involontari. La grazia lascia una parvenza di spontaneità alla natura, là dove questa adempie gli ordini dello spirito; la dignità invece la sottomette allo spirito, là dove essa vorrebbe regnare. Nella dignità... ci è presentato un esempio della subordinazione dell'elemento sensibile a quello morale... Nella grazia, invece la ragione vede la propria esigenza soddisfatta nella sensibilità. [...] Avendo dignità e grazia campi diversi per la loro manifestazione, non si escludono vicendevolmente nella medesima persona; ...anzi soltanto dalla grazia la dignità riceve la sua convalidazione, e soltanto dalla dignità la grazia riceve il suo valore. “  [ Grazia e dignità ]

Riguardo al rapporto che intercorre tra il bello ed il sublime, ed alla loro funzione in termini esistenziali, riportiamo alcuni versi della poesia “ Die Führer des Lebens “:

 

Due geni, nell’ aspro cammino del viver, ti tengon per mano:

Felice te, se al fianco entrambi congiunti ti stanno!

Radioso e sereno, scherzando, l’ un d’ essi t’ abbrevia il tragitto:

Lieve la doppia soma ti rende: destino e dovere.

Con lui motteggiando, lo segui sull’ orlo del baratro, dove

Rabbrividendo l’ uomo il mar dell’ eterno contempla.

Silenzioso e grave, con forte braccio t’ accoglie

Quivi e trascorre l’ altro qual gigante sui flutti.

Non affidarti a un solo! Al primo la tua dignità

Non consegnare, né all’ altro la tua felicità.

 

Il bello, amabile e piacevole attenua la durezza dei ceppi della necessità svelando la libertà nella sfera del sensibile, il sublime invece ci conduce nel regno degli spiriti portandoci oltre il mondo sensibile.

Pareyson nota come “ la garanzia dell’ anima bella è propriamente il sublime “, in quanto in presenza dell’ urgenza della passione e del dolore, è capace di far prevalere la spiritualità.

L’ educazione estetica autentica è quella che coordina il bello ed il sublime in una piena armonia, tale da garantire il superamento dell’ uomo frammentario.

Abbiamo brevemente analizzato “ Grazia e dignità “ del 1793 in relazione alle problematiche del pensiero schilleriano, ora si tratta di seguire i sentieri schilleriani tracciati ne “ Le lettere sull’ educazione estetica dell’ umanità “ del 1795.

Nella prima lettera, Schiller rivolgendosi al suo protettore dirà di volergli esporre i risultati delle sue ricerche, sul bello e sull’ arte ( in realtà vi sarà la trattazione di ulteriori tematiche ); e si scusa [ notiamo l’ accesa critica a Kant ] se esporrà idee note, dicendo inoltre che le idee della ragione pratica di Kant non sono proprio accettate dai filosofi e se spogliate dai loro tecnicismo rinviano alla ragione comune.

Il difetto della posizione kantiana, risiede per Schiller nell’ aver privilegiato l’ intelletto sul sentimento, ciò che a quest’ ultimo si mostra unito, la facoltà dei sillogismi deve smembrarlo, proprio perché i filosofi trovano la sintesi solo nell’ analisi.

Pensando però la bellezza come sintesi di elementi filtrati attraverso l’ analisi, abbiamo perso la bellezza stessa con la conseguenza che l’ approccio etico risulterà identico a quello estetico.

La verità per essere tale deve proporsi evidente e manifesta sia all’ intelletto che al sentimento, solo così potrà essere autentica.

È interessante notare come il titolo del testo di Marcuse “ Eros e civiltà “ rappresenti il binomio schilleriano ( letto in chiave psicoanalitica come volontà di soddisfazione v.s. logica del dominio ) sensibilità - intelletto

La seconda lettera, è estremamente importante in quanto Schiller solleva alcune problematiche di carattere sociale – politico e di tipo più squisitamente filosofico, si chiede ironicamente il perché del porre in rilievo la questione estetica, quando in realtà i tempi presenti reclamerebbero una maggiore attenzione sulla libertà e sulla politica.

Lo Stato sorto dalla Rivoluzione francese, è il tipico stato borghese – nota Schiller – e presenta una serie di caratteristiche paradigmatiche: in primis avviene un restringimento dell’ azione dell’ arte a causa del continuo sviluppo tecnico – scientifico, Schiller  sostiene che l’ utile subentra all’ arte nel chiassoso mercato del secolo, e in secundis la filosofia kantiana si pone come trasposizione idealistico – concettuale dell’ esigenze pratico – sociali sorte dall’ evento di fine secolo.

La libertà nel fenomeno permette di non cadere nelle barbarie moderne e di evitare la sfrenatezza selvaggia, educare esteticamente significa frenare l’ arbitrio della natura animale non spegnendo la libertà; lo stato borghese è una dimensione artificiosa dove l’ uomo diventa frammento  e la radicalizzazione dell’ intelletto tabellare porta ad un’ etica materialistica fondata sull’ utile.

L’ arte essendo figlia della libertà deve elevarsi dalle necessità e dai bisogni pragmatici della convivenza civile [ posizione questa condivida da Goethe ]; un’ arte assoggetta alla politica sarebbe un mero evento mercantile [ Lukács vedrà nell’ ottica schilleriana un sorta di  giustificazione del dominio borghese, nonostante ciò è bene tener presente che lo stesso Schiller sferrerà darsi velenosi contro quel tipo di società, tenendo un atteggiamento in certi punti notevolmente critico, ma non di stampo tout court marxista ].

Adorno ne “ La dialettica negativa “  riguardo alla ragione ed alla cultura borghese si esprimerà dicendo: “ Dal punto di vista della filosofia della storia i sistemi, specialmente quelli dei Seicento, avevano una funzione compensatoria. La stessa ratio, che aveva distrutto, in concordanza con l’interesse della classe borghese, l’ordine feudale e la corrispondente forma della riflessione, l’ontologia scolastica, ebbe subito paura del caos di fronte alle macerie, sua opera. Essa trema di fronte a ciò che continua ad esistere minacciosamente al di sotto del suo ambito di dominio, rafforzandosi proporzionalmente al suo potere. Tale timore caratterizzò ai suoi inizi quel comportamento – costitutivo nel complesso per il pensiero borghese – mirante a neutralizzare frettolosamente ogni passo in direzione dell’emancipazione, confermando l’ordine. All’ombra dell’incompletezza della propria emancipazione la coscienza borghese deve temere di venir annullata da una piú avanzata; sente di non essere tutta la libertà e quindi di riprodurne solo l’immagine deformata; perciò dilata teoricamente la propria autonomia a un sistema, che contemporaneamente assomiglia ai suoi meccanismi coatti. La ratio borghese si propose di produrre dal suo interno l’ordine che aveva negato all’esterno. Ma quello in quanto prodotto non è piú un ordine, e quindi è insaziabile. Un tale ordine prodotto in modo insensato - razionale fu appunto il sistema: qualcosa di posto, che si presenta come un essere in sé. Esso doveva spostare la sua origine nel pensiero formale scisso dal suo contenuto; non altrimenti poteva esercitare il proprio dominio sul materiale. Il sistema filosofico fu fin dall’inizio antinomico. In esso l’approccio si fondeva con la propria impossibilità; agli inizi dei sistemi moderni essa ha appunto condannato l’uno alla distruzione ad opera dei successivo. La ratio per affermarsi come sistema che estingueva virtualmente tutte le determinazioni qualitative, cui si riferiva, finí in inconciliabile contrasto con l’oggettività, cui faceva violenza, pretendendo di afferrarla. Se ne allontanò tanto piú, quanto piú completamente essa l’assoggettò ai suoi assiomi, infine a quello solo dell’identità. Le pedanterie di tutti i sistemi, fino alle complicazioni architettoniche di Kant e, malgrado il suo programma, perfino di Hegel, sono segni di un insuccesso determinato a priori, documentato con incomparabile sincerità nelle fratture del sistema kantiano; già in Molière la pedanteria è un elemento centrale dell’ontologia dello spirito borghese. Ciò che nell’elemento da comprendere si ritira di fronte all’identità del concetto, costringe quest’ultimo a una esasperata messa in scena perché assolutamente non ci siano dubbi sull’inattaccabile completezza, compattezza ed acribia del prodotto del pensiero. La grande filosofia fu accompagnata da uno zelo paranoico di non tollerare nient’altro che se stessa, e perseguirlo con ogni inganno della propria ragione, mentre quello si ritira sempre piú di fronte alla persecuzione. Il minimo resto di non-identità basterebbe a smentire l’identità, totale secondo il suo concetto. La proliferazione dei sistemi dalla ghiandola pituitaria di Descartes e dagli assiomi e definizioni di Spinoza in poi, in cui è stato pompato già tutto il razionalismo, che poi ne viene ritirato fuori deduttivamente, annuncia con la sua non-verità quella dei sistemi stessi, ciò che hanno di folle.”

Occuparsi del problema estetico, significa quindi per Schiller analizzare sotto una prospettiva chiarificatrice la questione della libertà: soltanto la libertà dell’ uomo nella sua interezza [ fusione di intelletto e sentimento ] permette la trattazione della libertà come cittadino.

Esclusivamente attraverso la bellezza si perviene alla libertà, la libertà auspicata dalla Rivoluzione francese è del cittadino, ma non dell’ uomo.

Nella terza lettera Schiller deve spiegare la natura dello Stato.

L’ uomo è l’ unico essere che nonostante possa subire l’ impasse della natura con le sue costrizioni, può risalire alle cause del suo comportamento dandosi una spiegazione: l’ accettazione consapevole della necessità fisica porta alla sua elevazione sul piano morale, da questo processo sorge lo Stato.

In questo modo Schiller sposta la sua riflessione su una problematica ampiamente trattata da Rousseau: lo Stato di natura.

Il filosofo tedesco noterà come non sia mai esistito un fantomatico stato di natura, non ci sarà mai nessuna esperienza diretta, noi ci riappropriamo della nostra fanciullezza per via artificiale quando siamo ormai adulti.

K. Marx, mostrerà come non sia mai esisto un “uomo naturale “, un primo cacciatore, noi spieghiamo la scimmia sulla base della costituzione umana.

Dentro di noi – sostiene Schiller – c’è un “ uomo fisico “ legato alle sensazioni, l’ uomo morale è solo problematico se diviso da quello fisico ( reale ), in questo modo la stessa Rivoluzione francese “ toglie la scala della natura dall’ uomo “ e quindi preannuncia e giustifica la ferocia insita nell’ accadimento storico.

Il dover – essere morale di Kant mette a repentaglio la reale fisicità dell’ uomo, si tratta di una morale anti – estetica perché non tiene conto della sensibilità

Giungiamo alla quarta lettera, notevolmente complessa sul piano concettuale per le varie problematiche trattate, l’ incipit di tale lettera si situa nella domanda che lo stesso Schiller si pone: nello stato morale ( stile Kant ) la libertà della volontà essendo una semplice causa, non può ridursi ad una connessione di “ necessità – continuità “? In caso di risposta affermativa, nota amaramente Schiller si realizzerebbe una sorta di stato – macchina, “ un état machine “.

Risulta necessario distinguere il dovere [ Pflicht ] dall’ inclinazione [ Neinung ], in Kant il dovere forza l’ inclinazione, invece dovrebbe esserci un’ armonia tra i due piani affinché si possa parlare realmente di libertà autentica.

L’ educazione estetica è l’ unica in grado di conciliare il dovere con l’ inclinazione; premessa la differenza tra l’ uomo individuale ( colui che vive della varietà ) e l’ uomo ideale ( vive nell’ unità ), quest’ ultimo è il primo gradino per la costituzione dello Stato, Stato che non deve recidere il legame con la dimensione naturale.

Capiamo dunque perché lo Stato sorto dalla Rivoluzione francese, sia unilaterale e proprio in questo senso predisposto alla più totale nichilizzazione del valore umano, non può avvenire la fondazione di uno Stato su basi puramente astratte che non tengano conto della particolarità dei singoli individui [ la società borghese è anti – estetica e rozza ]

Sotto questa prospettiva, Schiller diviene l’ emblema del “ rivoluzionario nazionalista “, lettura questa peraltro condivisa da vari autori, seppur in guise diverse.

Dostoevskij, in “ Delitto e castigo “ presenta un personaggio che ricalca le problematiche trattate da Schiller, si tratta dello studente che uccide l’ usuraia.

In “ Padre e figli “ [ Turgenev ], Bazarov dinnanzi all’ illuminista che gli farà notare l’ importanza di Schiller, risponderà che la poesia non ha alcuna validità dinnanzi all’ avanzare demistificante della scienza.

Hegel in uno scritto del 1797 intitolato “ Il più antico progetto sistematico dell’ idealismo tedesco “, parlerà della volontà di donare le “ ali alla fisica “, l’ ideale dell’ umanità è in piena contrapposizione con lo Stato [ interpretazione radicale di Schiller ], non può neanche esistere l’ idea dello Stato, in quanto ogni idea è simbolo di libertà è lo Stato è la sua antitesi [ Hegel si riferisce a quello sorto dalla Rivoluzione francese ].

Si tratta di distruggere lo Stato appena se ne abbia l’ opportunità, il mondo ideale [ qui Hegel si differenzia da Schiller ] è la condizione prima per la realizzazione di tale progetto.

Gli spiriti liberi non devono cercare nessun Dio e nessuna immortalità al di fuori di se stessi, occorre un monoteismo della ragione ed un politeismo della fantasia e dell’ immaginazione, la ragione deve rendersi sensibile mediante una sua mitologia, ogni idea priva di valore estetico sarà da rigettare, in quanto la poesia ha un alto valore pedagogico.

Schlegel nel “ Dialogo sulla poesia “ riprende l’ idea di una poesia educatrice dell’ umanità, mostrando infine come la mitologia debba diventare filosofia.

In Schiller la prospettiva dello Stato non viene cancellata, la natura è plasmata armonicamente, l’ artigiano meccanico quando dà forma alla materia compie un atto di violenza senza nessuna attenzione ( la tecnica è impostata dall’ esterno sulla materia ); l’ artista usa la violenza ma evita di mostrarla ( Kant nella “ Critica del giudizio “ dice che il genio fa sembrare la regola una cosa naturale.

L’ artista par excellence é quello pedagogico – politico che deve lavorare con la materia umana, e far in modo – da notare il forte sapore kantiano teleologico dell’ argomentazione schilleriana – che parti si coordino con il tutto, rispettando le diverse caratteristiche e la personalità umana.

L’ uomo colto si fa amica la natura e ne rispetta la libertà, semplicemente frenandone l’ arbitrio: la morale kantiana e quella materialistica sono unidimensionali.

Occorre coordinare l’ interiorità con l’ esteriorità, l’ individualità armonicamente con l’ universale.

Il vero Stato sarà vissuto interiormente dai singoli individui e non può ridursi ad una società, bensì dovrà divenire una comunità dove si realizza in pieno l’ armonica fusione tra interiorità ed esteriorità.

Sia Humboldt che Nietzsche criticheranno la scissione come processo caratterizzante della modernità, l’ autore delle “ Considerazioni inattuali “ vede nell’ individuo, l’ unità e la non scissione.

Al di là del velo di utopismo che circonda l’ opera schilleriana, di cui lo stesso autore è consapevole, si tratta di porre in rilievo una distinzione di fondamentale importanza, tra il “ barbaro “ ed il “ selvaggio “, termini questi che denotano concetti differenti all’ interno della prospettiva del pensatore tedesco.

Per barbaro – Schiller intende – colui nel quale i principi distruggono i sentimenti [ Nietzsche lancerà i suoi dardi velenosi contro i barbari, come coloro che hanno cancellato la dimensione naturale ], per selvaggio invece si intende un individuo dove dominano i sentimenti sui principi; è importante notare come da un lato non via nessun riferimento a qualche popolazione, e dall’ altro si stia prendendo in considerazione sotto l’ occhio vigile della critica la situazione sociale e politica degli anni della Rivoluzione.

I principi servono a frenare i sentimenti, lo Stato della libertà è l’ evoluzione dello Stato dei bisogni, infine la Rivoluzione francese assumendo un moralismo coercitivo dinnanzi alla natura è destinata a subire la più cocente sconfitta da parte di quest’ ultima mediante l’ ascesa di una società materialistica.

È un effetto della civiltà la situazione di cui parla Schiller, la cultura consiste nell’ allontanarsi dalla natura, capiamo quindi che l’ utopia schilleriana lo sia nell’ accezione di E. Bloch che distingue tra “ utopico “ [ ciò che nega l’ esistente ] e “ utopistico “ [ ciò che nega l’ esistente, ma tende a realizzare un modello ].

Schiller noterà come la grecità ci superò per la sua semplicità, Winckelmann dirà che la grecità è irripetibile, si tratta di un vero e proprio miracolo greco.

Nella natura greca avviene una fusione tra la giovinezza della fantasia e la virilità della ragione, il fascino dell’ arte si sposa con la dignità della sapienza: la modernità è il passaggio da una dimensione organica ad una meccanica, mediante la divisione delle scienze e delle classi.

La separazione tra filosofia e poesia, intelletto e sensibilità fa scaturire la perdita dell’ intelletto intuitivo che si contrappone a quello speculativo: la frammentazione dell’ uomo è il viatico privilegiato per il progresso.

Nella quinta lettera Schiller si sofferma sulle caratteristiche della civiltà greca,dove non esisteva una linea di demarcazione tra la sensibilità e l’ intelletto, l’ uomo greco viveva un’ esistenza proiettiva e l’ intera umanità aveva in sé ogni Dio [ questa prospettiva sarà ripresa da Hegel nelle “ Lezioni sulla filosofia della religione “ e nell’ “ Estetica “ ].

Quale uomo del nostro tempo – si chiede Schiller – avrebbe l’ ardire di paragonarsi ad un ateniese del III secolo a. C. ?

La divisione delle classi e delle occupazione sorta dalla scienza porta ad una scissione che caratterizza l’ epoca moderna ci ha allontanato dalla natura.

La scissione della scienza porta alla separazione tra l’ intelletto intuitivo e quello speculativo, venendosi a creare una sorta di “ Stato macchina “; Schiller giocando etimologicamente parla della polis greca come di “ polipo “,  in questo modo si pone in piena connessione con Teognide, quando dice che la polis è tale proprio perché sa adattarsi ad ogni situazione.

Nello Stato borghese avviene la distinzione tra le leggi ( Stato ) ed il costume ( Chiesa, intesa come simbolo della morale ), risulta importante notare come sia una semplice constatazione quella di Schiller.

Novalis, nello scritto del 1799 “ La cristianità o Europa “ sosterrà una posizione reazionaria criticando aspramente la Rivoluzione francese, e ricordando i tempi in cui risplendeva lo spirito cristiano [ Novalis è un pensatore di stampo pietista, il pietismo vede nel cuore dell’ uomo la sacralità di Dio, la sua espressione più alta in musica è Wagner ].

Novalis si fa emblema di una concezione storica di tipo tipologico – ottimistico, negli accadimenti del passato avviene la prefigurazione aurorale di ciò che avverrà in futuro, la religione si pone come fonte di pace a livello europeo.

Dai tempi idilliaci in cui versava l’ umanità governata dall’ amore e la beatitudine cristiana, si giunge alla Riforma luterana che manda in rovina la Chiesa romana e costruisce una Chiesa di Stato, controllata dal potere temporale.

Il radicalismo di Novalis lo porta a difendere la Chiesa romana, nonostante la sua cultura di forte sapore luterano; ciò che preme sottolineare è come all’ interno di tale opera avvenga una critica alla scienza che desacralizza ed un forte difesa della fede, lo stesso Novalis scriverà riferendosi alla dimensione cristiana iniziale: “ Con ragione il saggio capo supremo della Chiesa si oppose agli sviluppi audaci delle disposizioni naturali dell’ uomo che mettevano in pericolo il senso religioso e alle altre scoperte dannose e inopportune nel campo del sapere. “

Lutero – scrive Novalis – è colui che traducendo la Bibbia in tedesco, pone la sua sacralità in mano ad una scienza terrena, la filologia: si viene a realizzare un processo dove la religione diventa politica e dalla filologia sorge la filosofia: “ Nel frattempo, alla base del Protestantesimo non era rimasto solo quel puro concetto, Lutero, anzi, trattò il Cristianesimo in modo del tutto arbitrario, ne fraintese lo spirito e introdusse un  altra lettera e un’ altra religione, cioè la sacra validità universale della Bibbia, mescolando così purtroppo nelle questioni religiose un’ altra disciplina terrena completamente estranea – la filologia – in cui influsso logorante da quel momento in poi risultava evidente ( … ) “.

L’ illuminismo è un fatto tedesco, anche se si sviluppa in Francia ed in Germania si tocca l’ apice dell’ Aufklarüng in quanto la religione diviene un discorso razionale, si nota l’ acceso contrasto che Novalis nutre con la posizione kantiana: “ In Germania questa impresa fu condotta in modo più approfondito ( si riferisce all’ Illuminismo ), si riformò l’ istruzione, si cercò di dare alle vecchia religione un senso moderno, razionale, più comune, lavandone via meticolosamente ogni tratto di miracolo e di mistero; si mobilitò tutta l’ erudizione per sbarrare ogni via di fuga nella storia, dandosi da fare per nobilitare la storia trasformandola in un quadretto di genere, famigliare e morale, domestico e borghese. “

Riguardo ai giochi di luce del secolo XVIII, riportiamo un breve passo dell’” Europa “ che può risultare chiarificatore: “ Dappertutto il senso sacro subì numerose persecuzioni nelle forme da lui assunte fino ad allora e nella sua configurazione attuale. Il risultato del modo di pensare moderno venne chiamato filosofia e le venne attribuito tutto quello che si opponeva all’ antico e quindi, soprattutto, ogni idea contro la religione “.

La missione di rinascita spetta al popolo tedesco che si fa portavoce di un’ individualità universale: avverrà un amplesso tra la giovane Chiesa novella e un Dio d’ amore ( Dioniso ); in Novalis questo processo è squisitamente di carattere spirituale, in Hölderlin invece è di stampo più materiale.

Riforma protestante, Illuminismo e Rivoluzione francese sono il processo triadico che porta al decadimento della religione cristiana, dopo aver sperimentato mille avversità ci potrà essere in futuro ( Novalis non specifica un momento preciso, anche perché la “ Cristianità o Europa “ non è uno scritto storico, è bensì un monologo “ drammatico “, una sorta di predica diretta verso l’ interiorità dell’ individuo ) una splendida aurora.

Nonostante la crisi della Chiesa, nel corso della storia si fa avanti l’ ordine dei Gesuiti che avrebbe il merito di custodire la sacralità dei tempi perduti e porre le basi per il superamento di tale difficile situazione.

La religione si basa sull’ entusiasmo, sul calore del cuore che cerca la spiritualità, nel Medioevo che avrebbe dovuto essere - Novalis dirà - che si respirava un’ armonia soave ed ogni cosa appartenuta alle figure sacre dei sacerdoti avrebbe benedetto l’esistenza di chi avesse avuto la fortuna di sfiorarla.

Nel clima desacralizzante dell’ Illuminismo dove “ Dio fu trasformato in pigro spettatore del grande, commovente spettacolo messo in scena dagli eruditi ( … ) “ solo la natura si sottrae a questo inesorabile processo: “ Peccato che la natura, nonostante gli sforzi compiuti per modernizzarla, rimanesse così meravigliosa e incomprensibile, cos poetica e infinita “.

Si capisce la posizione di Novalis se la si inserisce all’ interno del Romanticismo tedesco che compie una contro – rivoluzione aspirando ad una situazione edenica, nell’ Eden il conoscere è tale che permette l’ innocenza: si respira un’ atmosfera di speranza: “ Lo spirito di Dio aleggia sulle acque e solo ora si percepisce, nel riflusso dei flutti, un ‘isola celeste, la dimora degli uomini nuovi, il bacino fluviale della vita eterna. “

Riguardo a Schleiermacher, Novalis dopo aver apprezzato i suoi scritti sulla religione, dirà: “ Questo fratello è il palpito del cuore della nuova epoca, chi lo ha avvertito non dubita più che essa verrà e, con dolce orgoglio per la sua contemporaneità, uscirà dal mucchio per unirsi alla nuova schiera dei discepoli. Egli ha fatto un nuovo velo per la santa che ne rivela, aderendo, le celesti forme, e tuttavia l’ avvolge in modo più casto di un altro “.

Per Schiller si tratta di agire nella storia avendo in mente il modello greco ( l’ ideale della grecità ), evitando di far prevalere l’ intelletto tabellare che porterebbe ad una serie di scissioni, chi avrà il tempo di dedicarsi al proprio diletto sarà un uomo eccezionale.

Lo Stato moderno si viene a costituire su due fondamenti, il principio di classificazione e quello di rappresentazione intesa come delega.

Secondo Schiller si potrà realmente raggiungere il “ sapere aude “ di Orazio, solo quando si saranno superati i bisogni materiali, Nietzsche dirà infatti che la civiltà greca era tale proprio perché i greci erano liberi essendoci la schiavitù.

Non è il soggetto umano che produce l’ arte, ma è la forma artistica che condiziona l’ umanità, la tradizione storico – artistica si pone come una sorta di sostanza; l’ artista è come se fosse posseduto da un “ daìmon “ proprio in questo senso capiamo la portata meta – temporale della creazione estetica.

Risulta necessario evitare l’ usurpazione intesa come violenza sul sensibile e l’ insurrezione concepita come esplosione del sensibile, non cadendo così in una lotta feroce; la via per la testa deve passare tramite il cuore, si pone quindi come questione fondamentale l’ educare al sentire.

L’ artista deve aspirare a sintetizzare il possibile con il necessario, facendo a suoi contemporanei ciò che hanno bisogno e non ciò che lodano.

La borghesia si fonda sull’ utile e sul guadagno deturpando così il valore dell’ arte, che si libra al di là delle necessità e dei bisogni, esprimendo una vera libertà per l’ individuo.

Come i filosofi devono salvaguardare la verità così gli artisti devono custodire l’ arte, quest’ ultimi sono figli del tempo, ma non alunni o favoriti ( non devono cercare il plauso ), si nutriranno con il latte della Grecia, quella Grecia di cui parla Winckelmann e Schiller ama tanto: si tratta della terra dei poemi omerici.

Il grande studioso dell’ arte tedesco, parlando della statua del “ Laoconte “  scriverà che esprime “ nobile semplicità e quieta grandezza “, solo Schelling farà affiorare la dimensione oscura di quel mondo idilliaco, il così detto “ lato notturno della Grecia “, i sacrifici e costumi legati al culto di divinità del sottosuolo.

L’ artista è tale proprio in quanto nutrito del latte di un’ età migliore, diviene estraneo al suo tempo, Nietzsche avrebbe inattuale.

L’ arte aspira a creare l’ ideale nella fusione tra il necessario ed il possibile, e nello stesso tempo deve sottrarsi al giudizio del tempo, nell’ apparire la creazione estetico – artistica ( apparenza, parvenza ) dà verità al mondo.

Aristotele nella “ Poetica “ sosterrà che la storia tratta il necessario e si colloca nella dimensione del reale, invece la poesia riguarda il possibile.

In Schiller – l’ arte come bella parvenza – ha un valore ontologico forte, questo aspetto influenzerà Nietzsche nella composizione della “ Nascita della tragedia “, dove l’ arte ripaga l’ uomo dall’ insufficienza qualitativa della realtà.

Se la bellezza è la condizione prima per lo sviluppo dell’ umanità, risulta necessario spostare l’ attenzione sull’ arte.

Nell’ uomo riscontriamo due elementi primari [ XI lettera ], la persona [ immutabile – permanente ] e lo stato [ condizione ], che richiamo alla distinzione aristotelica tra sostanza ed accidente; a differenza dell’ Essere necessario nel soggetto umano non avviene la coincidenza di tali elementi.

La persona deve essere pensata come auto – fondamento, lo stato cade nella dimensione del divenire e suo principio è il tempo insito nella persona che a sua volta trascende tale principio: l’ indeterminatezza umana si supera solo quando l’ individuo sentendo ed intuendo riesce a dare una forma alla materia mediante la persona.

Solo facendo questa premessa, è possibile distinguere un istinto sensibile [ dà misura alla finitezza ] da un istinto formale [ immutabilità della persona ]; mediante quest’ ultimo avviene la spinta verso l’ alto ( Streben ).

L’ uomo è un essere determinato nella temporalizzazione, l’ Io permanente diviene fenomeno a se stesso e finché si limiterà a sentire non vi sarà altro che mondo, inteso come informe contenuto del tempo, si realizza la forma quando viene creato il tempo ed al permanente si contrappone il necessario.

Si giunge ad una dialettica tra una legge che spinge alla realtà assoluta rendendo mondo ciò che prima era forma, ed una formalità assoluta che estirpa tutto ciò che puro mondo, è una di manica di intrinsecazione ed estrinsecazione.

L’ istinto sensibile pone l’ uomo nei limiti del tempo e lo rende materia [ accidenti ], l’ istinto formale lo colloca nella libertà ed afferma la sua persona nel mutamento [ leggi ]; Schiller insiste su una forma sia teorica che pratica, il dialogo con Kant avviene in ambito speculativo come in ambito morale.

Solo nella subordinazione del sensibile con il formale, del mutamento con il permanente, della passività con l’ attività risulta possibile parlare di unità umana, un’ unità conoscitiva che esprime una completezza esistenziale.

Quando  sentire e pensare coincideranno, l’ individuo giungerà ad una completa intuizione della sua umanità, come simbolo della sua destinazione compiuta ( infinito ).

L’ infinito che scaturisce dal determinato e dalla finitudine è ideale nel senso fichteano, in quanto non verrà mai raggiunto.

Se l’ istinto sensibile vuole che ci sia mutamento[ XV lettera ], che il tempo abbia un contenuto, e l’ istinto formale vuole che il tempo ed il mutamento siano annullati, si pone come trait d’ union l’ istinto del gioco [ che fa scaturire una libertà fisico – morale ] che annulla il tempo nel tempo, e concilia “ il divenire con l’ essere assoluto, il mutamento con l’ identità “.

L’ oggetto dell’ istinto sensibile si chiama vita, in quanto essere materiale immediatamente presente ai sensi, invece l’ oggetto dell’ istinto formale è la forma ( concetto che include qualità e relazioni formali ), la forma vivente sarà il centro focale dello “ Spieltrieb “, funzionale alla designazione della bellezza.

La ragione tende a far compenetrare i due istinti nel momento in cui dice che deve esistere un’ umanità, la bellezza [ né pura forma né pura vita ] si genera così dalla sintesi subordinatrice  dei due istinti.

L’ individuo deve giocare unicamente con la bellezza [ che stimola e rilassa al tempo stesso ], solo nel gioco si manifesta la vera umanità; [ XVI lettera ] la bellezza nell’ idea sarà sempre una, nell’ esperienza è molteplice, il bello ideale mostra una proprietà energica e dolce, nella sfera empirica avverrà una scissione.

L’ educazione estetica  è una dinamica dialettica tra sensibilità ed intelletto, dinamica complessa, in quanto “ fa delle bellezze una bellezza “: ricondurre le due bellezze [ quella energica che stimola fisicamente e moralmente l’ individuo, e quella dolce che lo rilassa ] nell’ ideale di bellezza, significa scorgere l’ uomo ideale.

Spostandoci sul piano concreto, troveremo un essere umano determinato e limitato o in uno stato di tensione o di rilassamento, Schiller intende il dominio di un istinto sull’ altro come costrizione e violenza.

Come va inteso il problema della bellezza come coordinazione del sensibile con l’ intellettivo? Questa è la domanda centrale della diciottesima lettera, che apre come lo definì lo stesso autore, un “ sistema di estetica “ [ dalla XVIII alla XXIII lettera per l’ esattezza ], bisogna analizzare il processo di unificazione.

Solo se intendiamo per unificazione un processo di superamento, possiamo non cadere nell’ oblio dell’ isolamento radicalizzante di una delle due facoltà.

I sensisti ed i razionalisti che hanno utilizzato in senso unilaterale o la sensibilità o l’ intelletto, cadono in visione incomplete ed imperfette.

La bellezza dolce si manifesta in primis come “ forma tranquilla “ [ mitiga l’ uomo di natura ], ed in secundis come “ immagine vivente “.

La cultura si viene a delineare come la determinazione del confine tra il barbaro ed il selvaggio, istituendo un’ armonia tra la libertà e la sensibilità.

Finché noi sentiamo siamo limitati, abbiamo da un lato l’ istinto sensibile che cerca il mutamento e dall’ altro il formale che è indirizzato al permanente.

Come coordinare i due istinti? Schiller risponde con un terzo istinto, quello del gioco, che svolge un ruolo sia fisico che morale.

Un preciso riferimento al gioco avviene nel frammento D23 di Eraclito, dove il pensatore di Efeso pone in rilievo l’ innocenza del fanciullo, che sarà ripresa da Nietzsche dicendo che Dio è come un fanciullo: irresponsabile.

Gadamer analizza il problema del gioco per comprendere l’ autonomia dell’ opera d’ arte, come dimensione autonoma che pone le sue stesse regole.

Prima di proseguire nella trattazione delle tematiche schilleriane, ci soffermiamo brevemente ad analizzare uno scritto di C. Schmitt che può risultare utile per la comprensione dell’ oggetto del corso: l’ “ Amleto o Ecuba “, dove – Schmitt – si chiede perché certe tragedie abbiano tanto successo ancora oggi, nonostante siano passati secoli ed siano avvenuti notevoli mutamenti sul piano storico – culturale.

. Freud vedrà nella tragedia di “ Edipo re “, un complesso di carattere psicologico racchiudibile nella sfera dell’ inconscio; oggi sappiamo che la lettura freudiana è scorretta filologicamente, non prendendo in considerazione il fatto che nella Grecia antica, era di buon auspicio il sognare di ricongiungersi con la madre.

Secondo Freud, Amleto non riuscirà a compiere la vendetta proprio perché vede nello zio un modello da imitare, inconsciamente vorrebbe seguire le sue orme.

Schmitt parte da questa problematica freudiana per realizzare la sua analisi, l’ attenzione si focalizza sulla realtà storico – culturale in cui visse Shakespeare notando come l’ autore di “ Romeo e Giulietta “ fosse compromesso politicamente avendo bisogno di un protettore.

Da un punto di vista squisitamente culturale è doveroso ricordare come Shakespeare trovasse materia prima nelle versioni arcaiche di Sexus Grammaticus.

Il teatro di Shakespeare è in piena connessione con le problematiche storico – politiche del tempo, andando al di là della dimensione cristiana porta gli spettatori a prendere coscienza degli accadimenti del tempo creando un coinvolgimento.

In Schiller non è presente questa problematicità storico – politica che compare in Shakespeare, la storia è qualcosa da cui si allontana.

Possiamo vedere come tra la prospettiva schilleriana e quella di Lukács intercorri una differenza notevole, in quest’ ultimo l’ arte è il rispecchiamento della realtà storico – sociale, la conoscenza artistica è il processo che porta il particolare ad immergersi nell’ universale mediante la categoria del tipico.

In Schiller ( XVIII lettera ) lo spirito sensibile è passività nella misura in cui subisce l’ azione dell’ oggetto esterno, tra la materia e la forma sembra che ci debba essere uno stadio intermedio identificabile con la bellezza.

La distanza tra pensare e sentire è comprensibile alla luce del divario che intercorre tra la sensibilità e l’ attività, come fa la bellezza ad essere un trait d’ union?

La volontà nota Schiller nasce dalla personalità, il processo di unificazione tra i due termini non può essere compreso dagli empiristi o dai razionalisti.

Per spiegare il problema della formazione della personalità ( la lettera XIX è una delle più difficili dell’ opera ), sorgerà una nuova distinzione tra la determinazione e la determinabilità: ciò che è determinato non è più determinabile, la determinabilità è una possibilità antea.

La sensibilità dell’ uomo deve essere mossa da qualcosa di esterno, e tra tutte le possibili determinazioni solo una può diventare realtà, in questo modo si giunge ad una determinazione nella limitazione, proprio nella conoscenza l’ uomo riceve il limite.

Schiller distingue uno stato attivo da uno passivo, l’ infinità vuota è lo stato dove c’è assenza di ogni determinazione, nella sensibilità umana tra le possibili determinazioni solo una consegue realtà.

Noi – in quanto uomini – giungiamo alla realtà solo per mezzo della negazione e della limitazione, si costituisce un circolo “ produttivo “ tra il limite e l’ illimitato, il finito e l’ infinito.

Il bello connette il sentire al pensare, ma non colmo il giudizio, così come il giudizio estetico – teleologico coglie un barlume di finalità nel cielo stellato.

Nello spirito umano operano l’ istinto materiale e quello formale, ma nella sua unità tale spirito non è né materia né forma; la volontà agisce nel soggetto di fronte ai due istinti, la coscienza di sé intesa come personalità non può dipendere dalla volontà.

Le sensazioni e la coscienza di sé sorgono al di là della volontà: l’ istinto materiale che si desta con la sensazione e l’ istinto formale tramite la personalità, nella loro attiva contrapposizione danno luogo a libertà ed umanità.

L’ infinità con la realtà è andata perduta, ciò avviene in relazione allo spazio – tempo, la concezione di Schiller in questo punto è molto simile a quella di Aristotele: l’ attimo come numeratore del tempo.

Si giunge all’ esito paradossale che nella conoscenza del limite si perviene all’ Assoluto, se non avremmo tempo e spazio assoluti non potremmo neanche fare delle misurazioni sul piano della finitudine.

Spazio e tempo assoluti sono ontologicamente reali, ma a differenza di Kant non si tratta dell’ a – priori, la coscienza di sé nasce dal e nel processo gnoseologico che porta lo spirito a divenire attivo partendo dalla sensibilità.

L’ Assoluto può essere visto come il processo nel limite e del limite, in questi termini si viene a formare la personalità: l’ attività è coniugata alla volontà, la coscienza di sé in quanto tale non è volontà.

Dalla contrapposizione formale – sensibile sorge la libertà e con essa la volontà, che si pone come fondamento della realtà: c’è una necessità fuori di noi ed in tal guisa siamo passivi.

L’ origine delle sensazioni e della coscienza di sé non concernono la volontà ed il soggetto, sono una dimensione determinata ed assoluta.

La determinazione sensibile ( la prima ) deve essere tolta nel senso hegeliano del termine al fine di giungere ad una determinazione superiore, quella estetica, mediante la determinabilità.

Nessuna forma d’ arte può prescindere da un contenuto sensibile, anche la musica si avvale di un materiale ben preciso, la più materiale della arti è la scultura che riesce a determinare meglio il concetto ( questa tesi avrà un’ eco su Hegel ).

Non si può passare immediatamente dal sentire al pensare, risulta opportuno operare un passo indietro, giungendo ad una dimensione di determinabilità reale ed attiva che funge da sfera intermedia e viene definita dimensione estetica, la determinazione della sensazione deve essere conservata e superata [ in termini hegeliani ].

La sfera estetica [ XXI lettera ] è una piena infinità che si contrappone l’ infinità vuota di cui Schiller aveva parlato poc’ anzi, la determinabilità estetica è un “ determinabile non ancora determinato “.

Proprio nell’ ambito della ventunesima lettera l’ autore opera una distinzione che richiama alla memoria cose nietzscheane, egli distingue gli uomini subalterni nati per il dettaglio e gli uomini sorti per i “ grandi ruoli “.

Lo stato estetico è il più fruttuoso riguardo alla conoscenza ed alla moralità, un stato d’ animo che abbraccia in sé l’ intera umanità: l’ esercizio estetico conduce all’ illimitato, superando le barbarie borghesi, in quanto il godimento della bellezza ci rende liberi e padroni delle nostre forze attive e passive.

Nella realtà è impossibile incontrare un’ azione puramente estetica, un’ opera d’ arte può avvicinarsi all’ ideale ma mai raggiungerlo, se sarà veramente bella il contenuto non costituirà nulla, mentre la forma tutto ciò che agisce sulla totalità dell’ uomo.

Nel processo di perfezionamento di musica, poesia ed arte plastica, avverrà uno stesso processo sull’ anima in termini di effetti [ XXII lettera ].

All’ interno della ventitreesima lettera, Schiller distingue la condotta nobile di un individuo che supera l’ obbligo morale e dona libertà a ciò che lo circonda dalla condotta sublime, bisogna quindi: ” imparare a desiderare più nobilmente, che volere sublimemente “.

Nella XXIV lettera, Schiller evidenzia i momenti dello sviluppo del singolo ed in parallelo dell’ intera umanità, bisogna pensare a passaggi dinamici e non rigidi come nota lo stesso autore.

Dallo stato fisico [ anarchia senza libertà ed egoismo ], dove l’ individuo subisce la potenza della natura [ non compare la dignità umana, ma solo consapevolezza della propria cupidigia ], che viene vista come nemico e preda nel medesimo tempo [ il rapporto dell’ uomo con la natura è immediato ed angustiato ], si passa allo stato estetico che si libera da questa potenza [ si libera non del tutto, Schiller nota che possiamo trovare persone colte che non mancano di momenti che ricordano il buio della sfera naturale ], per giungere allo stato morale.

La ragione [ intesa sia in senso pratico che teoretico, come esigenza dell’ Assoluto che si esprime nel contingente e nel condizionato ] che si manifesta inizialmente nel mondo sensibile non riesce a realizzarsi autenticamente, bensì genera “ timore “ e “ cura “, questo è dovuto ad un’ incapacità di pervenire all’ astrazione ed “ alla sublime necessità della ragione “.

La legge morale appare estranea e proibitiva, nella spiegazione del fatto morale si va oltre l’ umanità, percorrendo sentieri che conducono verso la divinità, in un certo qual modo Schiller introduce il problema della “ positivizzazione “ religiosa.

In  “ La positività della religione cristiana “, Hegel asserisce la corrispondenza tra la legge morale kantiana e l’eticità cristiana, criticando aspramente la modalità del sistema pedagogico di Cristo in quanto in esso è insita la “positivizzazione “ intesa come dogmatizzazione ed istituzionalizzarsi storico di tale religione.

Cristo in quest’opera commette, “l’ errore “ di far derivare da Dio la legge morale, si tratta ergo di un modalità d’insegnamento non valida da un punto di vista etico.

La ragione diviene “ passiva “ e non “ legislativa, sempre in questo scritto sono riprese tematiche precedenti, importante sarà il confronto tra Socrate e Gesù.

Hegel criticherà con spirito illuminista la Chiesa come simbolo di dogmatismo del culto e di negazione della libertà di pensiero.

Il cristianesimo nasce e si afferma dove manca la libertà del cittadino, e nella Chiesa continua a mancare quella libertà, spetta quindi a nostri tempi - scrive Hegel - rivendicare l’uso della ragione, operare per  ” rivendicare in proprietà degli uomini, almeno in teoria, i tesori che sono stati dissipati in cielo “.

Ritornando a Schiller risulta più facile passare dal piano estetico a quello razionale – morale, che da quello sensibile a quello estetico.

Nella venticinquesima lettera, Schiller mostra come i tre stati di cui ha parlato precedentemente vadano considerati in modo dinamico e non rigido, la contemplazione è il primo rapporto liberale dell’ individuo verso l’ universo.

Nel mero sentire l’ uomo è schiavo della natura, nel pensarla diventa legislatore, ma solo nella dimensione estetica come “ atto – stato “, dà forma e bellezza al mondo ( intesa in termini di libertà e di autocoscienza ).

Quegli dei che avevano angustiato la nostra infanzia mediante il sentire estetico divengono rappresentazioni umane, proprio in tal guisa si può definire la bellezza un’ opera della contemplazione libera coordinatrice del sensibile e del soprasensibile [ Pareyson nell’ incipit del suo testo “ Etica ed estetica in Schiller “ nota acutamente come cardine del discorso schilleriano sia la correlazione armonica di intelletto e sensibilità ].

La penultima lettera [ XXVI lettera ] si apre con la constatazione da parte di Schiller che lo stato estetico non possa avere un’ origine morale, mediante l’ apparenza, l’ inclinazione all’ ornamento ed il gioco si esce dalla dimensione naturale.

Godere della bella apparenza [ Schiller parla dell’ apparenza estetica come essenza delle belle arti ] significa porsi come soggetti attivi e fondare la cultura al di là dell’ unilateralità di intelletto e sensibilità: la stupidità e la suprema intelligenza rifiutano l’ apparenza, la prima in quanto è incapace di elevarsi al di sopra della realtà, la seconda invece perché non può restare al di sotto della verità.

Schiller sostiene che solo l’ udito e la vista, possano veramente porsi come cardini di godimento della bella apparenza, connessa all’ istinto del gioco.

Quando si può parlare di apparenza estetica in senso profondo ed autentico? Solo se risulterà essere schietta ed autonoma, inoltre dove vi sarà trionfo della bella apparenza l’ onore avrà la meglio sul possesso, il piacere verrà surclassato dal pensiero, il sogno di immortalità sull’ esistenza.

Nella falsa apparenza e “ bisognosa di realtà “, si manifesta un’ incapacità estetica ed “ un’ indegnità morale “, alla domanda “ Fin dove può, l’ apparenza, essere nel mondo morale? “ – Schiller risponde – “ Fin quando è apparenza estetica “.

Sul finire della ventiseiesima lettera, l’ autore muove le sue feroci critiche ai critici del secolo, che assolutizzano la materia in se stessa considerata e sono lontani dall’ ideale di apparenza in quanto quest’ ultima è ancora legata all’ esistenza.

La ventisettesima lettera chiude l’ opera schilleriana, la vera rivoluzione dovrà essere estetica, relativa quindi al mondo di sentire con tutte le implicazione etico – politiche di cui Schiller è conscio.

Si comincia a scorgere un libero e disinteressato apprezzamento della pura apparenza, nei primi e rudimentali tentativi di abbellimento dell’ uomo primitivo.

Tra le barbarie della borghesia sorta dall’ “ Illuminismo dell’ intelletto “ e la dimensione estetica, può esserci un interregno della “ sensibilità anarchica “.

Nelle prime fasi l’ istinto estetico si manifesterà in maniera minore poiché limitato dall’ irruenza della sensibilità [ da un commercio di piacere totalmente egoistico, si deve giungere ad un giusto scambio di affetto, “ dalla passione all’ amore “ ]; Schiller esalta la Grecia come modello supremo dicendo che mentre l’ esercito troiano irrompeva sul campo di battaglia come un groviglio di “ cieche forse “, l’ esercito greco con il suo  “ avvicinarsi dignitoso “ permetteva il trionfo della bella forma.

Schiller distingue uno stato dinamico che rende possibile la società mediante un’ auto – dominazione della natura, uno stato etico che imprime il sigillo del “ moralmente necessario “ ed assoggetta la singola volontà all’ universale, ed infine uno stato estetico dove la libertà passa attraverso la libertà, venendo a mancare ogni forma di costrizione fisico – morale [ il gusto quindi svolge una funzione armonizzante nella società ].

Il bello si gode sia come singoli che come specie, superando in tal guisa l’ unilateralità della metafisiche materialistiche e razionalistiche che privilegiano o l’ intelletto o la sensibilità.

È bene tenere presenta come lo stato estetico [ dove vige uguaglianza ma non “ égalité “ ] sia per Schiller un regno per pochi, e per giunta di difficilissima realizzazione.

La trattazione dell’ arte allontana Schiller dal problema della sistemazione delle arti ( all’ interno della scuola cartesiana si analizza l’ origine delle belle arti ): lo stile – diviene per Schiller – la forma, il modo con cui ciascuna arte si allontana dal particolare.

Lo stile deve superare il genere artistico e la particolare materia che l’ artista lavora, secondo Nietzsche la musica non può raggiungere il grande stile poiché si colloca dopo le grandi stagioni dell’ arte.

L’ opera d’ arte ha valore in se stessa, sarà morale nella misura in cui la bellezza racchiude una sua moralità.

La cultura apprezza l’ apparenza in quanto nel dominio estetico la “ bella apparenza “  posta dall’ uomo stesso, disprezzare l’ apparenza significa disprezzare la arti belle. Soltanto la vista e l’ udito rappresentano l’ attività umana a differenza del tatto; nel “ De ordine “ Agostino definisce la vista e l’ udito sensi teoretici.

La tendenza dell’ uomo ad abbellirsi ( XXVII  lettera ) è una manifestazione del principio della forma, che cosa esprimerebbe il leone quando ruggisce nella solitudine del deserto?

Schiller candendo un’ evidente antropormifizzazione della natura, dice che in questo modo il leone compie una sorta di autocelebrazione.

All’ interno delle “ Lettere sull’ educazione estetica dell’ umanità “, Schiller attingerà importanti spunti in accezione critico – continuativa non solo da Kant, ma anche da Fichte, autore de “ La dottrina della scienza “, da cui riprende [ in senso anti – fichteano ] il concetto di determinazione reciproca e la tesi secondo la quale nell’ uomo concreto e particolare vi sarebbe l’ ideale dell’ uomo.

La determinazione reciproca di fichteana memoria non è utilizzato per assoggettare la sensibilità alla ragione bensì per coordinarle armonicamente, Schiller vede nella filosofia di Fichte la continuazione del rigorismo della lettera kantiana, rigorismo inteso come antagonismo tra sensibile e soprasensibile.

L’ unità di finito – infinito, sensibilità – ragione, materia – spirito si realizza nell’ armonia, ogni forma di subordinazione appare agli occhi di Schiller come una posizione unilaterale ed incompleta: il bello è sia perfezione per l’ umanità che termine medio e conciliatore e solo nell’ ideale può esprimersi un vero ed autentico valore pedagogico.

Ci si accorge subito come sussista una correlazione bipolare tra alcuni concetti di “ Grazia e dignità “ e de “ Le lettere sull’ educazione estetica dell’ umanità “, pensiamo all’ armonia che viene a coincidere con la determinazione reciproca, e l’ anima bella che trova sua suprema manifestazione nell’ impulso al gioco.

In “ Della poesia ingenua e sentimentale “ [ 1795 – 1796 ] Schiller sviluppa le idee esposte nelle altre opere, all’ interno di una prospettiva sullo sviluppo storico dell’ umanità [ con riprese da Humboldt, Herder e Kant ] e con il fine di mostrare come la poesia sia uno strumento per la realizzazione dell’ ideale.

Il poeta ingenuo è natura e suo guardiano al tempo stesso risolvendosi come soggetto nell’ oggetto, Omero si nasconde nella sua opera e la natura è nell’ umanità, quando invece il poeta risolve l’ opera nel suo intimo e ricerca la natura perduta fuori di sé.

Noi definiamo ingenue l’ epoca greco – antica, in base a due premesse: da un lato l’ oggetto deve essere prodotto unicamente dalla natura e dall’ altro contrapposto all’ arte.

Il poeta greco rappresenta la natura, la vita sensibile e la presenza sensibile [ un oggetto finito ], quella moderna invece le idee e lo spirito [ uno oggetto infinito ]: noi moderni abbiamo una nostalgia profonda verso l’ armonia perduta.

Lo stato di natura presenta un’ armonia concreta tra il sentire ed il pensare, una sintesi tra l’ idealità e la realtà, lo stato della civiltà l’ armonia è un ideale nel travaglio della scissione tra idealità e realtà.

La poesia sentimentale può essere satira in quanto svela l’ insufficienza del reale o elegia nel caso l’ ideale si manifesti come aspirazione continua; a sua volta la satira sarà seria quando l’ insufficienza del realtà necessita di una resistenza morale e scherzosa se non abbisogna di nessuna resistenza.

L’ elegia risulterà essere tale in senso stretto, quando verso l’ ideale si avrà un’ aspirazione nostalgica pregna di tristezza e bucolica se l’ ideale sarà fonte di un’ emozione gioiosa.

La vera poesia è quella che “ supera “ nel senso hegeliano del termine il percorso di travaglio di unità e scissione dell’ umanità, verso una totalità riconciliata ed armonica.

La bella totalità della natura umana si realizza nella fusione superante della poesia ingenua e sentimentale, ciò può essere inteso nella maniera con la quale Schiller concepiva la natura di Goethe, come correlazione armonica si spirito speculativo e spirito intuitivo.

L’ autentica filosofia deve coniugare al suo interno il realismo del modo di vedere antico [ stato di natura ] con l’ idealismo dei moderni [ stato di civiltà ], nel primo la natura ha il carattere della dipendenza e dell’ indigenza [ sapere – agire ] e l’ individuo che si farà alfiere di questa posizione avrà una conoscenza limitata al particolare ma mai relativa alla totalità completa e nello stesso tempo il suo agire sarà limitato da fattori esterni senza pervenire alla dignità; nel secondo caso, la ragione è intesa come autonomia e compimento facendo sì che le cose si sottomettano al pensiero in una conoscenza rivoltata verso la totalità, un agire fondato sulla ragione pratica e sulla continua tensione verso l’ Assoluto – Incondizionato.

Il processo della spiritualità umana nel corso della storia, è una dialettica che porta l’ unità a scindersi per giungere poi ad una totalità concepita come conciliazione ed armonia, in questa prospettiva che può essere in un certo senso considerata hegeliana ante litteram, Schiller riprende l’ idea di un fine razionale nella storia sia da Kant che da Herder, da Goethe, Humboldt e Winckelmann la tesi secondo la quale la Grecia abbia rappresentato un canone supremo di armonia estetica [ queste riprese sono concepite da Schiller in maniera notevolmente originale ].

La divisione schilleriana tra poesia ingenua e poesia sentimentale trova un parallelismo con la prospettiva hegeliana dello sviluppo triadico dell’ arte, dove dall’ arte classica intesa come fusione tra forma e contenuto si giunge all’ arte romantica caratterizzata per un contenuto tale da rendere insufficiente la forma.

Concludendo possiamo rintracciare tre coordinate nel pensiero schilleriano che rimarranno cardini fondamentali della sua analisi filosofica e della sua produzione poetica: in primis l’ ideale di un’ umanità perfetta dove è superata ogni scissione, in secundis il principio dell’ educazione estetica come fine e “ medium “ per l’ umanità ed infine la tesi dello sviluppo storico dell’ uomo.